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JIHAD IN AFRICA

La Chiesa accanto ai popoli perseguitati da Boko Haram

Boko Haram non lascia in pace i profughi fuggiti dalla Nigeria per riparare nel vicino Camerun. Il movimento armato jihadista Boko Haram si è spaccato al suo interno e ha dato inizio a una guerra nella guerra. La Chiesa è la prima a pagare la brutalità dei jihadisti, ma resta accanto alle popolazioni vessate.

Esteri 26_05_2017
Boko Haram e il Camerun

Fino al 2014 chi fuggiva dal terrore di Boko Haram trovava in Camerun rifugio e accoglienza. Attraversato il confine, che dista soli 142 km da Maiduguri, il cuore di Boko Haram, si arriva in una zona fertile, un pezzo dell’immenso bacino del Lago Ciad, in cui è facile costruire rudimentali baracche e trovare un riparo. Così nascono i campi profughi, campi per quelli che vivono in una “terra di nessuno”. Qui giungono camion con gli aiuti internazionali per la sopravvivenza ma il governo del Camerum non riconosce lo status di rifugiati agli sfollati e quindi non li accoglie ufficialmente e non li protegge. 

Se il confine è vicino per chi fugge, è vicino anche per i jihadisti. Boko Haram, che in lingua hausa significa «libri occidentali vietati» o «l’educazione occidentale è proibita» e che in verità si chiama «Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e per il jih?d», è praticamente nato sulle sponde del Lago Ciad. 

Fondato da Ustaz Mohammed Y?suf (1970-2009) nel Borno, uno dei trentasei Stati della Nigeria situato nella regione nord-est, voleva contribuire alla formazione ed educazione dei giovani nigeriani. Per questo all’inizio ottiene dal governatore federale i contributi per costruire una moschea con attigua scuola in modo che le famiglie più disagiate possano mandare a scuola gratuitamente i propri figli. Impone che si parli solo l’arabo, mettendo al bando l’inglese. Ben presto passa ad attaccare il governo accusandolo di essere corrotto e colluso con i poteri occidentali e di favorire la corruzione del proprio popolo, discriminando per di più i musulmani anche se questi sono la maggioranza del Paese. Dichiara di essere contrario alla democrazia, strumento di perversione imposto dall’Occidente, e di non appartenere a nessuna delle quattro scuole giuridiche islamiche, ma di affondare le proprie radici nella pura dottrina salafita. Il mito di riferimento è l’ottocentesco Stato di Sokoto. I leader musulmani che collaborano con l’Occidente sono apostati e quindi si può, anzi si deve, combattere contro di loro.

Come ci insegna il caso dei Talebani, all’inizio questi movimenti hanno un comportamento pubblico che è border line rispetto alla violenza ma che non si configura come guerriglia e terrorismo, è più simile a quello della gang. Nel 2009, dopo un controllo della polizia durante un funerale e il ritrovamento di armi e bombe, i leader del gruppo vengono arrestati; fra questi anche Y?suf, che poi morirà in carcere. Un’offensiva della polizia porta a distruggere scuole e moschee, ma anche a lasciare sul terreno molte vittime. Assume la guida Abubakar Shekau (1974-), nato in Niger, che opera il passaggio all’azione violenta con una serie di attentati e firma un accordo con al-Qaida in cui, per la prima volta, si esplicita l’intento di operare una «pulizia religiosa», cioè di eliminare i cristiani dalle zone africane a maggioranza musulmana.

Dal 2009 ad oggi si stima che il conflitto abbia prodotto più di 20.000 vittime e molti milioni (impossibile sapere quanti) di sfollati nelle aree del lago e di profughi verso il Nord Africa. Attentati in luoghi pubblici, specialmente chiese e scuole cristiane, rapimenti di massa di ragazze destinate alla schiavitù, assalti a centri urbani con migliaia di vittime sono diventati la regola pressoché quotidiana.

Nel 2014 il gruppo estende i confini fino a conquistare Mubi, una città di 200.000 abitanti nello stato di Adamawa. Ciò causa l’intervento massiccio dell’esercito per riconquistarla. Nei territori controllati, Boko Haram introduce il rispetto della shar?’a. La Nigeria, che è uno Stato federale, ha alcuni Stati a maggioranza islamica con legislazione sharaitica e quindi con un regime legale differenziato per i musulmani e i non musulmani: ci sono norme che riguardano per esempio la modestia dell’abbigliamento femminile, l’adulterio, la vendita di alcool, che valgono solo per i musulmani mentre ai cristiani viene garantita dalla Costituzione nigeriana – almeno in teoria – la libertà religiosa. Boko Haram chiede che la shar?’a sia applicata a tutti, musulmani e non, con lo scopo ultimo di espellere tutti i cristiani dalla Nigeria del Nord e avere uno spazio totalmente islamizzato. 

