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UNGHERIA

La vittoria di Orban, leader di un'Europa diversa

Come era prevedibile, nelle elezioni per il rinnovo del Parlamento ungherese, la coalizione di centrodestra guidata da Viktor Orban, ha vinto con un'ampia maggioranza. Come era prevedibile i mass media dell'Europa occidentale suonano le campane a lutto per la democrazia ungherese. Perché non ne capiscono le ragioni.

Esteri 10_04_2018
Fidesz

Come era prevedibile, nelle elezioni per il rinnovo del Parlamento ungherese, la coalizione di centrodestra costituita dal partito Fidesz e da quello Cristiano Popolare Democratico, ha vinto con un’ampia maggioranza. Viktor Orban è riconfermato premier per il suo quarto mandato (il terzo consecutivo). Come era prevedibile, la stragrande maggioranza dei media europei occidentali, parla di “fine della democrazia” ungherese. Pare che Budapest sia pronta a contendere la palma a Minsk (Bielorussia) per il titolo infame di “ultima dittatura d’Europa”. Ma è così tragica la situazione?

Partiamo dai numeri. Il centrodestra ha vinto la maggioranza dei seggi, con il 48,5% dei voti. Il secondo partito è ancora più a destra, il nazionalista Jobbik, con il 19,5% dei voti. La strategia di questa formazione, guidata (fino alle sue dimissioni, ieri) da Gabor Vona, consisteva nel darsi un volto moderato. Non ha pagato. Negli ultimi sondaggi, poco meno del 20% degli elettori di Jobbik si diceva pronto a votare per un candidato di sinistra, pur di scalzare Orban dal potere. Al tempo stesso, il 25% circa degli elettori di sinistra si diceva pronto ad accettare un candidato di Jobbik. Benché questo fosse, fino a meno di cinque anni fa, un partito che non negava il suo antisemitismo e usava un frasario nazionalista da anni ‘30. Il risultato di questa operazione di sdoganamento di Jobbik presso l’elettorato moderato e di sinistra è uno stallo: né crescita, né un calo vertiginoso. Ma sostanzialmente è una sconfitta che ha provocato le dimissioni di Vona. Tracollo a sinistra, invece: messi assieme, il partito Socialista (Mszp), il nuovo partito ecologista Dialogo e il nuovo movimento Insieme, hanno raccolto il 13% dei consensi. Alla loro sinistra, i Verdi (Lmp) hanno preso il 7%. E la Coalizione Democratica, partito moderato di sinistra, il 5,6% dei voti.

Come in tutti i paesi occidentali, ormai, la tendenza è sempre quella: la sinistra vince alla grande nelle città, la destra nelle aree rurali. L’Ungheria non fa eccezione: le opposizioni di sinistra hanno conquistato i due terzi dei seggi a Budapest. La sinistra aveva sperato di ribaltare a proprio vantaggio le elezioni, quando a febbraio Fidesz era dato in calo in tutti i sondaggi. Il 25 febbraio, nella città di Hodmezovasarhely, considerata una roccaforte del partito di Orban, aveva vinto, con il 57,5% dei voti, un candidato sindaco indipendente, Peter Marki-Zay, sostenuto sia da Jobbik che dalla sinistra. Le opposizioni, tuttavia, non sono riuscite a ricreare la stessa coalizione anche su scala nazionale e hanno perso. Questi risultati smentiscono l’immagine di un’Ungheria autoritaria, ormai solo formalmente democratica. La democrazia appare invece viva, vegeta e molto combattuta: anche i dati sull’affluenza (oltre il 70%) sono i più alti dal 1998.

Come si spiega il terzo mandato consecutivo di un leader inviso al resto dell’Ue? John O’Sullivan, osservatore della National Review (rivista di riferimento del conservatorismo americano, dunque ben lontana dalle simpatie per movimenti della destra “populista” europea) esclude la spiegazione, facile, quella del controllo della macchina statale e mediatica da parte del premier. “Non si può più dire credibilmente che Orban stia promuovendo la sua rivoluzione di nascosto e con metodi non democratici. Gli elettori sanno ormai esattamente cosa voglia fare Orban, così come conoscono il programma dei suoi oppositori. E hanno votato per lui (…) Non si può neppure più spiegare la vittoria con l’egemonia della destra nei media, affermazione comunque esagerata: ci sono giornali, riviste, canali televisivi, siti Web, che propagano le tesi delle opposizioni, sia di destra che di sinistra e sono tanto brutali quanto la è la macchina della propaganda di Fidesz”. Secondo la classifica di Freedom House (una Ong tutt’altro che tenera con le destre) sulla libertà di stampa, l’Ungheria è nella fascia dei paesi “gialli”, cioè “parzialmente liberi”. Detto così parrebbe un brutto risultato, ma è in buona compagnia: c’è anche l’Italia nella stessa categoria. Se noi riteniamo di vivere in un paese in cui la stampa è sufficientemente libera da non falsare il risultato elettorale, allora anche l’Ungheria lo è.

Il fatto è che Orban ha vinto, perché la sua politica ha convinto. Prima di tutto perché l’economia va bene. Benché non sia nell’euro e non voglia entrarci nel breve periodo, l’Ungheria si dimostra fiscalmente più responsabile di tanti paesi (specialmente quelli mediterranei) dell’eurozona. Il suo debito pubblico si è ridotto di 6 punti percentuali rispetto al Pil, il deficit è stato dimezzato, i salari sono aumentati del 10%, la disoccupazione è calata fino al 5,2% (la metà di quella italiana), il Pil è cresciuto del 2,9%, al di sopra della media europea. Quindi è un periodo di vacche grasse e, se l’economia non è tutto, almeno ha contribuito ad accrescere la popolarità del governo.

Ma, appunto, l’economia non è tutto e altri due fattori hanno contribuito a determinare la vittoria del centrodestra ungherese: lo stop all’immigrazione (l’Ungheria, nel 2015, ha costruito il muro per fermare la rotta balcanica) e la lotta contro una Ue troppo burocratica e troppo poco democratica. “Nelle discussioni di ordine morale ed etico non dobbiamo cedere terreno, perché dobbiamo difendere l’Ungheria per com’è oggi – aveva dichiarato Orban a febbraio - Dobbiamo affermare che non vogliamo che nella nostra società ci siano la diversità, la mescolanza: non vogliamo che il nostro colore, le nostre tradizioni e la nostra cultura nazionale si mescolino con quelle degli altri. Non lo vogliamo”. Queste sono parole che hanno fatto rizzare i capelli in testa a molti osservatori europei. Suonano razziste, “sporche”. Suonano come bestemmie contro il multiculturalismo, la diversità, il meticciato, ideali della sinistra europea. Ma contro la retorica dell’immigrazione, Orban ha raccolto a man bassa il voto degli ungheresi, specialmente quelli delle aree rurali. E’ anche un voto contro l’Ue, con le sue logiche centraliste di redistribuzione dei rifugiati, a cui l’Ungheria si è opposta. Può piacere o no, ma non si può parlare di vittoria rubata. Semmai è l'ulteriore conferma di un trend europeo ormai consolidato.