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ARABIA SAUDITA

La sharia prima dei diritti. Così l'islam frusta e condanna

I diritti umani? «A patto che non contravvengano la sharia».  Per questo, il blogger saudita Raif Badawi, attualmente in carcere con una condanna a 10 anni e mille frustate per avere fondato un sito di pensatori liberali, non sarà mai liberato. Anzi, Ryad considera “ingerenze inaccettabili” le proteste occidentali.

Libertà religiosa 10_03_2015
Il blogger saudita Raif Badawi

«A patto che non contravvenga la sharia». Questa è l’espressione ricorrente ogniqualvolta i Paesi islamici, in modo particolari quelli che pongono la sharia come fondamento della legge, affrontano la tematica dei diritti umani universali, meglio i diritti umani così come intesi dalle convenzioni internazionali. É la stessa riserva espressa per giustificare il rifiuto a ratificare la Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo del 1948 che l’Arabia Saudita non sottoscrisse ritenendola per molti aspetti in contrasto con i precetti islamici. Nella stessa circostanza l’Egitto e altri Paesi arabi espressero le proprie perplessità riguardo agli articoli relativi alla libertà di religione e coscienza e alla libertà di matrimonio indipendentemente dall’appartenenza religiosa, sulla base del fatto che erano in contrasto con la sharia. 

D’altronde, il 7 marzo 2015, la Saudi News Agency ha pubblicato un comunicato relativo all’intromissione internazionale sul caso del blogger saudita Raif Badawi, attualmente in carcere con una condanna a 10 anni e mille frustate per avere fondato un sito di pensatori liberali, che in modo molto esplicito ribadisce la posizione del Paese riguardo ai diritti umani: «Una fonte ufficiale del ministero degli Esteri saudita ha dichiarato quanto segue: l’Arabia Saudita esprime forte sorpresa e sgomento riguardo a quanto viene espresso da alcuni mezzi di comunicazione circa la questione del cittadino Raif Mohammed Badawi e la sentenza contro di lui. E mentre il Regno deplora gli attacchi di suddetti mezzi di comunicazione contro il Regno e il suo sitema giudiziario, sottolinea al tempo stesso che non accetta alcuna forma di interferenza nei propri affari interni, respinge l’ingerenza sul suo diritto sovrano e la compromissione della sua indipendenza e integrità giuridica, laddove non esiste alcun potere al di sopra dei giudici nelle loro sentenze. Il Regno ribadisce inoltre che tutti i casi giudiziari sono trattati senza alcuna distinzione o eccezione. La fonte ha altresì aggiunto che il Regno non accetta alcun attacco nei propri confronti in nome dei diritti umani, soprattutto nel momento in cui la propria Costituzione si basa sul diritto islamico, che garantisce i diritti umani preservandone il  sangue, il denaro, l'onore e la dignità».

«L'Arabia Saudita», prosegue la nota, «è stato uno dei primi Paesi a sostenere i diritti umani e rispettare tutte le convenzioni internazionali, in conformità con la sharia. Ciononostante, e nonostante tutti questi evidenti sforzi, alcune agenzie internazionali e alcuni media purtroppo hanno svuotato i diritti umani dalle loro elevate implicazioni, per cadere nel tentativo di politicizzarli e sfruttarli per attaccare i diritti sovrani degli Stati in base a standard che possono essere descritti solo come selettivi e raddoppiati per servire obiettivi politici; e questo è qualcosa che il Regno non consente né può accettare in alcun modo»

Una risposta molto chiara alla campagna di Amnesty International, alla mobilitazione internazionale in favore di Raif Badawi accusato di promuovere il «libero pensiero» e che rischia ancora oggi di essere condannato a morte per apostasia. Una risposta dura, risentita e colma d’ipocrisia. Una risposta che chiarisce che dal 1948 nulla è mutato per l’Arabia Saudita. Al contrario nel corso degli anni le divergenze sulla definizione stessa di “diritto umano” sono perdurate e si è via via chiarito che, nel diritto islamico, il “diritto umano” non deve mai valicare i limiti posti da Allah.  É evidente, quindi, che i contrasti tra le due concezioni di diritto sono inevitabili e insanabili. Da un lato i diritti universali dell’uomo, così come concepiti nel 1948, si fondano sui due pilastri: l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, la libertà garantita a tutti gli uomini senza distinzione alcuna, la sacralità della vita. Dall’altro il diritto islamico classico che si articola a partire da tre fondamentali relazioni di diseguaglianza che vengono espresse sul piano giuridico, prima fra tutte la diseguaglianza tra uomo e donna, ma soprattutto che pone limiti divini alla libertà sacralizzando discriminazione e repressione. Ne consegue che le menti libere come Raif Badawi, i difensori dei diritti umani come l’avvocato di quest’ultimo Waleed Abulkhair si ritrovano non solo ad avere ben pochi alleati nella maggior parte dei Paesi musulmani, ma ad essere arrestati e condannati come criminali.