Il legame con al-Qaida si rompe, tentano di boicottare le elezioni nigeriane, senza però riuscirvi, e nel marzo 2015 il capo Shekau promette fedeltà ad al-Baghd?d? sottomettendo i suoi territori al Califfato dell’IS. Se ne trova conferma in un articolo apparso sul numero sul numero 8 (pp.14-16)  di Dabiq, versione inglese, (la patinata rivista considerata l’organo ufficiale di Daesh):  “On the 16th of Jum?d? al-?l? (7 marzo 2015) the muj?hid Shaykh Ab? Bakr Shekau (hafidhahull?h), leader of Jam?’at Ahlis-Sunnah lid-Da’wah wal-Jih?d (nome arabo di Boko Haram) in West Africa, announced his group’s bay’ah (giuramento di fedeltà) to Am?rul-Mu’min?n br?h?m Ibn ‘Aww?d al-Qurash? (uno dei titoli con cui al-Bagdhadi si fa chiamare dai suoi)”.

Negli ultimi mesi, con la perdita quasi certa di gran parte del territorio di Daesh in Siria e Iraq, molti analisti hanno preso in considerazione l’ipotesi che il sedicente califfo possa trasferire il suo quartier generale nei territori di Boko Haram, protetto dalle paludi del Lago Ciad. L’ipotesi aveva, ed ha, senza dubbio un suo fondamento ma con il passare del tempo è diventata sempre più difficile da praticare perché anche Boko Haram sta attraversando una serie di problemi interni legati all’ambigua figura del suo leader, Abubakar Shekau. 

Nell’agosto 2016 il quartier generale di Daesh avrebbe ritirato la sua fiducia a Shekau e lo avrebbe sostituito con Abu Musab al-Barnawi, figlio 22enne di Mohammed Yusuf. Shekau ha replicato rifiutando l’avvicendamento e sancendo di fatto la spaccatura del movimento. Non è una bella notizia: le due fazioni hanno cominciato a contendersi, tra di loro e con le forze di sicurezza degli stati confinanti, gli effimeri arcipelaghi creati dal Lago, in un tutti contro tutti che somma conflitto a conflitti, peggiorando ulteriormente la condizione degli insediamenti civili.

L’area del Lago Ciad sta diventando sempre di più importante. Incubo dei cartografi per la sua altalenante estensione – nel 1870 si estendeva per 28.000 kmq oggi per 1.500 (il Lago di Garda è 370 kmq) ma con l’affievolirsi delle siccità ai margini del suo immenso bacino idrografico alcuni ne ipotizzano una parziale rinascita – ospita circa 30 milioni di abitanti e sulle sue coste si affacciano Nigeria, Niger, Ciad, e Camerun. Il Camerun arriva a inglobare il lago con la parte più lunga e stretta del suo territorio, il cosiddetto “dito”, uno stretto corridoio fra Nigeria e Ciad fortemente voluto dal governo coloniale tedesco nel XIX Secolo al fine permettere alla Germania di accedere alle sponde del Lago in competizione con Francia e Regno Unito. 

Questo remoto angolo settentrionale del Camerun ospita 191.000 sfollati interni e 360.000 rifugiati esterni. Lo scorso 24 febbraio alla Oslo Humanitarian Conference è stato indicato come una delle aree a maggior rischio di carestia del mondo. L’esempio più evidente è il campo profughi di Minawao, lungo il confine Camerun-Nigeria poco più a sud del Lago Ciad. Nato nel 2013, è passato in questi anni da 18.000 a 60.000 ospiti, occupa 623 ettari e ogni settimana vi nascono 60 bambini.

Da quando, nel 2013, il Camerun ha deciso di contrastare militarmente Boko Haram a causa della pressione che quest’ultimo esercitava sulla sua regione dell’estremo Nord, il paese è stato oggetto di 360 attacchi e di più di 50 attentati suicidi per un totale stimato di circa 1600 vittime.

In una realtà così difficile, l’unica presenza che resta costante è quella della Chiesa cattolica e questo da molto fastidio agli attivisti del jihad. Infatti la strategia del terrore include numerosi rapimenti, come quello avvenuto nel 2014 ai danni dei sacerdoti italiani don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri e della religiosa canadese Gilberte Bussier 

«Noi missionari siamo i più a rischio – spiega fratel Mussi, missionario del Pime e coordinatore della Caritas nella diocesi di Yagoua - perché siamo gli unici stranieri rimasti in questa regione. La Chiesa in Camerun è sempre rimasta presente, anche quando le altre realtà assistenziali si sono ritirate».

E perché la Chiesa cattolica insiste nel voler rimanere nonostante l’alto pericolo che vive ogni giorno? Perché la Chiesa vuole difendere chi non può farlo da solo, vuole educare i giovani perché solo questo può frenare il reclutamento in atto da parte dei gruppi jihadisti. Tra il 2015 e il 2016 sono state chiuse 124 scuole - che ospitavano oltre 66.000 studenti – perché i locali servivano ad ospitare militari e sfollati. Oggi la Chiesa sta cercando di ricostruire per riprendere il suo ruolo di sempre, essere madre e maestra dei suoi figli. In Africa oggi la Chiesa è la prima a pagare di persona la brutalità del fondamentalismo ma è anche la prima che resta accanto alle popolazioni vessate e martoriate per rispondere al fondamentalismo con la forza della Verità che è Cristo.