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GUERRA E LETTERATURA/X

La follia futurista della guerra "igiene del mondo"

Marinetti glorificava la guerra come «sola igiene del mondo» ed insieme esaltava «il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Il suo movimento, il Futurismo, fu determinante nell'interventismo.

Cultura 14_01_2018
Il BLVCA, il battaglione in cui si arruolarono i futuristi nel 1915

Non si riducono certo ad Ungaretti, Rèbora e Montale le testimonianze documentarie relative alla Grande Guerra. Non si può dimenticare che tanti altri intellettuali si sono confrontati con l’esperienza del conflitto: basti ricordare Piero Jahier, Renato Serra, Scipio Slataper, Ardengo Soffici, Gabriele d’Annunzio, Carlo Emilio Gadda, Alberto Savinio, Curzio Malaparte, Carlo Betocchi, Emilio Lussu tra gli italiani oppure Ernest Hemingway, Ernst Jünger, Erich Maria Remarque tra gli stranieri. Su molti di loro ci soffermeremo nelle prossime settimane.

Vorremmo ora presentare, però, un movimento che fu acceso interventista nel dibattito che si svolse nel nostro Paese riguardo alla Grande Guerra. Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) pubblicava il Manifesto futurista sul quotidiano francese Le figarò. Nasceva così un movimento artistico-letterario che avrebbe influenzato in maniera considerevole non solo la concezione della poesia e del ruolo del poeta, ma anche la cultura contemporanea. Lo stesso battage pubblicitario che ha diffuso il verbo futurista in Italia e in Europa fu anticipatore della modalità contemporanea di concepire la cultura e l’arte come fatto economico, politico e commerciale. Al Futurismo aderirono letterati come Govoni, Palazzeschi, Buzzi, Cavacchioli, o artisti come Boccioni e Balla. A Firenze nacque la rivista Lacerba che ebbe, però, vita breve (dal 1913 al 1915).

Nel 1909, quando scrisse il manifesto, Marinetti aveva trentatré anni. Dopo aver studiato in Francia, affascinato dalla poesia simbolista incline al verso libero e all’analogia, compose i suoi primi testi in lingua francese. Ora con il Manifesto del futurismo Marinetti approdava ad una polemica antipassatista scrivendo: «La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un (sic) automobile da corda col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo è più bello della Vittoria di Samotracia”». E ancora: «Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile?». Il furore iconoclasta e irriverente si traduceva in una furia distruttiva che voleva abolire «i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie». Opponendosi alla riflessione, all’estasi, alla staticità il futurismo esaltava «il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, […] lo schiaffo e il pugno». Il Manifesto futurista si configura come un’aperta ostilità nei confronti di tutta la tradizione estetica occidentale, dal fondamento classico-cristiano, improntata alla «Kalokagathia», cioè ad una bellezza che è anche bontà.

Già nelle poche righe pubblicate sul giornale francese, un po’ di anni prima dello scoppio della Grande Guerra, Marinetti glorificava la guerra come «sola igiene del mondo» ed insieme esaltava «il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Così Marinetti lanciava per il mondo un «manifesto di violenza travolgente e incendiaria».

È evidente qui che, se da un lato degradava arte e letteratura subordinandole al progresso tecnologico-scientifico, dall’altro Marinetti proponeva l’ideale di un intellettuale promotore di un cambiamento della società e punto di riferimento per un giudizio autorevole. Questa posizione di svalutazione dell’arte e dei valori tradizionali e di valorizzazione dell’intellettuale sarà tipica dell’Italia del secondo Novecento in cui troppo spesso l’artista si dimenticherà della bellezza e si interesserà all’indottrinamento delle masse.

Al Manifesto futurista sarebbero seguiti i manifesti tecnici nei diversi campi. Del 1912 uscì il Manifesto tecnico della letteratura, firmato dallo stesso Marinetti, che aprì la strada alla destrutturazione della sintassi proponendo, spesso, «parole in libertà», sconnesse o aggregate tra loro con i segni tipici del linguaggio logico–matematico, oppure un’«immaginazione senza fili» come Marinetti denominò la libertà assoluta nell’associazione delle immagini. La commistione di due codici differenti, quello linguistico e quello matematico, puntava ad accentuare la desemantizzazione dell’espressione poetica. Nata per comunicare esperienze, emozioni, miti, storie, la poesia tradiva così se stessa, divenendo un mondo a parte, slegato dalla realtà.

