Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE

La fragile tregua a Gaza e i costi della pace

Il conflitto a Gaza non è mai finito. Dall’11 al 14 novembre: quasi 500 razzi lanciati da Hamas contro Israele e rappresaglia dell'aviazione israeliana su Gaza. La tregua, che era iniziata nei giorni precedenti, è stata però ripristinata in poco tempo. Il Qatar paga Hamas, l'Egitto si fa garante della tregua, il governo Netanyahu si spacca.

Esteri 16_11_2018
Tel Aviv, la protesta israeliana contro il cessate-il-fuoco con Hamas

Il conflitto a Gaza non è mai finito. Nei giorni scorsi, dall’11 al 14 novembre, abbiamo assistito alla sua ennesima recrudescenza.

Il generale Ariel Sharon credeva di porre termine al conflitto quando, in veste di primo ministro, optò per la soluzione di un ritiro unilaterale di militari e civili israeliani dal territorio della Striscia di Gaza. Era il 2005. Tredici anni dopo, gli scontri continuano, intensi come nei primi anni 2000, specie da quando il movimento islamista Hamas ha preso il potere con un colpo di Stato (strappandolo al partito Fatah) nel 2007. Nei tre giorni di fuoco di questo fine settimana, Hamas ha lanciato quasi 500 razzi contro le città israeliane del Sud. L’aviazione israeliana ha risposto colpendo un centinaio di obiettivi nella Striscia di Gaza. Il bilancio delle perdite palestinesi è di 5 miliziani e 2 civili morti. In Israele si registra un unico morto, paradossalmente un palestinese di Hebron, ucciso da un razzo palestinese nella casa in cui alloggiava ad Ashkelon.

L’escalation è stata improvvisa, in un periodo di calma apparente. Dopo otto mesi di manifestazioni palestinesi al confine con Israele, ogni venerdì, con attacchi incendiari di Hamas contro i campi delle aziende agricole israeliane, si era giunti a una sorta di tregua. Visto che l’Autorità Palestinese non paga i dipendenti pubblici di Gaza, perché continua il conflitto fra Fatah (che controlla l’Autorità in Cisgiordania) e Hamas, è stato il Qatar a versare nelle casse statali della Striscia, 15 milioni di dollari, prima tranche di una donazione di 90 milioni. Israele, finora, aveva sempre fatto il possibile per bloccare queste forme di finanziamento, ma nei giorni scorsi aveva lasciato correre e i milioni di petroldollari erano giunti felicemente a destinazione, in cambio della promessa di una tregua.

Come si è giunti, allora, all’escalation improvvisa di violenza? Per un’operazione segreta israeliana, i cui contorni sono ancora oscuri. Si sa che, l’11 novembre notte, in uno scontro a fuoco a Khan Younis, nella Striscia di Gaza, sono morti Nur el Din Baraka, comandante locale delle milizie di Hamas e un suo luogotenente, mentre da parte israeliana è morto un ufficiale delle forze speciali, il cui nome è tuttora coperto da segreto militare. Secondo fonti ufficiose, gli israeliani avrebbero infiltrato in Gaza un’unità di forze speciali per spiare i movimenti di Hamas, perché evidentemente già qualcosa bolliva in pentola. Scoperti, gli israeliani sarebbero stati attaccati a Khan Younis e avrebbero avuto la meglio, nonostante la perdita del loro comandante. Da qui è partita l’offensiva di Hamas, con decine di razzi lanciati ogni ora contro le città israeliane del Sud. A cui, a sua volta, l’aviazione israeliana ha risposto colpendo un centinaio di obiettivi nella Striscia.

Mentre crisi di questo tipo, solitamente, sfociavano in un conflitto aperto, questa volta la tregua, appena interrotta, è stata ripristinata. Con una riunione d’emergenza del governo, durata sei ore, Netanyahu ha accettato la mediazione dell’Egitto, che si fa garante del cessate-il-fuoco. La decisione di interrompere le ostilità ha comunque comportato un prezzo politico salato. Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha rassegnato le dimissioni in segno di protesta e potrebbe aprire una crisi nella maggioranza. Lieberman ha ritenuto che la risposta militare di Israele al lancio di razzi di Hamas fosse “inconsistente”, dunque il governo non è in grado di garantire un futuro alla popolazione del Sud, che ora, dichiara il ministro, non si sente neppure di “guardare negli occhi”. Quali ragioni immediate delle sue dimissioni, Lieberman cita i 15 milioni del Qatar diretti a Hamas che il governo, per quieto vivere, non ha fermato, ma che non hanno impedito la guerra. E cita la riunione di governo in cui si è accettata la mediazione dell’Egitto senza il suo consenso.

Dopo questa crisi, Hamas si considera il vincitore. Militarmente ha perso, ma politicamente ha vinto. Ha consolidato il controllo sulla popolazione di Gaza, pur accettando una tregua con Israele ha fatto capire ai suoi che è ancora in grado di combattere una guerra. Alla conclusione delle ostilità, a Gaza è iniziata la festa mentre il governo di Gerusalemme entrava in crisi, e gli israeliani vittime dei razzi palestinesi, sentendosi abbandonati, sono scesi in piazza. Hamas non è neppure più isolato come pareva. Il Qatar lo foraggia per motivi ideologici. L’emirato appoggia i Fratelli Musulmani in tutto il mondo, dunque sostiene la causa di Hamas, che, per suo statuto, all’articolo 2, si definisce: “Il Movimento di Resistenza Islamico è una delle ali dei Fratelli Musulmani in Palestina. I Fratelli Musulmani è un'organizzazione universale che costituisce il più grande movimento islamico nei tempi moderni”.

Quanto alla tenuta della tregua o alla sua trasformazione in un vero accordo di pace, tutti ne dubitano. Al momento “non si scorge una visione più lungimirante” per raggiungere “una pace duratura” e i due fronti restano “agli antipodi”, secondo quanto dichiara ad Asia News mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale di Gerusalemme. “Se non vi è giustizia, se non si trova una soluzione che sia giusta per entrambe le parti. I due fronti - conclude - dovrebbero guardare alla Pacem in terris di san Giovanni XXIII, mentre ad oggi restano i problemi irrisolti”.

Poche speranze che alla pace pensi Hamas, il cui statuto, nell’articolo 7 recita: “Il Profeta, Allah lo benedica e gli conceda la salvezza, ha detto: Il Giorno del Giudizio non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno gli ebrei, quando l'Ebreo si nasconderà dietro pietre e alberi. Le pietre e gli alberi diranno: O musulmani, O Abdulla, c'è un Ebreo dietro di me, vieni a ucciderlo.” E nell’articolo 11: “La Palestina (Hamas intende tutto il territorio dal Giordano al Mediterraneo, ndr) è una terra islamica Waqf consacrata alle generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio. Premesso questo, chi potrebbe pretendere di avere il diritto di rappresentare le generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio?”