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IL FORUM DI PECHINO

La Cina è diventata il maggior creditore dell'Africa

Dal 2000 al 2016, la Cina ha prestato ai suoi partner in Africa 125 miliardi di dollari. Ora si appresta a investirne altri 60, in prestiti senza interessi, linee di credito, sviluppo delle infrastrutture e importazioni. Sono gli esiti del Forum di Pechino sulla cooperazione Cina-Africa. La Cina investe senza chiedere condizioni politiche, solo economiche

Esteri 05_09_2018
Pechino, forum Cina-Africa

Il 3 e 4 settembre si è svolto a Pechino il settimo Forum sulla cooperazione Cina-Africa, un evento che si tiene ogni tre anni dal 2000. Quest’anno all’appuntamento manca soltanto un paese, lo Swaziland, o per meglio dire lo eSwatini, come di recente è stato ribattezzato il regno africano per volontà del suo re, Mswati III. È assente perché è l’unico stato del continente che ancora respinge la richiesta cinese di interrompere i rapporti diplomatici con Taiwan. “Non insistiamo – tiene a precisare l’inviato speciale per l’Africa, Xu Jinghu – aspettiamo il momento giusto e crediamo che presto o tardi arriverà”.

Ci sono in effetti 60 miliardi di buone ragioni per accantonare le questioni di principio: i 60 miliardi di dollari in investimenti, prestiti e finanziamenti che la Cina intende destinare ai paesi africani nei prossimi tre anni: 15 miliardi per prestiti senza interessi, 20 per l’apertura di linee di credito, 10 per lo sviluppo, 5 per finanziare importazioni dall’Africa. Si aggiungono a quelli che il governo e le banche cinesi hanno già prestato e investito nel corso degli anni confermando Pechino il primo partner economico dell’Africa.

“La Cina non pone condizioni politiche per i propri investimenti in Africa – ha detto il presidente cinese Xi Jinping durante il primo giorno del summit – la Cina non intende interferire negli affari interni dell’Africa né imporre la propria volontà. Quel che conta per noi è la condivisione del processo di sviluppo e il sostegno che possiamo offrire al rinnovamento e alla prosperità del continente africano”.

Questo discorso ai capi di stato e di governo africani deve essere piaciuto molto. Hanno sempre denunciato con vibrante indignazione l’arrogante  “pretesa” dei paesi occidentali – quelli che provvedono alla quasi totalità dei fondi destinati alla cooperazione internazionale allo sviluppo multilaterale e bilaterale – di porre delle condizioni, avanzare delle richieste: democrazia, rispetto dei diritti umani, buon governo, tutela dell’ambiente e tanto altro ancora. All’atteggiamento “da colonialisti”,  indisponente, umiliante, inaccettabile di chi, solo perché concede dei fondi, vuole dettare legge, preferiscono quello cinese, “profondamente rispettoso delle tradizioni e della dignità altrui”. 

Il presidente Xi Jinping però ha anche detto che le risorse della cooperazione tra Cina e Africa d’ora in poi non devono essere spese in progetti inutili, di prestigio, di facciata e non succederà: “verranno utilizzate per realizzare ciò che più serve” ha sottolineato.

Questo invito alla sobrietà deve essere piaciuto assai meno ai leader africani che finora hanno usufruito dei prestiti e dei finanziamenti cinesi per realizzazioni necessarie – aeroporti, porti, linee ferroviarie e altre infrastrutture – ma anche per tanti progetti costosissimi dalla dubbia resa e utilità, spendendo spensieratamente, come al solito, senza preoccuparsi di accumulare debiti su debiti e con la consueta disinvoltura: con gli esiti prevedibili.

Una delle realizzazioni di cui più si è fatto vanto in questi anni in Africa, esempio clamoroso dei risultati della cooperazione tra Cina e Africa, è la East Africa Railway, una linea ferroviaria di alta velocità che collega la capitale del Kenya Nairobi al porto più importante del paese, Mombasa, riducendo a meno della metà i tempi di percorrenza rispetto alla Uganda Railway costruita dall’amministrazione britannica e in funzione dal 1901. Si prevede l’estensione della East Africa Railway con l’obiettivo di collegare all’oceano Indiano il Sudan del Sud, l’est della Repubblica democratica del Congo, il Rwanda, il Burundi e l’Etiopia. L’opera, costata 3,2 miliardi di dollari, è stata possibile grazie a un prestito di 3 miliardi di dollari concesso dalla banca cinese Exim, da restituire in 15 anni. Il governo del Kenya ha respinto le accuse che il costo del progetto fosse eccessivo, insostenibile. Di recente sono state depositate denunce di corruzione a carico di alcune società che hanno partecipato alla costruzione. Inoltre, a un anno dalla inaugurazione, avvenuta il 1° giugno 2017, si calcolano perdite per circa 100 milioni di dollari. Se non saranno ricuperate, ci saranno serie ripercussioni sull’economia del paese quando a partire dal 2019 bisognerà incominciare a restituire il prestito.

Come il Kenya, così molti altri stati africani. Durante il Forum di Pechino il presidente Xi Jinping ha annunciato che cancellerà i prestiti senza interessi di cui alcuni paesi africani poveri in scadenza nel 2018. Forse i governi africani sperano in un programma globale di remissione del debito che prima o poi li sollevi tutti dall’onere di restituzione, prendendo a esempio lo Hipc, acronimo inglese dell’iniziativa in favore dei paesi poveri altamente indebitati varata nel 1996: un fondo di 75 miliardi di dollari per rimborsarne i debiti contratti con Fmi e Banca Mondiale, messo a disposizione da un gruppo di paesi occidentali tra cui l’Italia, e che finora si è fatto carico dei debiti di 36 paesi africani.

La Cina è diventata non solo il primo partner economico del continente, ma anche il suo maggiore creditore. Si calcola che tra il 2000 e il 2016 Pechino abbia imprestato ai paesi africani circa 125 miliardi di dollari.