É la ragione per cui a Parigi il 19 settembre 1981 presso l’Unesco venne pubblicata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nell’islam, preceduta da un intervento presso le Nazioni Unite da parte del rappresentante iraniano Said Rajai Khorasani, secondo il quale la Dichiarazione del 1948 rappresentava «una interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana» inaccettabile da parte dei musulmani. Questo documento afferma la superiorità dell’islam rispetto alle altre religioni e la volontà di instaurare uno Stato islamico, l’unico in grado di rispettare i diritti umani. In seguito, nel 1990, al Cairo, la XIX Conferenza Islamica dei ministri degli Esteri approvò la Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell'islam, un testo molto più articolato rispetto al precedente. Colpisce l’articolo 2 che recita: «La vita è un dono dato da Allah e il diritto alla vita è garantito ad ogni essere umano. É dovere degli individui, delle società e degli Stati proteggere questo diritto da ogni violazione ed è vietato sopprimere la vita tranne che per una ragione prescritta dalla sharia; è proibito ricorrere ai mezzi che possono provocare il genocidio dell'umanità; la difesa della vita umana nel disegno di Allah  è un dovere prescritto dalla sharia; l'integrità fisica è un diritto garantito. É dovere dello Stato proteggerlo ed è vietato infrangerlo senza una ragione prescritta dalla sharia». 

Tutto viene sottoposto alla legge islamica, divina e immutabile quindi anche la vita è sacra, ma con molte attenuanti e con uno sconcertante relativismo. Nessun riferimento viene quindi fatto alla libertà di cambiare religione che viene sanzionata dalla sharia con la pena di morte. Per venire alla libertà d’espressione che riguarda da vicino il caso di Raif Badawi, all’articolo 22 si legge: «a) Ognuno ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinione in un modo che non contravvenga ai principi della sharia; b) Ognuno ha il diritto di sostenere ciò che è giusto e propagandare ciò che è buono e mettere in guardia contro ciò che è sbagliato e malvagio in conformità con le norme della sharia; c) L'informazione è una necessità vitale per la società. Essa non può essere sfruttata o distorta in modo tale da violare la sanità e la dignità dei Profeti, minare i valori morali ed etici o disintegrare, corrompere o inquinare la società o indebolirne la fede; d) Non è consentito suscitare odio nazionalistico o ideologico o comunque incitare a qualsiasi forma di discriminazione razziale». Ne consegue che, in base a siffatta concezione della libertà di espressione, Raif Badawi non può che essere giudicato colpevole. 

D’altronde, ‘Abd Allah ibn Salih al-‘Ubayd, ex presidente della Società nazionale per i diritti umani in Arabia Saudita, affermò: «Ci sono persone che considerano alcune questioni una violazione dei diritti umani, mentre noi le riteniamo uno strumento di salvaguardia dei diritti umani – ad esempio le esecuzioni, l’amputazione della mano del ladro, oppure le frustate a un’adultera. Ci sono persone che ritengono che tutte le punizioni coraniche violino i diritti umani. […] Noi, in Arabia Saudita, siamo parte del mondo per quanto concerne i principi generali dei diritti umani. Ma nel nostro Paese rispettiamo le regole della sharia, sicché ciò che ad altri sembra una violazione dei diritti umani è invece per noi un dovere nei confronti di chi ha commesso un reato o un peccato».  

Il caso di Raif Badawi sta sempre più portando allo scoperto la crudeltà e la spietatezza dell’Arabia Saudita che applica la stessa rigida interpretazione dell’islam dell’Isis, sta confermando l’ipocrisia e l’arroganza di uno Stato che molti governi occidentali considerano un partner affidabile e prezioso. Per questo motivo è da ammirare Sigmar Gabriel, vice-cancelliere tedesco e ministro dell’Economia, che durante la sua visita in Arabia Saudita ha sollevato il caso e ha ribadito a re Salman che il caso Badawi potrebbe inficiare i rapporti tra i due Paesi. Rimane un interrogativo: quanti ministri e politici europei avranno il coraggio di non chiudere gli occhi, di seguire l’esempio di Gabriel e di chiarire una volta per tutte che i diritti umani non possono essere relativizzati?