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MEDIO ORIENTE

L'Arabia Saudita è giunta al bivio

Il 23 gennaio 2015 è destinata a entrare negli annali della storia della penisola arabica. In Arabia Saudita muore re Abdallah e nello Yemen il presidente Abdu Rabbu Mansour Hadi e il suo governo rassegnano le dimissioni dietro pressione delle milizie sciite. Il nuovo re ha l'occasione di dare una svolta al regime.

Esteri 26_01_2015
Re Salman

Il 23 gennaio 2015 è destinata a entrare negli annali della storia della penisola arabica. In Arabia Saudita muore re Abdallah e nello Yemen il presidente Abdu Rabbu Mansour Hadi e il suo governo rassegnano le dimissioni dietro pressione delle milizie sciite degli Ansar Allah (“ausiliari di Allah”), comunemente noti come “huthi”, dal nome del loro fondatore Hussayn Badr al-Din al-Huthi. Da un lato muore il “Custode dei Due luoghi Santi” - La Mecca e Medina – uno degli uomini simbolo del mondo sunnita e della coalizione anti-Stato islamico, dall’altro si assiste all’avanzata sciita a scapito dell’alternativa sunnita al potere ovverosia i Fratelli musulmani del partito al-Islah, la cui pasionaria è il premio Nobel per la Pace Tawakkul al-Karman. 

Il passaggio di potere, apparentemente senza frizioni e senza conflitti, in Arabia Saudita avviene in un contesto che metterà ben presto alla prova il nuovo sovrano Salman, uno dei circa 37 figli di re Abd al-‘Aziz e parte del ramo più potente dei discendenti di quest’ultimo ovvero il cosiddetto ramo dei “sette al-Sudairi”, figli di Hussa bint Ahmad al-Sudayri. Se la salute precaria (pare sia affetto da Alzheimer) glielo consentirà dovrà affrontare al più presto sia questioni esterne sia interne, entrambe connesse a duplice mandata con la cosiddetta lotta al terrorismo intrapresa dal suo predecessore. 

Salman dovrà decidere a breve termine come affrontare la morsa sciita che preme a sud nello Yemen, che continua a protestare in Bahrein, che vive a nord in Iraq e aldilà del Golfo in Iran e, ultimo ma non meno importante, che vive come minoranza nel nord-est del paese ricco di petrolio. Salman dovrà altresì decidere se proseguire la politica del fratello maggiore che da un lato ha messo al bando i Fratelli musulmani e ha attaccato lo Stato islamico e dall’altro ha combattuto – grazie alla legge anti-terrorismo del 2013- qualsiasi forma di opposizione, dai liberi pensatori agli sciiti, dagli attivisti per i diritti umani alle donne che hanno osato guidare. 

Il nuovo sovrano dovrà comprendere se continuare a confondere l’apologia del terrorismo con l’opposizione pacifica e a considerare l’ideologia wahhabita più moderata rispetto a quella della Fratellanza o a quella dello Stato islamico. 

In un articolo pubblicato il 23 gennaio stesso da Middle East Monitor, un sito d’informazione ideologicamente affiliato ai Fratelli musulmani, Amira Abo El-Fetouh accusa l’Arabia Saudita di avere facilitato l’ascesa degli sciiti nello Yemen con l’intento di frenare l’alternativa sunnita, di avere sabotato la rivoluzione in Siria per lo stesso motivo. L’autrice punta il dito contro l’Arabia Saudita, ma anche contro gli Emirati e l’Egitto, rammentando che si tratta di coalizione che mira ad annientare i Fratelli musulmani, ma che prima o poi cadrà vittima delle proprie scelte. Nel caso specifico dell’Arabia Saudita, i Fratelli musulmani sono stati inseriti nell’elenco dell’organizzazioni terroristiche, tuttavia il governo e la polizia non hanno attuato particolari misure repressive, come invece è stato fatto in Egitto.

Ebbene, re Salman dovrà decidere a breve se cedere alle minacce sciite e della Fratellanza – tenendo presente anche il legame storico tra Hamas e l’Iran – oppure se intraprendere una nuova via con un’apertura e un’alleanza con attivisti e riformisti sauditi contro l’ideologia del terrore. Una proposta proviene dal Center for Democracy and Human Rights in Saudi Arabia con sede a Washington: “Tanto per iniziare, il regime dovrebbe rilasciare tutti gli attivisti politici e dei diritti umani che hanno protestato in modo pacifico e tutti coloro che sono stati arrestati per avere propugnato la giustizia sociale, lo stato di diritto, la libertà religiosa e l’uguaglianza. Tra i promotori pacifici, arrestati ingiustamente, […] vi sono i fondatori  e i membri dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici, così come l’avvocato Waleed Abu al-Khayr, Raif Badawi, Souad al-Shammari e gli shaykh al-Rashudi e al-Nimr, solo per fare qualche nome. Questo gruppo di persone unitamente altri noti riformisti pacifici – uomini e donne – quali Hatoon al-Fassi, Wajeha al-Huwaider, Badriyya al-Bishr, Samar Badawi, […] rappresenterebbe un gruppo ideale per costruire un sostrato per la transizione verso una monarchia costituzionale che sia in linea con le monarchie europee.”

La vera svolta, la vera soluzione che potrebbe garantire il futuro della monarchia saudita sarebbe questa seconda proposta. Un patteggiamento – seppur segreto- con i Fratelli musulmani non sarebbe in grado di assicurare né la sicurezza estera né quella interna. Le posizioni conservatrici di re Salman nei confronti dell’islam sono note. Secondo lui, il wahhabismo è l’islam puro e vero, così come per i Fratelli musulmani l’interpretazione dell’islam propugnata da Hasan al-Banna è quella pura e vera. Se manterrà questa rigidità il nuovo monarca non cederà né alle pressioni della Fratellanza né alle pressioni delle organizzazioni per i diritti umani. Tuttavia una scelta la dovrà attuare per non cadere vittima della morsa sciita né dello Stato islamico. 

Purtroppo solo una profonda autocritica potrà fare comprendere a Salman che l’ideologia wahhabita è alle radici del terrorismo stesso con la sua suddivisione manichea del mondo in musulmani (i wahhabiti) e infedeli, solo una profonda autocritica potrà aprire la monarchia saudita a quella società civile che vorrebbe muoversi – non solo con le auto – e risvegliare le menti da un torpore che dura dal XVIII secolo. 

Le prime dichiarazioni di re Salman non fanno ben sperare: “Continueremo a seguire le corrette politiche che l’Arabia Saudita ha seguito sin dalla sua fondazione.” E se le corrette politiche sono la repressione e il terrore, l’Arabia Saudita continuerà a vivere nel deserto sia naturale che intellettuale, uccidendo le nuove generazioni e forse uccidendo se stessa.