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LA TESTIMONIANZA

Io, in attesa di sentenza, dico che questa riforma è positiva

Intorno ai processi di nullità ci sono tanti miti da sfatare: dai costi del processo ai motivi per cui vi si ricorre. Ma la riforma ha il merito di mettere in primo piano la sofferenza di tante persone che aspettano un giudizio sulla verità del loro matrimonio.

Ecclesia 14_09_2015
Rota romana

Sulla riforma epocale del processo di nullità del matrimonio, che sta tanto facendo discutere, quanto improvvisare, anche le penne degli opinionisti e degli scrittori più letti, vorrei proporre la mia semplice testimonianza. Sono solo una persona che ha ricevuto la grazia di vivere un’esperienza, “indiretta” ma non troppo, in merito alla nullità di matrimonio con l’uomo che solo oggi spero un giorno di poter sposare.

In tre anni, ho avuto modo di conoscere le storie di tantissima gente che ha vissuto sulla propria pelle la stessa esperienza e di entrare nel merito di tanti cavilli, meandri e questioni che, come è giusto che sia, sfuggono a chi non incappa nello spazio di questo dono.

Ne scrivo perché in questi giorni ho letto articoli e post di blogger, colleghi scrittori o influencer ben noti al pubblico cattolico (e non), che si concentravano sbrigativamente e sommariamente sugli aspetti più banali e più spesi dalla stampa facile, quella “fricchettona”, quella che investe sul titolo, sullo scoop, sulla sintesi da colpo di scena, tipo: “processi troppo cari e annullamenti accessibili solo a chi se lo può permettere”; “per annullare un matrimonio basta pagare”; “lo si fa solo per risposarsi in chiesa”; “durano anni e alla fine ti sei comunque sposato due volte”; “con la crisi di fede che c’è, alla chiesa conviene riavvicinare i divorziati che vogliono risposarsi”…. Insomma, tanta confusione e tanti miti da sfatare.

COSTI E TEMPI

Non è affatto vero che un procedimento di nullità abbia costi inavvicinabili, che riguardi solo chi se lo può permettere o che duri necessariamente un’infinità di tempo. Per quanto riguarda i costi, in molti casi, la curia mette a disposizione di fedeli realmente impossibilitati a sostenere il costo di una causa, ma desiderosi di chiarire la veridicità sacramentale del proprio matrimonio, un “avvocato d’ufficio”, tecnicamente chiamato patrono stabile, altamente specializzato in questo genere di processi. Tutti i tribunali ne hanno almeno uno, sempre disponibile per questa specifica esigenza. Ad oggi, il tribunale di Roma ne ha addirittura cinque, tutti preparatissimi, altri ne hanno in media sempre almeno un paio. In tutti questi casi, in cui il procedimento era già praticamente gratuito (fatto salvo un contributo solidale di 525 euro per le spese per il tribunale – che in ogni caso pagano tutti), i costi delle cause venivano e vengono tuttora sostenuti con i fondi dell’8x1000 (anche la disperazione per un matrimonio fallito diventa facilmente una forma di povertà). Tutti i professionisti esterni invece, avvocati “comuni”, pur sempre specializzati in ambito rotale e per questo accreditati, sono già tenuti, per imposizione di norme stabilite dalla CEI, a rispettare tariffari che non debbono mai superare un massimo di 2.992 euro (+ 525 euro per il tribunale). La tariffa minima è invece fissata in 1.500 euro (+ 525 per il tribunale).

Per quanto riguarda i tempi, come per ogni tipo di processo, la durata varia da casi “semplici” che si risolvono d’ufficio anche in pochi mesi (un noto caso recente è quello di Valeria Marini che, a quanto pare senza saperlo, aveva sposato un uomo già sposato in chiesa), a casi più complessi dove la ricerca della verità richiede più tempo per tanti e diversi motivi che non ho qui il tempo di elencare in modo dettagliato. Basti pensare a comuni controversie, falsi testimoni, impossibilità di ricostruire fattori fondamentali che determinano la nullità, ecc.

In questo caso, quindi, in cosa io leggo un chiaro, utile e opportuno intervento del Papa con questa riforma? In un messaggio che si rivolge certamente ad evitare ogni tipo di speculazione economica su questo genere di procedimenti e a velocizzare con genuina comprensione tutte quelle fasi che in un procedimento di nullità possono a volte, senza chiare necessità, durare anche settimane o mesi, a scapito di chi attende di fare luce sulla propria condizione. Ad esempio, le fasi che richiedono la stesura di una perizia psichiatrica documentata da periti qualificati durano spesso anche dei mesi e l’attesa non è sempre motivata da ragioni di facile comprensione. Ci voleva una riforma per fare cose che, almeno apparentemente, erano già così per molti versi? Forse sì, perché almeno oggi se ne parla.