In seguito, nel dibattito sull’ingresso dell’Italia nella Grande guerra, i futuristi si schierarono tra gli interventisti. Nel 1915 venne pubblicata la raccolta di saggi di Marinetti Guerra, sola igiene del mondo. Nelle pagine Marinetti racconta il successo delle serate futuriste organizzate in seguito alla pubblicazione del Manifesto. Molti importanti quotidiani dedicarono spazio alle serate come pure all’influenza che ebbe il movimento sul romanzo dannunziano Forse che sì forse che no. Marinetti ricorda, ad esempio, la serata tenuta al Teatro lirico di Milano dinanzi a migliaia di spettatori «in onore e in difesa del generale Asinari di Bernezzo ingiustamente messo a riposo per aver pronunciato davanti alle sue truppe un discorso troppo futurista contro l’Austria». Allora Marinetti lanciò il grido: «Viva la guerra, sola igiene del mondo! Abbasso l’Austria!». La polizia entrò nel teatro e Marinetti venne arrestato.

Le serate futuriste si diffusero per l’Italia (a Venezia, a Trieste, etc.) e fuori dal territorio nazionale. In Spagna il programma futurista venne pubblicato sulla rivista «Prometeo» di Madrid nel giugno 1911. Nel saggio Guerra, sola igiene del mondo Marinetti inserì anche il primo romanzo impostato secondo le norme del nuovo movimento: Mafarka il futurista. Vi leggiamo: «Disprezzate la donna» e «Glorifichiamo la guerra». Soprattutto, l’autore esaltava la morte conseguita con atti di coraggio, di eroismo, di vitalità militare: «Facciamo splendere tutti i momenti della nostra vita, con atti di volontà impetuosa, di rischio in rischio, corteggiando continuamente la morte, che come un rude bacco renderà eterni, in tutta la loro bellezza, i frammenti della nostra materia memore».

Troviamo, poi, il breve testo Guerra, sola igiene del mondo da cui è mutuato il titolo dell’intera raccolta. Nelle pagine Marinetti si schierò contro gli anarchici che ponevano come ideale «la pace universale» contrapponendo «come principio assoluto […] il divenire continuo e l’indefinito progredire, fisiologico ed intellettuale, dell’uomo». Scriveva l’autore: «Consideriamo come superata ed ancora superabile l’ipotesi della fusione amichevole dei popoli e non ammettiamo al mondo che un’unica igiene: la guerra». I futuristi volevano strappare «l’amore dell’antico e del vecchio, […] l’amore del nuovo, il disprezzo della gioventù, la venerazione del tempo, degli anni accumulati, dei morti e dei moribondi, il bisogno istintivo di leggi, di catene e di ostacoli, la paura di una libertà totale». Volevano liberare l’umanità dal «gran problema dell’amore».

Così, più tardi nel saggio, nelle pagine intitolate Contro l’amore e il parlamentarismo di nuovo Marinetti cantava il disprezzo della donna e dell’amore che ostacolava «la marcia dell’uomo», perché gli impediva «d’uscire dalla propria umanità». («L’amore non è altro che un’invenzione dei poeti, i quali la regalarono all’umanità».

Non proseguiamo oltre nell’analisi di quelle parole che circolarono nei teatri, nelle case degli Italiani che leggevano, nelle piazze di quanti si radunavano per ascoltare una parola decisiva riguardo all’opportunità del Paese di entrare in guerra. Alla fine la scelta fu presa a favore dell’intervento.

Che cosa successe ai futuristi dopo l’entrata in guerra? Partirono come volontari nel BLVCA, acronimo per battaglione volontari ciclisti automobilisti, capeggiati da Marinetti. Tra questi vi erano molti artisti, come Boccioni, Bucci, Erba, Funi, Sant’Elia, Sironi. Dopo un paio di mesi il battaglione fu sciolto. Questo fu il bilancio: 72 caduti, 93 mutilati, 206 feriti. Nell’agosto del 1916 morì Boccioni durante un’esercitazione, nell’ottobre dello stesso anno scompariva Sant’Elia, autore del Manifesto dell’architettura futurista. Marinetti, tornato al fronte nel 1917, venne ferito e decorato.

Il movimento si spense sostanzialmente con la fine della Grande Guerra. Marinetti fondò il Partito Politico Futurista che vantava tra i punti da attuare lo «svaticamento dell'Italia». Il partito sarebbe poi confluito nel Partito fascista da cui Marinetti rimase sostanzialmente deluso. Proprio colui che si era proposto come ribelle per eccellenza, corifeo di istanze eversive e rivoluzionarie, divenendo Accademico d’Italia finiva per integrarsi nel potere e per inquadrarsi in un sistema in cui le parole d’ordine erano omologazione ed obbedienza. È una storia già vista in tanti rivoluzionari.