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La morte di Astori, la domanda sul destino

La morte improvvisa di Davide Astori, calciatore famoso, capitano della Fiorentina, da solo in una camera d’albergo alla vigilia di una partita di campionato, ha ovviamente colpito tutti. E pone una domanda su che senso abbia la vita e la sofferenza. Vi proponiamo un brano di don Giussani.

Editoriali 05_03_2018
Tifosi lasciano un ricordo per Astori sui cancelli dello stadio di Firenze

La morte improvvisa di Davide Astori, calciatore famoso, capitano della Fiorentina, da solo in una camera d’albergo alla vigilia di una partita di campionato, ha ovviamente colpito tutti. Non per niente «sono sconvolto» è la frase più ripetuta sui social da parte dei suoi colleghi, amici e tifosi. C’è chi pensa alle circostanze, chi alla giovane compagna e al figlio di due anni, chi alla giovane età; ma in realtà a scandalizzarci è proprio la morte in sé, che a volte arriva improvvisa e sempre ci appare ingiusta. Astori era famoso e per questo la sua morte fa ancora più effetto, ma tanti potrebbero raccontare la morte «sconvolgente» di familiari e amici. E davanti a fatti così non possiamo fermarci alla prima reazione emotiva, la realtà ci provoca ad andare oltre: perché siamo cattolici sentiamo riecheggiare quell’ammonimento di Gesù a essere sempre pronti, in grazia di Dio, perché Egli può chiamarci in qualsiasi momento. E per questo l’atteggiamento più vero davanti alla notizia della morte di Astori è una preghiera per lui, per la sua anima, chissà se ha avuto il tempo di affidarsi alla misericordia di Dio. Ma anche se siamo cattolici non possiamo sfuggire alla domanda che una morte così ci pone (ma anche quella di Melissa a Macerata, dei bambini di Latina uccisi dal padre e tanti altri): si può credere davvero che la vita abbia un senso? Che tanta sofferenza non sia inutile? Che ci sia un destino buono per ognuno? In altre parole, è possibile una speranza?
Proprio per rispondere a queste domande, vi proponiamo un brano di don Luigi Giussani - a conclusione degli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione nel 2002 - che commenta l’episodio evangelico dell’incontro di Gesù con la vedova di Nain, che piange la morte di suo figlio. (R.Cas.)

Quella sera Gesù fu interrotto, fermato nel suo cammino al villaggio cui era destinato, cui si era destinato, perché c’era un pianto altissimo di donna, con un grido di dolore che percuoteva il cuore di tutti i presenti, ma che percuoteva, che ha percosso innanzitutto il cuore di Cristo.
«Donna, non piangere!». Mai vista, mai conosciuta prima.
«Donna, non piangere!». Che sostegno poteva avere quella donna che ascoltava la parola che Gesù diceva a lei?

«Donna, non piangere!»: quando si rientra in casa, quando si va sul tram, quando si sale sul treno, quando si vede la coda delle automobili per le strade, quando si pensa a tutta la farragine di cose che interessano la vita di milioni e milioni di uomini, centinaia di milioni di uomini… Come è decisivo lo sguardo che un bambino o un grande «grande» avrebbero portato a quell’uomo, che veniva in capo a un gruppetto di amici e non aveva mai visto quella donna, ma si è fermato quando il suono, il riverbero del pianto è giunto fino a Lui!

«Donna, non piangere!», come se nessuno la conoscesse, come se nessuno la riconoscesse più intensamente, più totalmente, più decisivamente di Lui! 

«Donna, non piangere!». Quando vediamo – come vi ho detto prima – tutto il movimento del mondo, nel cui fiume, nei cui ruscelli tutti gli uomini si rendono presenti alla vita, rendono presente la vita a sé, l’incognita della fine non è altro che l’incognita del come si è giunti a questa novità, quella novità che fa trovare un uomo, fa incontrare un uomo mai visto che, di fronte al dolore della donna che vede per la prima volta, le dice: «Donna, non piangere!».

«Donna, non piangere!». 
«Donna, non piangere!»: questo è il cuore con cui noi siamo messi davanti allo sguardo e davanti alla tristezza, davanti al dolore di tutta la gente con cui entriamo in rapporto, per la strada o nel viaggio, nei nostri viaggi.

«Donna, non piangere!». Che cosa inimmaginabile è che Dio – “Dio”, Colui che fa tutto il mondo in questo momento –, vedendo e ascoltando l’uomo, possa dire: «Uomo, non piangere!», «Tu, non piangere!», «Non piangere, perché non è per la morte, ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente!». 
Uomo, donna, ragazzo, ragazza, tu, voi, non piangete! Non piangete! C’è uno sguardo e un cuore che vi penetra fino nel midollo delle ossa e vi ama fin nel vostro destino, uno sguardo e un cuore che nessuno può fuorviare, nessuno può rendere incapace di dire quel che pensa e quel che sente, nessuno può rendere impotente!

«Gloria Dei vivens homo». La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive.
Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Perché è diventato speranza per ognuno che Lo ha visto, che ha sentito: «Donna, non piangere!», che ha udito Gesù dir così: «Donna, non piangere!».

Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono!
Noi siamo insieme dicendoci: «Tu, non t’ho mai visto, non so chi sei: non piangere!». Perché il pianto è il tuo destino, sembra essere il tuo destino inevitabile: «Uomo, non piangere!».
«Gloria Dei vivens homo»: la gloria di Dio – quella per cui sorregge il mondo, l’universo – è l’uomo che vive, ogni uomo che vive: l’uomo che vive, la donna che piange, la donna che sorride, il bambino, la donna che muore madre.

«Gloria Dei vivens homo». Noi vogliamo questo e nient’altro che questo, che la gloria di Dio sia palesata a tutto il mondo e tocchi tutti gli ambiti della terra: le foglie, tutte le foglie dei fiori e tutti i cuori degli uomini.

Non ci siamo mai visti, ma questo è ciò che vediamo tra noi, ciò che sentiamo tra noi.