PERCHÈ PUNTARE A UN PROCESSO DI NULLITA'

Qui vorrei dare due contributi. Il primo è frutto di quanto ho chiesto a qualche amico avvocato specializzato in Rota, ottenendo due risposte principali: la già conclamata immaturità di cui sopra e l’esclusione dell’indissolubilità, ovvero “mica si può stare insieme tutta la vita se a un certo punto non si va più d’accordo” (che, come ben sa chi conosce il vero senso del matrimonio cristiano, non ha nulla a che vedere con i possibili capi di nullità di un sacramento del genere che proprio dall’indissolubilità attinge la sua forza sacramentale).

Ciò nonostante, anche qui i miti da sfatare sono più di uno: non è vero che la nullità riguarda solo coloro che intendono risposarsi in chiesa (e anche questo infatti non è un capo di nullità); non è vero che “basta chiedere”, ovvero intraprendere un procedimento di nullità per ottenerla (perché molti matrimoni si rivelano validi); non è vero che tanti motivi (articolate sottospecie di questi due ambiti specifici) per cui vengono introdotte molte cause di nullità sono banali o riguardano poche persone. Si tende a credere che sia così per ignoranza e mancata esperienza, ma quando si incontra e si parla con chi ha una storia vera da raccontare, si scoprono trame più incredibili e inganni inimmaginabili, che in ogni caso restano tutelati dal segreto d’ufficio.

Ancora oggi, grazie a Dio, molte persone si sposano in forza della fede, non del costume e della tradizione popolare (in questo secondo caso si rientra in entrambi i capi di cui sopra e si contraggono matrimoni nulli dal punto di vista sacramentale). Credono nel sacramento del matrimonio, nell’indissolubilità, nella presenza di Cristo vivo nella loro vita, nell’opera di Dio che si manifesta agli altri attraverso la loro scelta. Queste persone, nella maggior parte dei casi, di fronte alla scoperta in coscienza di un matrimonio nullo, si trovano ad attraversare una sofferenza e un calvario che tiene la loro vita inchiodata a una menzogna, ancor prima di capire se ci siano o meno le condizioni per intraprendere un procedimento di nullità.

Chi si sposa così, credendo nel sacramento e non nell’abito, si vede cadere addosso tutta la vita, si trova a mettere in discussione la scelta più importante della propria esistenza e a fare i conti con delle conseguenze che non sempre sono facilmente intuibili agli occhi di chi non può sapere, non può vedere e non può capire. Molti divorziati risposati sono persone rimaste “incastrate” in sentenze di validità durate anni a causa di testimoni falsi ben preparati; molte altre non hanno avuto il coraggio di dire la verità quando hanno dovuto dare la propria testimonianza; tanti altri restano fedeli a un sacramento nullo per paura di ferire i figli; molti altri ancora, ottenuta la nullità, non si risposano neanche.

Anche in questo caso, quindi, in cosa io leggo un chiaro, utile e opportuno intervento del Papa con questa riforma? In un messaggio che, proprio in forza del sacramento del matrimonio e della sua indissolubilità, intende fare chiarezza su cosa sia davvero un matrimonio cristiano, ma anche porre l’accento sulla possibilità di migliorare e valorizzare il contatto diretto con persone che decidono di intraprendere un procedimento di nullità, avendo fede e fiducia nella Chiesa.

LA VERA INNOVAZIONE

La responsabilità di cui è investito il vescovo e il processo breve. Mentre per il primo aspetto mi verrebbe da dire “era ora”, per il secondo direi che cambia poco. In questi giorni ho letto di grandi riduzioni, di sconti temporali, di penalizzazione nella difesa del vincolo, di grandi attentati alla salute del matrimonio, ma a leggere le parole del Santo Padre, nella lettera apostolica “Mitis Iudex Dominus Iesus” non si direbbe proprio. Vorrei “risolvere” sinteticamente la prima questione ponendo una domanda a voi lettori: nel caso in cui qualcuno dovesse “giudicare”, o meglio aiutarvi a comprendere, qualcosa di importante che riguarda tutta la vostra vita, che rischia di compromettere il vostro futuro, che vi coinvolge da ogni punto di vista e che vi tocca profondamente, preferireste un “estraneo molto qualificato”, anche bravissimo e onestissimo, che vedrete tre, forse quattro volte in tutto, che non parlerà solo con voi e che alla fine emetterà una sentenza, oppure qualcuno che vi conosce veramente, che può aiutarvi a fare luce sulla vostra storia che in larga parte già conosce e che può esservi da guida (nel motu proprio più volte il Santo Padre si riferisce al Vescovo come al pastore). Ecco, credo che questo sia il tema e il vero motivo umano e spirituale con cui si è deciso di dare maggiore responsabilità al vescovo della diocesi.

