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L'INTERVISTA

Le Borse crollano perché temono la crisi delle banche

Dopo il “lunedì nero” dei mercati finanziari, anche ieri le borse hanno vissuto una giornata in forte ribasso. Saldo negativo soprattutto per Milano e Madrid. Perché? Lo chiediamo a Angelo Drusiani esperto in gestioni di Banca Albertini Syz. Che ci spiega come la fragilità del sistema bancario sia all'origine di questa nuova crisi.

Economia 10_02_2016
Angelo Drusiani

Dopo il “lunedì nero” dei mercati finanziari, anche ieri le borse, in Italia e nel resto del mondo, hanno vissuto una giornata in forte ribasso. Saldo negativo per Piazza Affari (-3,2%) e Madrid (-2,87%), le altre borse europee, sebbene vadano un po’ meglio, registrano anch’esse perdite. E torna l’incubo dello “spread”, il differenziale fra i Btp decennali (italiani) e gli analoghi Bund (tedeschi), parola che non abbiamo dimenticato dalla crisi del 2011: martedì è salito a quota 155, dopo aver raggiunto 147 lunedì. Cosa sta succedendo? Che cosa sta spaventando i mercati fino a questo punto? La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con Angelo Drusiani esperto in gestioni di Banca Albertini Syz

Giornate di panico in Borsa sono sempre più frequenti. Qual è la causa principale?

La causa principale è la crisi che stanno attraversando molte banche italiane ed europee. Il sistema bancario è la base su cui poggia il capitalismo contemporaneo. Ora, trovarci di fronte a una serie di situazioni in cui i crediti sono inesigibili (o quantomeno difficilmente esigibili) da parte delle banche che hanno finanziato famiglie e imprese, per gli investitori (e per i mercati in senso lato) è una situazione del tutto inattesa. Il crollo delle borse a cui stiamo assistendo, dunque, è dovuto alla paura che le banche fatichino a recuperare i crediti, con conseguente sofferenza nei bilanci, possibili risultati negativi e ulteriore fase di difficoltà per banche che non navigano in acque tranquille. Come si è visto con i quattro istituti italiani appena salvati grazie alla nuova normativa, il bail-in (salvataggio interno).

La crisi del 2008, ormai passata alla storia, iniziò con lo scoppio della bolla edilizia, con il crollo del valore dei titoli sui mutui. Oggi stiamo assistendo a qualcosa di simile?

In quella fase c’erano situazioni un po’ più complesse. Erano stati creati titoli particolari che poggiavano su mutui già inesigibili in quantità enorme (in termini di valore nominale). Le banche si ritrovarono con immensi crediti inesigibili e in più il valore degli immobili era sceso in modo sensibilissimo, tanto da rendere quasi nullo il valore delle ipoteche emesse dalle banche sulle case. Ora, invece, il caso europeo è molto diverso: per quanto le banche abbiano crediti inesigibili, hanno però un fondo svalutazione crediti piuttosto importante. Al momento non è sufficiente nel caso nessuno paghi più. Si sta tentando, dunque, di istituire una “Bad Bank” (che si accolli i crediti inesigibili, ndr), ma è avversata dall’Ue, perché teme che sia un nuovo intervento di Stato. Finché in Italia non verrà alla luce la Bad Bank, questa situazione di difficoltà persisterà ancora per qualche tempo. Se problemi analoghi dovessero scoppiare in diversi paesi europei, ci si potrebbe trovare finalmente a trovare una soluzione condivisa. Perché, al di là della crisi contingente delle banche, il problema di fondo è quello di un’area euro fin troppo divisa. Anziché aiutarsi, i paesi membri si fanno la guerra l’un l’altro.

Ora si parla di rimedi possibili. E’ sufficiente il bail in o servono altri strumenti?

