Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Marco a cura di Ermes Dovico
BALCANI

Kosovo, un delitto oscuro può far saltare la pace

Oliver Ivanovic, un politico serbo del Kosovo settentrionale, è stato assassinato ieri mattina nella città di Mitrovica, divisa fra kosovari serbi e albanesi. Il movente è sconosciuto. Politico moderato, era mal visto sia dalla malavita locale che dagli albanesi. L'omicidio è una scintilla che può far scoppiare di nuovo l'incendio.

Esteri 17_01_2018
Oliver Ivanovic

Oliver Ivanovic, 64 anni, un politico serbo del Kosovo settentrionale, è stato assassinato ieri mattina. I killer lo hanno colpito con numerosi proiettili, dalla loro auto in corsa, mentre si trovava di fronte al suo ufficio, nella città di Mitrovica, divisa fra kosovari serbi e albanesi. La causa della sua uccisione è ancora avvolta nel mistero. Ma il fatto di sangue rischia di spezzare la fragile tregua che ancora regge nel Kosovo, a dieci anni dalla sua proclamazione di indipendenza dalla Serbia e a vent’anni dalla fine della guerra civile.

Chi aveva interesse a uccidere Oliver Ivanovic? Tanti. Ivanovic non era un politico durante la guerra. Era un ingegnere che sognava di fare il pilota e per hobby era cintura nera di karate. Era manager delle miniere Trepca, un complesso estrattivo che dava lavoro a 23mila persone e produceva i due terzi del Pil del Kosovo, allora regione serba a maggioranza albanese. Ivanovic entrò in politica subito dopo la guerra, nell’estate del 1999, dopo l’intervento Nato, il ritiro delle forze di sicurezza serbe (allora ancora jugoslave) e l’arrivo dei contingenti internazionali. Iniziò guidando le ronde di vigilanza sul ponte dell'Ibar che divide le due comunità, per proteggere la minoranza serba, tanto da guadagnarsi il soprannome di "uomo del ponte". Quel che fece durante la guerra civile, nelle fila delle forze di sicurezza jugoslave, è tuttora oggetto di indagine. A quindici anni dalla fine del conflitto, è stato accusato di crimini contro la maggioranza albanese (dell'uccisione di 10 albanesi), processato da un tribunale della missione Eulex e condannato a 9 anni di carcere nel 2016. L’anno dopo, però, il tribunale d’appello di Pristina (capitale del Kosovo, che la Serbia non riconosce) venne scagionato. La corte ordinò di rifare il processo. Se si tiene presente questa parte della sua storia, si potrebbe pensare a una pista albanese-kosovara: qualcuno ha voluto farsi giustizia da sé?

C’è però un altro sospetto, stavolta sulla criminalità locale. Ivanovic, che non si è mai presentato alle elezioni come candidato estremista, esponente del partito SDP (Libertà Democrazia Giustizia) era conosciuto dai colleghi come “un uomo di pace e cooperazione”. Ha ricoperto cariche sia locali, sia ministeriali nel governo di Belgrado, come segretario di Stato del Ministero del Kosovo-Metohija. La prima cosa che disse, una volta scarcerato nel 2017, fu che i serbi del Kosovo, non temono tanto gli albanesi, quanto “criminali locali che corrono nelle loro jeep prive di targa”. In un’intervista disse che “la droga viene venduta ad ogni angolo di strada e ogni genitore ne è al corrente”. Disse in quella occasione che nel corso degli anni aveva assistito ad almeno cinquanta casi di auto bruciate per intimidazione, lancio di bombe a mano e due casi di omicidi ancora irrisolti. “Tutto ciò avviene – diceva nell’intervista rilasciata alla radio serba B92 – in un territorio di appena 2,5 chilometri quadrati, completamente coperti da telecamere di sorveglianza”. Concludeva che “è ovvio che la polizia sia al corrente di ciò che avviene e non agisce per non dar fastidio a chi commette i crimini, oppure i criminali sono essi stessi parte dell’apparato di sicurezza”. Dopo queste interviste, la sua auto era stata data alle fiamme, esattamente come tutte le altre intimidazioni che lui stesso aveva denunciato. E ieri è stato ucciso: potrebbe essere l’eliminazione di un politico diventato troppo scomodo?

Fatto sta che, ogni giorno che passa dal delitto, finché non si troverà un colpevole, la tensione nel Kosovo si alzerà di nuovo. Perché i serbi accusano gli albanesi e gli albanesi puntano il dito sui serbi accusandoli di voler destabilizzare la regione. Per gettare acqua sul fuoco, il governo del Kosovo denuncia l’assassinio come “una grave violazione dello Stato di diritto e un attacco al tentativo di far rispettare la legge nell’intero territorio kosovaro”. Il presidente Hashim Thaci prega tutti i cittadini del Nord Kosovo, albanesi e serbi, di contribuire alle indagini, per far sì che “sia fatta luce sulle circostanze del delitto e i colpevoli siano portati a cospetto di un giudice”. Per il governo.

La delegazione della Serbia che sta negoziando a Bruxelles con l’Unione Europea, per una soluzione definitiva della questione kosovara, ha abbandonato il negoziato in segno di protesta subito dopo che è giunta la notizia dell’assassinio di Ivanovic. “L’omicidio di Ivanovic – ha dichiarato il capo negoziatore serbo Marko Djuric – è un tentativo di spingere il popolo serbo nel caos, di spingere la Serbia nel caos (…) Chiunque sia il colpevole, serbo, albanese o chiunque altro, deve essere punito”.

Haradinaj, primo ministro del governo di Pristina, ha dichiarato sul suo profilo Facebook che “strumentalizzare politicamente questo tragico evento per bloccare il processo di normalizzazione fra i due paesi (Serbia e Kosovo, ndr) è contro la logica e lo spirito della cooperazione”. E in questo modo condanna il ritiro della delegazione serba da Bruxelles. Da Belgrado, il presidente serbo Aleksandr Vucic definisce l’omicidio come “un atto di terrorismo” e chiede alle missioni internazionali nel Kosovo di permettere un’indagine delle forze di polizia serbe sul territorio. “La Serbia – ha dichiarato il presidente – compirà tutti i passi necessari perché l’assassino o gli assassini siano trovati”.

E così, mentre gli assassini sono ancora a piede libero, il movente è ancora ignoto e l’Alta Rappresentante europea Federica Mogherini invita le parti “alla calma e alla prudenza”, fra kosovari albanesi e serbi tornano a volare parole grosse. La “normalizzazione” fra loro appare ancor più lontana, dopo quei colpi di mitra.