Nessuno sconto anche in questo caso: il processo breve in capo al vescovo non riguarda affatto tutte le cause, ma solo quelle che riportino evidenti capi di nullità, quelle in cui entrambe le parti sono d’accordo, quelle in cui nessuno intende ricorrere in appello, ecc. In ogni caso, il Vescovo rimane solo il primo livello di ingresso al procedimento. Anche qui, dunque, non mi affretterei a dire che non esiste più la seconda sentenza o che il Vescovo decide per tutti, altra cosa non vera (perché il difensore del vincolo in appello non perde in tal senso alcun potere e la riforma prevede l’investitura di laici specializzati a supporto di una “giuria intermedia”), ma che finalmente si investe un pastore di anime a pascolare le proprie pecore nella prateria infestata della propria esistenza contorta, difficile e critica.

Non dimentichiamoci che nelle cause di nullità non esiste la ricerca del colpevole, nessuno assume torti o ragioni e i procedimenti non sono incentrati sulla ricerca della giustizia, come la conosciamo nei tribunali civili o penali. Il vero tema di questi processi è capire se chi ha contratto un matrimonio cristiano lo ha fatto in piena libertà, conoscendone il valore spirituale e sacramentale ed essendo pienamente consapevole delle promesse fatte davanti a Dio, per Lui e con Lui. La centralità di questi processi resta quella di accertare la validità o meno del vincolo e non quella di accontentare le parti in un modo o nell’altro. Promettere di “accogliere i figli che il Signore vorrà donarvi” e poi scegliere deliberatamente di non averne, rende nullo un matrimonio cristiano indipendentemente da quello che due coniugi intendono sostenere come capo di nullità. In molti casi infatti anche i capi di nullità, in corso d’opera, si scoprono diversi da quelli presentati inizialmente e molte sentenze vengono emesse con motivazioni differenti dai capi con cui sono state introdotte.

Vorrei toccare un ultimo aspetto, che ritengo quello fondamentale. Nessuno di noi conosce il cuore dell’uomo. Da cristiani sappiamo che solo in Dio riposa l’anima nostra. Solo Dio ci conosce veramente. Il Papa ha detto in più occasioni che la Chiesa celebra troppi matrimoni e che semplificare i processi è solo parte del “problema”. Sarebbe ben più urgente preparare bene e per tempo dei saldi matrimoni cristiani che correrebbero meno rischi, piuttosto che sciogliere dopo quelli “dubbi”. Siamo tutti consapevoli della grande crisi della famiglia che è il cuore del Sinodo di cui fanno inevitabilmente parte i temi “nullità” e “divorziati risposati”, anche se in tanti vorrebbero far finta che non è così.

Per come l’ho letta io, la vera innovazione di questa riforma è il fatto che finalmente si pone un’attenzione importante a un tema che tutto è meno che una “questione relativa” per tornare all’incipit iniziale. Al momento, mi pare di capire che neanche chi se ne occupa tecnicamente abbia ben capito cosa accadrà nella pratica ordinaria di questi processi trattandosi appunto di cambiamenti che per molti versi introducono nuove fasi, ma  non scontano niente, se non in rarissimi casi (sostanzialmente uguali a quelli fino a oggi già previsti).

Della crisi della famiglia fanno parte anche le famiglie lontane, quelle risposate, quelle scoppiate, quelle divise di fatto anche se non di forma, ecc. Fare a meno di farci caso, come se fossero anime che non ci riguardano perché ci pare che non siano “conformi alla norma”, non ci esime dal cercare anche per loro una via di comprensione e di misericordia. In fondo credo che questo volesse dire il Papa: sensibilizzare ognuno di noi a non sentirci mai troppo perfetti o migliori di altri… perché “la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità vennero per mezzo di Cristo” (Giovanni 1, 17).