Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
DOPO LA GUERRA

Iraq, tanta sfiducia nel primo voto dopo l'Isis

Un paese diviso e sfiduciato torna alle urne nelle prime elezioni dopo la carneficina provocata dall'Isis. Nonostante la liberazione di un terzo del paese dall'incubo dei jihadisti, ora la popolazione prova sfiducia e stanchezza. Sciiti ancora in vantaggio, con tre candidati forti per la guida del governo. Strane alleanze fra le minoranze.

Esteri 13_05_2018
Iracheni al voto

Ieri, per la prima volta dopo la sconfitta dell’Isis, si è votato in Iraq per il rinnovo del Consiglio dei Rappresentanti, il parlamento monocamerale. Il quadro che è emerso è quello di un paese ancora diviso dagli scontri settari, sfiduciato e stanco. Pochi sono andati a votare. Le minoranze hanno paura degli sciiti, che sono maggioranza ed esprimono il governo, quasi senza alternative.

Si è votato per eleggere 329 deputati, scegliendoli fra 6990 candidati divisi in 87 liste. Alle donne spetta di diritto un quarto dei seggi (83). Fra le minoranze etniche, 46 seggi sono riservati ai curdi. Fra quelle religiose, 5 seggi sono riservati ai cristiani e altri 4 alle altre minoranze (fra cui gli yazidi, anch’essi vittime del genocidio dell’Isis). Un sistema di voto molto complesso, dunque, che fra seggi riservati e il gran numero di liste e candidati rischia di compromettere la rappresentatività dell’organo legislativo.

Ma non è per questo che si è registrato un basso tasso di affluenza, il 44,5% come riportava per prima l’agenzia Reuters, nonostante il governo avesse sospeso il coprifuoco, ancora in vigore da quando è iniziata la guerra settaria e quella all’Isis. Non è neppure solo per la mancanza di sicurezza: un solo attentato registrato a Kirkuk, tre vittime accertate. Grave episodio, ma poco in confronto alle ecatombi provocate da Al Qaeda nelle prime tornate elettorali. A tenere a casa la gente è soprattutto la sfiducia nei confronti dei politici e delle istituzioni, causata dalla corruzione dilagante, da una crisi economica da cui non si esce e da anni di guerra. Il reporter della BBC, Martin Patience riferisce di ansia e frustrazione diffuse, di una chiara percezione di mancanza di cambiamento possibile. “Tutte le promesse sono menzogne” gli dice un cittadino di Baghdad, che si dice pentito di aver votato alle scorse elezioni. Yonadam Kanna, parlamentare cristiano del Movimento Democratico Assiro, intervistato dall’agenzia Asia News, riporta le stesse impressioni: un clima “di grande sfiducia e di delusione” nell’elettorato “verso il governo e i principali partiti”.

Lo stesso Kanna, però, si dice ottimista sull’immediato futuro, perché: “le persone comuni vogliono rispondere contribuendo in prima persona al cambiamento” attraverso il voto, per “arrivare un giorno alla nascita di uno Stato civile e retto dal diritto”. “Son profondamente convinto – spiega il parlamentare cristiano - che l’elezione potrà essere il motore per un grande cambiamento verso un principio di maggioranze politiche e non settarie. Questo perché i blocchi di un tempo sono oggi divisi e frammentati e ciò rappresenta un passo positivo per il futuro dell’Iraq”.

A proposito di questa frammentazione, si registrano strane alleanze, come quella fra il Partito Comunista Iracheno e il movimento sciita radicale Sa’iroun di Moqtada al Sadr. Molti ricorderanno Sadr come l’estremista che scatenò la rivolta sciita contro gli americani nel 2004 e per anni terrorizzò la popolazione sunnita. Nei quartieri che occupava si applicava la dura legge del taglione e una interpretazione intransigente della sharia, esattamente come nell’Iran degli ayatollah. Moqtada al Sadr ha abbandonato da anni la lotta armata, ma non un piglio securitario e populista che lo contraddistingue. Ed è soprattutto per questi motivi che si è alleato con il Pci e cerca voti fra i quartieri più poveri e devastati delle periferie irachene. In Italia non dovrebbe sorprendere: anche nel nostro paese la sinistra extraparlamentare e parte del Pci erano entusiasti della rivoluzione khomeinista. In Iran, però, i comunisti del Tudeh, dopo aver partecipato alla rivoluzione contro lo Shah sono stati sterminati. I comunisti iracheni, forse, sottovalutano questo rischio.

In ogni caso, queste sono le forze minoritarie. La maggioranza già appartiene a movimenti e partiti sciiti solo teoricamente più moderati. Si ripresenta l’attuale premier, Haidar al-Abadi, con la sua lista Nasr, uscita dal partito Dawa. Dovrebbe essere lui il vincitore, stando alle prime proiezioni. Pur con tutte le difficoltà di fare delle proiezioni attendibili in una situazione difficile come quella irachena. A contendergli la premiership c’è ancora l’ex capo di governo, sempre sciita, Nouri al Maliki. E’ considerata soprattutto sua la responsabilità per la cocente sconfitta di Mosul e della piana di Ninive del 2014, quando l’Isis occupò un terzo del paese in poche settimane e quasi senza combattere. Sue furono le politiche settarie, tutte sbilanciate a favore degli interessi sciiti, che indussero i sunniti a consegnarsi all’Isis. Questo suo passato, probabilmente, gli impedirà di vincere, con il suo partito Dawa, un tempo maggioranza di governo. Ma conta di ottenere risultati sufficienti per permettergli di manovrare dentro la prossima maggioranza parlamentare. Poi c’è un terzo contendete sciita, anch’egli molto forte: Hadi al-Amiri, comandante delle milizie filo-iraniane che hanno combattuto e vinto contro l’Isis nella campagna di Mosul.

Al di fuori della politica araba irachena, il Kurdistan rappresenta un’altra incognita. La maggioranza assoluta dei curdi, dopo la vittoria nella guerra contro l’Isis, si sente parte di un’altra nazione, con una propria costituzione laica, un governo autonomo, forze politiche diverse dal resto dell’Iraq, il tutto difeso da un esercito parallelo, quello dei peshmerga. Proprio l’occupazione dell’Iraq centro-settentrionale da parte dell’Isis ha contribuito, non solo al rafforzamento dell’esercito curdo, ma anche alla separazione, fisica oltre che politica, del Kurdistan dal resto del paese. La maggioranza ha votato per l’indipendenza, ma il governo e la magistratura di Baghdad hanno annullato il risultato. L’esercito iracheno e le milizie sciite hanno occupato Kirkuk, la guerra civile si è conclusa in fretta, ma i curdi tuttora non si sentono parte del paese per cui dovrebbero votare.