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IL DOCUMENTO

La vita è un dono, va rispettata

Il 22 febbraio prossimo cadrà il trentesimo anniversario della pubblicazione dell’Istruzione redatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dal titolo Donum vitae - Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione. Ecco cosa c'è scritto.

Ecclesia 23_01_2017
Feto

Il 22 febbraio prossimo cadrà il trentesimo anniversario della pubblicazione dell’Istruzione redatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dal titolo Donum vitae - Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, che si inserisce nel solco dottrinale tracciato dalla Humanae vitae di Paolo VI e che orienterà altri pronunciamenti del Magistero quali l’Evangelium vitae e la Dignitas personae.

Ne diamo qui di seguito un breve riassunto. L’oggetto dell’Istruzione, approvata dallo stesso Giovanni Paolo II, è ben individuato nella Premessa: verificare la conformità  con la morale cattolica delle “tecniche biomediche che consentono di intervenire nella fase iniziale della vita dell'essere umano e nei processi stessi della procreazione”. I criteri morali di riferimento “sono il rispetto, la difesa e la promozione dell'uomo, il suo ‘diritto primario e fondamentale’ alla vita, la sua dignità di persona, dotata di un'anima spirituale, di responsabilità morale è chiamata alla comunione beatifica con Dio” ( Int. 1).

Dopo aver ricordato che la scienza e la tecnica “debbono essere […] al servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale secondo il progetto e la volontà di Dio” (Int. 2) – perché “ciò che è tecnicamente possibile non è per ciò stesso moralmente ammissibile” (Int. 4) -  in merito alle tecniche di fecondazione artificiale i valori di base da tenere in considerazione sono due: “la vita dell'essere umano chiamato all'esistenza e l’originalità della sua trasmissione nel matrimonio” (Ib.). 

Sul primo aspetto si richiama “l’inviolabilità del diritto alla vita dell'essere umano innocente dal momento del concepimento alla morte"(Ib.), inviolabilità che, dati alla mano, non è rispettata dalle tecniche di fecondazione extracorporea stante il numero elevatissimo di embrioni deceduti nelle differenti procedure di laboratorio. Tale inviolabilità impone inoltre un divieto assoluto di usare i nascituri come cavie da laboratorio (Parte I, 1, 4) e corrispettivi obblighi quali la difesa della sua integrità, la cura e l’attenzione terapeutica dovute a qualsiasi altra persona (Parte I, 1), nonché il rispetto per le sue spoglie mortali (Parte I, 4). 

Da ciò discende che la diagnosi pre-natale se volta al benessere dell’embrione è moralmente lecita – ben vengano quindi gli interventi diagnostici e terapeutici sul nascituro – laddove invece fosse praticata per fini selettivi (vedi aborto) è da condannare (Parte I, 2, 3). In merito al destino degli embrioni soprannumerari crioconservati la Congregazione esprime un giudizio che sarà successivamente avvalorato anche dalla Dignitas personae: “questi embrioni […] rimangono esposti a una sorte assurda, senza possibilità di offrire loro sicure vie di sopravvivenza lecitamente perseguibili” (Parte I, 5). L’intangibilità della dignità umana porta anche a rifiutare le seguenti tecniche: “i tentativi o progetti di fecondazione tra gameti umani e animali e di gestazione di embrioni umani in uteri di animali, l'ipotesi o il progetto di costruzione di uteri artificiali per l'embrione umano” (Parte I, 6) la “fissione gemellare", la clonazione, la partenogenesi (Ib.).

Riguardo poi alla relazione tra sessualità e procreazione, la dignità della persona esige che l’unico modo, rispettoso di questa stessa preziosità, attraverso cui essa possa venire ad esistenza è il rapporto sessuale tra coniugi. Questo perché “la procreazione di una nuova persona, mediante la quale l'uomo e la donna collaborano con la potenza del Creatore, dovrà essere il frutto e il segno della mutua donazione personale degli sposi, del loro amore e della loro fedeltà” (Parte II, 1).

Da qui la condanna in primis della fecondazione eterologa e della maternità surrogata. Infatti “il rispetto dell'unità del matrimonio e della fedeltà coniugale esige che il figlio sia concepito nel matrimonio; il legame esistente tra i coniugi attribuisce agli sposi, in maniera oggettiva e inalienabile, il diritto esclusivo a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro” (Parte II, 2). Inoltre “la fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale” e dunque “opera e manifesta una rottura fra parentalità genetica, parentalità gestazionale e responsabilità educativa” (Ib.).

Analoga censura la troviamo per la fecondazione omologa. L’Istruzione cita a questo proposito un passaggio dell’Humanae vitae: esiste una "connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti per la sua intima struttura, l'atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell'essere stesso dell'uomo e della donna"(12) e quindi "non è mai permesso separare questi diversi aspetti al punto da escludere positivamente o l'intenzione procreativa o il rapporto coniugale" (Pio XII, Discorso ai partecipanti al II Congresso Mondiale di Napoli sulla fecondità e sterilità umana, 19 maggio 1956).

Inoltre “una fecondazione ottenuta fuori del corpo degli sposi rimane per ciò stesso privata dei significati e dei valori che si esprimono nel linguaggio del corpo e nell'unione delle persone umane” (Parte II, 4). Da qui la disumanità della fecondazione artificiale che non rispetta l’altissima dignità del figlio: “il concepito dovrà essere il frutto dell'amore dei suoi genitori” (Ib.), altrimenti sarebbe svilito a rango di cosa.

In merito poi all’inseminazione artificiale omologa, la quale avviene tramite il trasferimento nelle vie genitali della donna dello sperma precedentemente raccolto, essa “non può essere ammessa, salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale” (Parte II, 6).

L’ultima parte del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede riguarda le legislazioni degli stati su questo particolare problema morale. A tal proposito si rammenta – soprattutto a beneficio di quei cattolici che incensano la legge 40 la quale ha legalizzato queste tecniche nel nostro Paese - che “l'autorità politica […] non può approvare che gli esseri umani siano chiamati all'esistenza mediante procedure tali da esporli ai gravissimi rischi sopra ricordati” (Parte III). Ed in merito all’intrinseca preziosità del concepito si aggiunge che “la legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni deliberata violazione dei suoi diritti” (Ib.). Da qui l’auspicato divieto giuridico non solo di tutte le tecniche di fecondazione extracorporea, ma anche delle sperimentazioni su embrioni, della maternità surrogata, etc.