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JIHAD

La lunga mano dell'Iran (e del Qatar) sullo Yemen

Da tre anni i ribelli sciiti della milizia Houthi hanno scatenato una guerra civile nello Yemen. Prima hanno provato a prendere il controllo del paese con un golpe, poi lo stanno destabilizzando con la loro guerriglia. La mano che c'è dietro è evidente: è l'Iran che cerca di destabilizzare la regione, appoggiato dal Qatar.

HEZBOLLAH AI TROPICI di Lorenza Formicola

Esteri 10_05_2018
Il bombardamento del palazzo presidenziale a Sanaa

Sono passati ormai tre anni da quando i ribelli Houthi, finanziati e foraggiati dall'Iran insieme all'ormai satellite Qatar, hanno messo in atto un colpo di Stato nello Yemen. Golpe, per la verità, riuscito a metà visto che i ribelli controllano solo una parte del Paese e che non passa giorno senza che le forze governative e quelle alleate della Coalizione Araba non ne riguadagnino qualche pezzo. Come ad esempio la città roccaforte Houthi di Al Hudayadah, che i media arabi raccontano ormai pronta alla caduta. Teheran non ha fatto altro che smentire e negare a più riprese che ci sia la sua mano direttamente, o indirettamente tramite Doha, dietro alla guerriglia degli Houthi ma alcuni elementi certo non depongono a favore delle dichiarazioni iraniane. Ma partiamo raccontando per sommi capi il pezzo di storia che riguarda la questione Yemen.

Il Paese, infatti, non da oggi è in ebollizione, visto che per moltissimi anni ha visto il suo territorio diviso sostanzialmente a metà, con il nord in mano al dittatore sanguinario Saleh e il sud organizzato in Repubblica Democratica. Nel 1990 arriva la riunificazione e gli Houthi, ancora non guerriglieri ma solo proselitisti (rappresentano la minoranza sciita dello Yemen) appoggiano apertamente Saleh che già si è reso colpevole di massacri indicibili. Nel 2004 il loro leader, Hussein al-Houthi (da cui il nome) viene ucciso e da quel momento inizia lo scontro col governo centrale. Nel 2012 Saleh viene deposto (poi ucciso dagli stessi Houthi perché cercava una tregua) e al suo posto arriva Mansour Hadi, inviso agli Houthi che via via si fanno più dediti alla guerriglia e mettono a segno numerose azioni militari. Fino alla presa del palazzo presidenziale che però non ha portato alla caduta del potere centrale. Lo Yemen, per questi e altri mille motivi di carattere geografico, climatico e economico rimane uno dei Paesi più poveri del quadrante arabico e dunque più soggetto ad infiltrazioni di ogni genere, radicali in primis. Sciiti, contrari ad ogni accordo con la parte sunnita del mondo arabo, ribelli armati, sono ormai divenuti un tassello fra i tanti che caratterizzano lo scontro al vertice fra Arabia Saudita e Iran, Paesi leader rispettivamente del sunnismo e dello sciismo mondiale.

Ultimo elemento da valutare per capire perché questo sia un fattore da non sottovalutare, il fatto che gli Houthi si rifiutano categoricamente da giorni di riferire le generalità dei morti sotto il raid della Coalizione sul palazzo presidenziale e sui ministeri della difesa e dell'interno a Sana'a: e tutti i media locali concordano nello spiegare questa ostinata reticenza con il fatto che i morti siano esponenti di primo e secondo livello della formazione filo-iraniana. Insomma nulla stupisce in ordine alla considerazione dei ribelli come pedine in mano all'Iran, che tenta di giocare la carta dell'aggressione e della destabilizzazione del quadrante arabo. Circostanza che la mancanza di un governo in Italia acuisce come portata, visto che gli altri Paesi hanno già preso posizione e l'Italia non può farlo: e così perde un'occasione politica di entrare come voce importante in una faccenda solo apparentemente regionale e lontana dal Mediterraneo.