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ELEZIONI STORICHE

Iran, la fine di un lungo isolamento

E' ancora troppo presto per commentare la vittoria dei riformatori di Hassan Rouhani in Iran, perché la loro affermazione a Teheran può non riflettere le preferenze dell'intero paese. Ma è già certa l'importanza di queste elezioni, le prime che si tengono dopo la fine delle sanzioni economiche all'Iran, dopo un lungo periodo di 36 anni di isolamento economico e diplomatico.

Esteri 29_02_2016
Social media nelle elezioni iraniane

Mentre continua lo spoglio delle schede delle elezioni parlamentari, che hanno avuto luogo venerdì scorso in Iran, l’unico dato già certo è quello del loro esito a Teheran, dove i cosiddetti “riformisti” del presidente in carica Hassan Rouhani hanno conquistato la totalità dei 30 seggi in palio nella capitale. Anche se la stampa internazionale si è precipitata a darne notizia con toni trionfali, tale risultato non è necessariamente significativo.

In un Paese grande quasi 5,5 volte l’Italia e dove la massima parte della popolazione vive in villaggi e piccole città, Teheran è un mondo a sé. Quindi per quanto concerne gli altri 260 seggi dell’Assemblea islamica le cose andranno di certo molto diversamente. A quanto sembra i “riformisti” hanno fatto un balzo in avanti ma i “conservatori” non sono affatto usciti di scena. Le virgolette sono di rigore considerando che ci si trova comunque in un contesto che ha ben poco a che vedere con la democrazia così come si è sviluppata in Occidente. Pur però nel contesto di un sistema in cui la sovranità appartiene, non al popolo, ma al clero sciita, al quale sono riservate tutte le decisioni-chiave, il popolo detiene un certo potere di ratifica e di conferma che non è poi irrilevante.

Le elezioni di venerdì scorso erano le prime convocate dopo l’accordo siglato a Vienna lo scorso 14 luglio tra l’Iran da una parte e dall’altra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania. L’accordo poneva termine alle sanzioni economiche imposte a Teheran in risposta al suo programma di ricerche nucleari accusato di essere a fini militari. In realtà l’ultima scusa per protrarre l’isolamento dell’Iran che, al di là delle sue buone o cattive intenzioni, non è un Paese in grado di costruirsi e di gestire efficacemente alcun arsenale nucleare. Da quel che si può già capire gli elettori iraniani hanno dato un riscontro ragionevole al nuovo corso apertosi con l’accordo di Vienna. Hanno infatti rafforzato i “riformisti” quanto basta pur senza delegittimare i “conservatori”, il che avrebbe potuto avere conseguenze pericolose. A fini di pace e di comune sviluppo si tratterà adesso di cogliere al meglio le prospettive che si aprono. Al riguardo il nostro Paese ha delle sue carte da giocare sia per una tradizione di apprezzate relazioni economiche che risale ai tempi dell’Eni di Enrico Mattei, e sia per avere sempre mantenuto dei rapporti, là dove possibile, anche nei 36 anni di embargo. 

La storia non cesserà di confermarci quale grave impatto abbia avuto sulle sorti della pace e dello sviluppo del Medio Oriente (e quindi anche del Mediterraneo, il che ci riguarda da vicino) la pretesa degli Stati Uniti di isolare per 36 anni un Paese come l’Iran: 76 milioni di abitanti, 5183 dollari di reddito pro capite nel 2014, e confini tra l’altro con la Turchia, l’Iraq, l’Afghanistan e il Pakistan. Dalla fine del 1979 sino al luglio dell’anno scorso, tale isolamento, senza affatto rendere il suo regime teocratico più disponibile a compromessi con Washington, è stato all’origine di tensioni e di distorsioni da cui in fin dei conti nessuno ha tratto vantaggio. Segnato all’inizio, tra il 1980 e il 1988, da una guerra con l’Iraq, fomentata dagli Usa, costata danni ingenti e un milione di morti, l’assedio diplomatico-finanziario è stato allentato e infine sospeso solo quando finalmente, a seguito del caos che hanno provocato in Siria attizzando la rivolta contro Assad, pure gli Stati Uniti si sono resi infine conto che lasciare fuori dalla porta un Paese di quelle dimensioni e demografiche e geopolitiche aiuta non a  risolvere i problemi ma a complicarli. 

C’è poi da augurarsi, osserviamo infine, che da tutto ciò derivi anche qualche miglioramento della condizione dei non musulmani, cristiani, ebrei, zoroastriani che in una Repubblica che si definisce islamica e che basa il suo diritto sulla legge coranica sono perciò stesso dei cittadini di seconda classe.