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IL BELLO DELLA LITURGIA

La Gerusalemme Celeste, dove la luce è la gloria di Dio

La raffigurazione della Città Santa apocalittica nella basilica romana di Santa Prassede, fatta di antiche tessere musive, è splendida. Affascinante è poi la Gerusalemme Celeste dipinta da un anonimo ma talentuoso artista nell'abbazia di San Pietro al Monte, dove Cristo domina lo spazio di una città quadrata e turrita che poggia sulle quattro virtù cardinali. E tiene aperto un libro in cui si legge: “Si quis sitis, veniat”.

Cultura 25_05_2019

La Gerusalemme Celeste, Roma - Basilica di Santa Prassede


L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino” (Ap 21, 10-11).

E splendida, infatti, è la Città Santa che a noi si mostra dall’arco trionfale di Santa Prassede a Roma. È costruita con tessere musive antiche quanto la basilica che la protegge e che, per la ricchezza dei suoi mosaici, è nota come “il giardino del Paradiso”. Fu il pontefice Pasquale I a commissionare, all’inizio del IX secolo, il prezioso apparato decorativo mentre erano in corso i lavori della chiesa che fece erigere per traslarvi, tra le altre, le reliquie della santa martire romana vissuta settecento anni prima.

La Gerusalemme Celeste, qui stilizzata, è una città fortificata, cinta da mura rivestite di gemme. È popolata da una moltitudine di personaggi, ventuno per l’esattezza, tra cui spicca, al centro, il Cristo vestito di una tunica rossa. Ai suoi lati, Maria e san Giovanni Battista da una parte, santa Prassede dall’altra, sono a loro volta affiancati dai Dodici Apostoli disposti in un’ordinata teoria conclusa da Mosè, con le Tavole della Legge, sulla sinistra, e da Elia all’estrema destra. Angeli proteggono le porte, oltre le quali, sullo sfondo di un cielo blu cobalto punteggiato di nuvole, si affollano gli eletti di cui parla l’Apocalisse. È il luogo della Salvezza.

Qualche secolo più tardi, decisamente più a nord, in terra lombarda, un anonimo ma talentuoso artista fissava nel fresco intonaco analoghi temi apocalittici. Sulle volte dell’abbazia di San Pietro al Monte, a Civate (in quel di Lecco), Gerusalemme ci appare fedele alla descrizione che ne fa la letteratura medievale.

Cristo domina lo spazio di una città quadrata e turrita che poggia sulle quattro virtù cardinali, i cui nomi, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, sono scritti in corrispondenza degli angoli. Su ogni lato si aprono tre porte ad arco, ciascuna delle quali è presidiata da un angelo. Tra due alberi della vita il Pantocratore, seduto sul globo del mondo, accanto all’agnello mistico, simbolo di morte e resurrezione, invita a dissetarsi all’acqua che, disperdendosi in quattro ruscelli, sgorga ai suoi piedi.

Si quis sitis, veniat”, si legge sulla pagina del libro che Gesù tiene aperto tra le mani: “Se qualcuno ha sete, venga a me”. La volta successiva, quasi senza soluzione di continuità, è occupata dalle personificazioni dei quattro fiumi dell’Eden. Negli affreschi dell’antico complesso abbaziale benedettino, tra i cicli pittorici più importanti dell’XI secolo lombardo, la Gerusalemme Celeste è il Paradiso.

La Gerusalemme Celeste, Civate (LC) - Basilica di San Pietro al Monte

1995. Nei suoi monocromi, David Simpson interpreta la città apocalittica come luminosa rivelazione divina. I tre acrilici del pittore americano, che hanno la peculiarità di catturare e irradiare la luce grazie alla miscela di titanio e cristalli da cui sono composti, rievocano la Trinità attraverso i loro colori: l’oro, per indicare il Padre, il rosso, che richiama la regalità del Figlio, l’azzurro che suggerisce il soffio dello Spirito. Sono superfici riflettenti e sempre mutevoli, immagini dell’infinito nel finito. Gerusalemme è, qui, pura luce che ci introduce a un “oltre”.

                                


Sembra di leggere i versetti dell’Apocalisse:

La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l'Agnello
(Ap 21, 22)