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India, vittime inconsapevoli della sterilizzazione

Tredici donne sono morte in India e 20 versano in gravi condizioni dopo essersi sottoposte a un intervento di sterilizzazione di massa. L'operazione è proposta dalle autorità sanitarie come un comune metodo contraccettivo. Vi sono alte quote di operazioni da rispettare e i medici devono operare in fretta.

Vita e bioetica 13_11_2014
India, sterilizzazione di massa

Tredici donne sono morte in India e 20 versano in gravi condizioni dopo essersi sottoposte a un intervento di sterilizzazione a Pendari, un villaggio dello stato centrale del Chhattisgarh. Erano state operate l’8 novembre insieme ad altre 50 in un centro medico dove si erano presentate rispondendo alla annuale campagna statale per la pianificazione famigliare.

Incalzato dal Partito del Congresso, all’opposizione, il governo del Chhattisgarh ha sospeso i tre medici autori degli interventi, ha promesso un risarcimento alle famiglie delle vittime e ha avviato un’inchiesta. Dai primi riscontri emerge che le operazioni potrebbero essere state eseguite in condizioni non del tutto sicure. Ad accertarlo sarà la commissione creata per indagare sull’incidente. Fin da ora è plausibile che, come sostengono dei testimoni, il personale sanitario abbia agito “in tutta fretta, per raggiungere l’obiettivo” in un giorno solo. (AsiaNews, 11-11-2014)

Da molti anni in India – primo paese al mondo, nel 1952, a lanciare un programma di pianificazione famigliare per ridurre la crescita demografica – la sterilizzazione è proposta dalle autorità sanitarie come un comune metodo contraccettivo. Nel solo 2012 sono state sterilizzate 4,6 milioni di donne. Ecco in che modo, in una testimonianza oculare: “una decina di tavoli allineati uno accanto all’altro, con lenzuola macchiate di sangue; medici e infermieri senza camici, a volte senza mascherine protettive; gli strumenti di lavoro sciacquati solo con acqua calda”. (AsiaNews, 12-6-2013)

Il governo indiano sollecita e incentiva la sterilizzazione femminile offrendo l’intervento gratuito e donando 18 rupie alle donne che accettano di sottoporvisi. Inoltre agli operatori sanitari che promuovono l’uso di metodi contraccettivi, inclusa la sterilizzazione tramite la legatura delle tube, vengono assegnati dei “bonus”. Non sempre le donne si rendono conto che non potranno più avere figli. Quelle povere, analfabete, spesso non lo capiscono. Sono loro le principali vittime delle sterilizzazioni forzate, praticate con l’inganno. Nello stato del Bihar, ad esempio, uno dei più poveri, “gli operatori locali che si occupano delle campagne per il controllo delle nascite girano per i villaggi e propongono alle donne di farsi operare in cambio di 10 dollari, circa una settimana di salario per una famiglia povera. In teoria la scelta è libera, in pratica non viene spiegato loro che non potranno più avere figli e molte acconsentono solo per l’estrema povertà in cui vivono”. (AsiaNews, 12-6-2013)

Il ministero della salute del Bihar aveva posto come obiettivo per il 2013 la sterilizzazione di 650.000 donne e 12.000 uomini. A tal fine intendeva creare 12.000 cliniche da campo per la sterilizzazione femminile.

Addirittura, nel 2006, nello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh, un magistrato ha emesso una sentenza con cui ordinava a insegnanti, funzionari pubblici e capi villaggio di contribuire alla sterilizzazione, imponendo quote minime da raggiungere pena il licenziamento, la sospensione o la rimozione dalla carica ricoperta.

Intervistato l’11 novembre da AsiaNews, il dottor Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita, ha rivelato che ormai “in India la sterilizzazione femminile rappresenta nel 65% dei casi la forma di contraccezione più usata e l’età a cui ci si sottopone all’operazione continua a diminuire”.

Da sempre la Conferenza episcopale indiana condanna la sterilizzazione e indica i metodi naturali di pianificazione famigliare come via per una crescita demografica responsabile: “unico modo per salvaguardare la dignità e l’onore di ogni essere umano”. Commentando la tragedia di Pendari, “una perdita di vite umane devastante”, Monsignor Savio Fernandes, vescovo ausiliare di Mumbai, ha espresso ancora una volta la riprovazione della Chiesa per una pratica che costituisce “una grave violazione della legge morale e naturale”.

Pochi giorni prima la Chiesa indiana si era levata per condannare un altro dramma umano, causato anch’esso in gran parte dalla povertà: la maternità surrogata, una pratica diffusasi in India in risposta alla crescente richiesta internazionale. La Conferenza episcopale indiana ha aderito al Simposio nazionale svoltosi a Mumbai dal 17 al 19 ottobre, dedicato a “Proteggere, preservare e promuovere il dono della vita umana: le sfide emergenti” e si è unita all’appello rivolto al governo indiano affinchè dichiari illegale la maternità surrogata, “che de-umanizza le donne e le priva dei loro diritti primari”, equiparandola al commercio di organi e di sangue, già proibito dalla legge.

Ecco di seguito il testo dell’appello firmato dagli oltre 400 partecipanti al simposio: “Profondamente rattristati dalla pratica allarmante, de-umanizzante e sempre in crescita della maternità surrogata noi, partecipanti al Simposio nazionale, ci appelliamo al governo affinché salvaguardi la dignità delle donne indiane e metta al bando questa pratica, come già avviene in molte nazioni del mondo. La cultura indiana ha sempre tenuto in grande considerazione il sacro ruolo della madre. La maternità surrogata commercializza questa immagine sacra e leva significato alla maternità reale.

"Donne vulnerabili ed emarginate vengono truffate per affittare il proprio utero, e quindi usate come oggetti. Questo modo di fare distrugge la loro dignità di esseri umani, donne, mogli e madri. Tra l'altro i nove mesi di separazione e di esilio in ostelli per la maternità surrogata portano via queste donne anche dalla propria famiglia biologica.

"I genitori che "commissionano" i parti, gli intermediari e i vari centri medici controllano il processo del parto attraverso il loro potere economico, e invariabilmente costringono a parti cesari non necessari per evitare traumi naturali.

Ci chiediamo come mai il governo abbia introdotto delle leggi contro il commercio della donazione del sangue e contro i trapianti di organi, mentre rimane in silenzio davanti alla questione degli uteri in affitto. Di conseguenza ci appelliamo con forza alla Corte Suprema, al potere legislativo e a quello esecutivo perché metta al bando la maternità surrogata in India” (AsiaNews, 22-10-2014).