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La metamorfosi di Facebook: censura chi non è in linea

Facebook è un social network o un quotidiano? Lo possiamo usare come una bacheca, oppure ci dobbiamo considerare come dei collaboratori di un quotidiano, conformare quel che pubblichiamo alla linea di un editore? La domanda è legittima dopo una serie di richieste di rimozione di contenuti, non illegali, ma "sgraditi"

Editoriali 02_06_2019
Facebook e sicurezza

Facebook è un social network o un quotidiano? Lo possiamo usare come una bacheca per lasciar vedere ai nostri amici i nostri scritti, foto e video, oppure ci dobbiamo considerare come dei collaboratori esterni di un quotidiano, conformare quel che pubblichiamo alla linea di un editore e di un direttore? La domanda è legittima e sorge spontanea nel momento in cui, nel mese di maggio appena concluso, si sono moltiplicate le richieste a Facebook di censurare utenti e vari tipi di contenuti. Richieste a cui Facebook non ha risposto difendendo la libertà dei suoi utenti, bensì promettendo ulteriori controlli.

L’ultimo caso riguarda la lotta alle teorie no-vax. A marzo, il social network più grande del mondo, come riportato su queste colonne aveva promesso di eliminare o rendere invisibili i contenuti di utenti che si oppongono all’obbligo vaccinale e alle teorie che citano per supportare la loro posizione politica. Sforzo vano, almeno finora, perché tuttora, nelle timeline di Facebook le teorie no-vax sono visibili e molto frequentate. Monika Bickert, capo della sua global policy, ha dichiarato giovedì in conferenza stampa che “Non siamo al punto in cui vorremmo essere” nella politica di controllo. Le critiche si fanno più serrate nel momento in cui negli Usa sono scoppiate prime gravi epidemie di morbillo, come non si vedevano da molto tempo.  E’ intervenuto anche il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, sottolineando che “Facebook sta investendo in sicurezza una somma pari al fatturato di un anno di Twitter (…) Possiamo già fare cose che per altri sono impossibili, penso”. Cose come, appunto: controllare contenuti e censurarli a seconda dell’argomento.

Ma altre “fake news” stanno sfuggendo. Per esempio, il 29 maggio la presidente della Camera, Nancy Pelosi (Democratica) protesta perché su Facebook è circolato un suo video con l’audio alterato. Non le fanno dire cose che non ha detto, semplicemente gli autori hanno rallentato la sua voce ottenendo un effetto comico. La Pelosi non ha gradito e nei suoi commenti ha ricordato come la propaganda russa si sia infiltrata anche nel social network di Zuckerberg (“Povero Facebook, involontariamente sfruttato dai russi”). In un altro suo intervento da pompiere, Monika Bickert ha assicurato in un’intervista alla CNN che Facebook “ha agito” anche nel caso del video incriminato, “decelerando” la sua diffusione.

In altri casi, Facebook è intervenuto più a gamba tesa, rimuovendo non solo il contenuto ma anche gli autori di contenuti sgraditi. All’inizio di maggio, utenti ritenuti “pericolosi”, fra cui il leader della Nation of Islam Louis Farrakhan, il teorico complottista Alex Jones e il provocatore della alt-right Milo Yiannopoulos, sono stati rimossi da Facebook e Instagram. Non solo per i contenuti che hanno pubblicato finora, ma anche per quelli che avrebbero potuto pubblicare in futuro. Benché bipartisan, si è trattato di una scelta politica. Non si tratta, infatti, di condannati per atti di terrorismo, né di personaggi legati alla propaganda di network terroristici. Non sono persone che usano Facebook e altri social media per pianificare attentati.

La teoria no-vax è sicuramente anti-scientifica e le conseguenze della sua diffusione possono essere anche molto gravi. A nessuno piace essere preso in giro con l’alterazione della voce in un video. E la retorica di estremisti (soprattutto Farrakhan) non può essere considerata come parte di un sano dibattito politico.

Ma la colpa è della bacheca su cui si affiggono comunicati no-vax, video comici, discorsi di estremisti? Perché proviamo a immaginarci Facebook come se fosse un oggetto fisico: non può essere paragonato ad un quotidiano, ma, appunto, ad una bacheca. Sulla bacheca può essere esposto un ritaglio di quotidiano serio (oltre a nostre foto di famiglia, fogli con dichiarazioni d’amore, richieste di lavoro, ecc…), così come un trafiletto di un rotocalco di infima categoria pieno di notizie false. La colpa è di chi lo ha appeso, di chi lo ha scritto, di chi lo ha pubblicato? O della bacheca? Se Facebook è responsabile di ciò che pubblica, dovrà necessariamente aumentare i controlli sui contenuti. Ma allora, gradualmente, si sta trasformando in un giornale, con una sua linea editoriale. Il problema è che almeno il 99% dei due miliardi di utenti Facebook del mondo considera quel social network come una bacheca libera e non si accorge che, nel frattempo, sta diventando un giornale. E altererà inconsciamente la loro visione del mondo, mostrando solo una selezione (anche ideologica) di ciò che viene spontaneamente condiviso. Pensiamoci bene, quando si andrà al voto e qualcuno parlerà di “lotta alle fake news”. Oggi la censura tocca ai no-vax e ad “estremisti” politici selezionati. Domani a chi?