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L'ECONOMISTA

José Pinera: non la Brexit ma la denatalità ucciderà l'Europa

Non si parla d'altro che di Brexit. Ma a demolire l'Europa, è un altro fattore: la cronica denatalità. Lo ricorda l'economista José Pinera, autore della storica riforma delle pensioni in Cile. Procedendo a questi ritmi di invecchiamento, i nostri sistemi previdenziali, mai realmente riformati, sono destinati a saltare.

Economia 02_07_2016
José Pinera

Altro che Brexit, in Europa “dovreste discutere dei tassi di crescita vicini allo zero, della disoccupazione strutturale generata da una legislazione rigida sul lavoro, della pervasività della regolamentazione, del welfare state che si avvicina alla bancarotta, in definitiva della mancanza di libertà economica”. A dirlo, nel corso di un evento organizzato a Roma dall'Istituto Bruno Leoni a Roma, è José Piñera, economista di fama mondiale che, fra il 1978 e il 1981, da ministro del Lavoro ha ideato una riforma pensionistica a capitalizzazione individuale che ha posto le basi dell'incredibile crescita vissuta dal Cile negli ultimi trent'anni.

Nella sua lezione dal titolo “Populismi. Lezioni latinoamericane per l’Europa”, Piñera ha messo il dito in una serie di storture che vedono l'Europa, ed in particolare l'Unione Europea, come una realtà sempre più vecchia, povera e incancrenita a tutti i livelli. Approfondendo i dati si scopre come, in effetti, le nazioni Ue siano malridotte sia sotto il profilo della denatalità che sotto quello della disoccupazione. Non solo: le due caratteristiche sono intimamente connesse fra loro.

Stando a quanto riporta il Cia World Factbook la nazione europea col maggior tasso di natalità risulta la Francia (paese con molti cittadini d'origine straniera e africana), al 160esimo posto nel mondo con 12,38 nascite ogni mille abitanti. Per trovare altre nazioni Ue bisogna scendere al 171° posto del Belgio (11,41 nascite ogni mille), al 173° del Lussemburgo e al 180° dei Paesi Bassi mentre sono fanalino di coda l'Italia al 213° (appena 8,74 nati su mille), la Grecia al 214°, la Germania al 217° e la Slovenia al 218°. Nazioni che stanno vivendo un vero e proprio inverno demografico che rischia di portarle all'estinzione se, invece al semplice tasso di natalità, si guarda alla fertilità: in questo caso solo la Francia, con 2,08 figli per donna, si avvicina al tasso di sostituzione per mantenere la popolazione costante, che i demografi fissano in 2,1.

E non è tutto. Se generalmente la povertà è correlata all'alto tasso di natalità – nelle prime venti nazioni con maggiore natalità 19 sono fra le più povere d'Africa, l'altra è l'Afghanistan – fra le nazioni più ricche vale il principio opposto. Si fanno più figli nei paesi in cui il futuro appare più promettente: così gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, entrambi con una disoccupazione che ruota attorno al 5,5%, hanno un tasso di natalità superiore alle nazioni europee, ad esclusione della Francia. Allo stesso modo in Norvegia (disoccupazione al 4,1%), Lussemburgo (5,7%), Olanda (7%), Svizzera (3,3%) e Liechtenstein (2,4%) si fanno più figli che in Italia (12,4%), Spagna (22,7%), Portogallo (13%) e Grecia (25,6%). Il motivo è piuttosto semplice: in quei paesi dove le prospettive di vita sono migliori è più facile pensare a un futuro. Non solo: alcuni delle nazioni citate, fra cui la Francia e la Norvegia, applicano politiche fiscali favorevoli nei confronti delle famiglie.

La situazione dell'Unione europea, e in particolare dei suoi Stati più in crisi, è simboleggiata alla perfezione dal famoso “foglietto” di Angela Merkel con le tre statistiche che la cancelliera cita in continuazione: l'Ue ha il 7% della popolazione mondiale, produce il 25% del Pil ma brucia il 50% della spesa per il welfare. Un mix mortale specie per quelle nazioni che, come la nostra, hanno un sistema a ripartizione in base al quale i giovani che lavorano pagano direttamente la pensione dei vecchi. Appena un paio di mesi fa il presidente dell'Inps Tito Boeri ha lanciato l'allarme secondo cui – per non far fallire la previdenza - i giovani nati nel 1980 dovranno andare in pensione a 75 anni. Questa condizione non nasce solo dall'impossibilità di ritoccare verso il basso le pensioni troppo generose o anticipate (ogni tentativo di ricalcolo o contributo di solidarietà è sempre stato bocciato dalla Corte costituzionale), ma dall'aumento della disoccupazione che produce un ulteriore disequilibrio in un sistema già precario. Con meno giovani che lavorano si riducono, infatti, i contributi pagati e la cassa pensionistica va in crisi: una cosa che non succede nei sistemi a capitalizzazione dove ogni lavoratore paga la propria pensione.

Se il trend della denatalità proseguirà con questi ritmi non sarà possibile garantire né la crescia economica né le pensioni. Lo devono tenere bene a mente coloro che pensano che saranno gli immigrati a pagare le pensioni: a parte la follia dell'idea di usare gli stranieri come “sostituti” ciò sarebbe possibile, al limite, solo se si riducesse la disoccupazione e tutti avessero la possibilità di lavorare. Se si vogliono davvero risolvere i problemi sarebbe dunque meglio agire su incentivi fiscali a famiglie e imprese e, magari, pensare di cambiare il sistema pensionistico una volta per tutte. Nel Cile di Piñera è andata bene, forse bisognerebbe seguine l'esempio.