Lo strumento principale sarebbe quello dell’aumento di capitale, ma le banche ne hanno fatti ormai talmente tanti che difficilmente potrebbero trovare soci ancora disposti a sborsare. A meno di non accettare fusioni fra banche, a tutti i livelli. Purtroppo, però, ogni fusione comporta esuberi del personale e questo avrebbe un impatto negativo, non solo sull’occupazione, ma anche sui consumi. Di sicuro la soluzione è molto complicata. La nascita di una Bad Bank europea contribuirebbe a suddividere il costo degli aiuti fra i vari paesi membri. Ma come sempre la Germania pone ostacoli molto forti a questa soluzione, nonostante abbia salvato sei banche, nel 2008, usando il suo debito pubblico.

C’è chi suggerisce la nazionalizzazione delle banche. E’ una soluzione percorribile?

No. In questo caso non si può intervenire facendo altro debito pubblico. E’ un divieto tassativo dell’Unione Europea. Il settore pubblico non può intervenire per salvare banche e aziende in crisi. Obiettivamente la cifra necessaria è talmente alta che il nostro debito pubblico salirebbe in modo sensibile. Ed è già molto alto (132,6% del Pil, ndr).

Al momento rischiano di più gli investitori o i risparmiatori?

Entrambi, perché gli investitori che hanno una forte propensione al rischio adesso stanno perdendo sia nel mercato azionario che in quello obbligazionario. Rischiano i risparmiatori perché chi non ha propensione al rischio e sceglie di investire con durata molto breve non ha un ritorno reddituale interessante, perché i rendimenti sono praticamente vicini allo zero. In più considerando che sui depositi titoli si paga l’imposta di bollo introdotta dal governo Monti, si hanno anche dei rendimenti negativi. E’ dunque un rischio che coinvolge un po’ tutti, sia gli investitori esperti che i meno esperti e meno inclini al rischio: anche chi compra i Bot sa di farlo a rendimenti negativi. Ecco perché molti decidono di lasciare i soldi sul conto corrente.

E per i correntisti che rischio c’è?

Il rischio è legato all’importo. Chi supera i 100mila euro deve partecipare al salvataggio interno, nel caso la banca vada in dissesto, esattamente come gli azionisti. Dunque: meglio non esagerare con le quantità di contante che si lasciano nel conto corrente.

Lo spread del Btp sul Bund ha superato quota 150. Quando, nel 2011, si scatenò il panico da spread, a che punto eravamo?

Lo spread era fra 400 e 450 nell’estate e autunno del 2011. Quindi siamo ancora lontani da quei livelli di allarme. Ma si deve tener conto che solo un mese fa eravamo sotto i 100. Indubbiamente c’è stato un recupero del differenziale molto forte, legato all’incertezza sul futuro dell’economia italiana, al timore che le banche possano essere in difficoltà e che lo Stato stesso possa incorrere in gravi problemi. E’ una crisi di fiducia, che non riguarda solo l’Italia, ma anche la Spagna e soprattutto il Portogallo. In Portogallo il rendimento per titoli decennali del tesoro è al 3%, mentre l’Italia e la Spagna si attestano fra l’1,60% e l’1,70%. Per ora.

Quali sono i motivi della sfiducia nei confronti delle economie di Italia, Spagna e Portogallo?

Per i paesi meno virtuosi, il problema principale è costituito dal debito pubblico molto alto, con difficoltà di rientro perché l’economia cresce a rilento o non cresce. Il ministro Padoan afferma che questo sarà il primo anno in cui il nostro debito diminuirà. Stiamo a vedere, perché per il momento non è ancora accaduto. Di fronte a questa situazione di difficoltà, la Banca Centrale Europea, a parte l’acquisto dei titoli di Stato, attraverso il Quantitative Easing, non ha altri strumenti di intervento. Non ha lo stesso potere di intervento in difesa dei titoli di Stato, che aveva a suo tempo la Banca d’Italia. La Bce può comprare solo 60 miliardi di titoli di Stato al mese, li deve spalmare su 19 paesi dell’eurozona e difficilmente può difendere un solo paese, come l’Italia o la Spagna o il Portogallo: deve difenderli un po’ tutti. Per quanto la somma che usa sia elevata, non è sufficiente per la difesa dagli attacchi speculativi.