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VERSO IL VOTO

Le ingerenze che inquinano la campagna elettorale

Puntuali arrivano le ingerenze straniere nella nostra campagna elettorale. Sono appuntamenti fissi le sparate di certi leader europei che si affrettano a raccomandare agli italiani di votare in un certo modo, terrorizzandoli con scenari apocalittici qualora votino in altre direzioni. 

Politica 19_01_2018
Pierre Moscovici

Si avvicinano le urne e non potevano mancare le puntuali ingerenze straniere nella nostra campagna elettorale. Sono appuntamenti fissi le sparate di certi leader europei che si affrettano a raccomandare agli italiani di votare in un certo modo, terrorizzandoli con scenari apocalittici qualora votino in altre direzioni. 

La cosa più desolante è che si tratta di esternazioni prive di contraddittorio, alle quali è possibile rispondere solo attraverso i giornali. Peraltro i media italiani, facendo da cassa di risonanza a quelle sortite, finiscono per influenzare la campagna elettorale e per generare ulteriore confusione negli elettori, che vorrebbero scegliere per chi votare sulla base dei programmi, delle coalizioni, non dei giudizi di chi non vive in Italia e non conosce le dinamiche socio-economiche e politiche del nostro Paese ma parla solo ed esclusivamente “pro domo sua”.

A parti invertite non succede nulla di tutto ciò. I giornali stranieri non dedicano una riga a eventuali auspici di politici italiani in occasione di elezioni in altri Stati, o comunque è molto difficile che i cittadini di altri Stati prendano in considerazione un endorsement fatto da un esponente della vita pubblica italiana rispetto a un’elezione d’oltreconfine. E questo la dice lunga sul prestigio di cui effettivamente il nostro Paese gode all’estero, soprattutto nelle massime espressioni della sua classe dirigente. E conferma una certa sudditanza del nostro circuito mediatico nei confronti dei media stranieri e dei potentati politici e diplomatici europei e internazionali.

Giorni fa il commissario europeo Pierre Moscovici ha confermato, qualora ve ne fosse bisogno, che la soluzione preferita in Europa rispetto alle elezioni italiane del 4 marzo, è la continuità di governo, stante «una convergenza di vedute molto chiara con Gentiloni e Padoan». Una maniera neppure troppo elegante per bocciare eventuali svolte radicali, populiste e anti-europeiste.

A Bruxelles viene vista come fumo negli occhi l’ipotesi di un successo pentastellato e si commenta che il voto italiano, qualora portasse instabilità, potrebbe provocare un effetto domino sull’Unione, visto il vuoto di governo a Berlino e i possibili contraccolpi della crisi catalana sul quadro politico spagnolo.

Le parole di Moscovici hanno avuto il prevedibile effetto di spaccare il centrodestra: mentre Forza Italia, che non esclude affatto di costituire un governo di larghe intese col Pd, ponendosi però come l’azionista di maggioranza, plaude alle parole pro-stabilità del commissario europeo, Matteo Salvini e Giorgia Meloni le bollano come fuori luogo e inaccettabili. Moscovici sarebbe preoccupato anche di una eventuale vittoria dei Cinque Stelle perché il loro candidato premier, Luigi Di Maio ha adombrato la possibilità di uno sforamento del tetto del 3% del deficit. Quando però fu Matteo Renzi a scrivere nel suo libro “Avanti” che i trattati europei andavano rivisti per consentire di far salire il deficit al 3% e oltre, nessuno nelle cancellerie europee si scandalizzò.

Ma l’esternazione di Moscovici è solo l’ultima in ordine di tempo. Poco più di un anno fa, nell’imminenza del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, perfino l’ex presidente Usa, Obama perorò la causa di Matteo auspicando che gli italiani votassero “si” alle riforme costituzionali promosse dall’allora premier italiano. Non meno esplicito fu Jean-Claude Juncker che si disse preoccupato di una eventuale vittoria dei “no” a quel referendum.

Nei giorni scorsi, inoltre, si è scomodato anche il Presidente francese Emmanuel Macron, che è sceso in Italia per perorare la causa dell’attuale esecutivo e si è augurato pubblicamente di ritrovare Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi anche dopo il 4 marzo. Tutti tentativi maldestri di orientare gli umori dell’opinione pubblica italiana giocando sulla paura di un eventuale cambiamento descritto come “salto nel buio”. 

Nel passato i vertici dei governi stranieri si erano particolarmente spesi in favore dei partiti di sinistra, nel tentativo di screditare l’allora premier Silvio Berlusconi. All’epoca dello scandalo Ruby, fiumi di inchiostro erano stati dedicati dalla stampa internazionale alle “cene eleganti” di Arcore. I vertici europei, giocando di sponda con l’asse franco-tedesco, in primis con Angela Merkel, avevano preso la palla al balzo per mollare l’ex Cavaliere e impallinarlo con speculazioni finanziarie e campagne denigratorie. E nel 2011 ci riuscirono. Memorabile è rimasto anche l’attacco dell’Economist, che nel 2001, sotto la direzione di Bill Emmott, disegnò Silvio Berlusconi come una sciagura per l’Italia; in realtà il 12 maggio di quell’anno il centrodestra vinse comunque le elezioni e governò stabilmente per cinque anni. Lo stesso Emmott, pochi giorni fa, con una piroetta a dir poco sorprendente, ha ammesso di aver cambiato idea e ha definito il leader azzurro il “possibile salvatore della patria”, l’unico in grado di evitare la deriva populista-lepenista incarnata da Di Maio e Salvini. Ce n’è abbastanza, quindi, per diffidare di quanto ci raccomandano i leader europei e i media internazionali.