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GENDER

L'educazione al Liceo Giulio Cesare

Il ministro dell'Istruzione Giannini ammette che il romanzo gay di Melania Mazzucco è stato introdotto nel programma del liceo romano Giulio Cesare ignorando i genitori. Violando il principio della corresponsabilità educativa.

Educazione 04_05_2014
Il romanzo della Mazzucco

Alcune considerazioni sulla squallida vicenda del liceo classico Giulio Cesare di Roma. Il Ministro dell’Istruzione Giannini nell’intervista resa lo scorso 30 aprile a Repubblica.it ha dichiarato «assolutamente corretto» il comportamento tenuto nel caso di specie dagli insegnanti, in quanto il romanzo di Melania Mazzucco «è stato dato da leggere all'interno di un progetto sulle diversità condiviso tra studenti, professori, docenti». Quindi, per ammissione dello stesso Ministro, nel caso di specie non sono stati coinvolti i genitori degli studenti minori. E ciò non è assolutamente consentito. Merita di essere ricordato, infatti, che l’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, sancisce testualmente che «i genitori hanno un diritto prioritario nella scelta del tipo di formazione che deve essere data ai loro figli». Ci fu un motivo ben preciso per cui gli estensori della Dichiarazione, dopo la seconda guerra mondiale, ritennero di inserire proprio quel principio fino ad allora ritenuto scontato. Tale motivo derivò dalla costatazione del modo in cui il regime nazional-socialista del Terzo Reich aveva tentato di utilizzare il sistema scolastico per emarginare il ruolo dei genitori e procedere ad un’operazione di indottrinamento dei giovani attraverso i programmi governativi.

Tornando ai nostri giorni e al nostro Paese, occorre altresì rammentare e al Signor Ministro il diritto dei genitori alla «corresponsabilità educativa», espressamente previsto dalle “Linee di Indirizzo sulla Partecipazione dei Genitori e Corresponsabilità Educativa”, diramate dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca il 22 novembre 2012.

Tornando, invece, al romanzo della Mazzucco, merita di essere evidenziato il fatto che quel libro, edito nel 2013, non è ancora considerato una pietra miliare della letteratura nazionale, né può essere annoverato tra i classici della stessa letteratura, fatti leggere nelle scuole italiane accanto ad opere del livello della Divina Commedia, dei Promessi Sposi, dell’Iliade, dell’Eneide, dell’Odissea, o delle opere contemporanee già considerate dei capolavori. Forse i genitori di quei ragazzini di quattordici e quindici anni che frequentano il Giulio Cesare avrebbero avuto diritto di sapere che il romanzo dato da leggere ai propri figli trattava, ad esempio, il delicato tema dei rapporti fisici tra ragazzi dello stesso sesso, descrivendo un rapporto orale con annessa descrizione del gusto acre dell’urina e del sapore dolce dello sperma, e che affrontava il complesso tema della procreazione assistita per le coppie gay, descrivendo nei dettagli l’atto di masturbazione di un omosessuale mentre pensa al proprio compagno, consumato all’interno di una cabina per il prelievo dello sperma.

I genitori hanno tutto il sacrosanto diritto di opporsi al fatto che la scuola affronti in questo modo simili tematiche. Come ha giustamente scritto Marcello Veneziani nel suo ottimo articolo “Che libertà è leggere in classe un libro porno?” pubblicato lo scorso 30 aprile su Il Giornale, ognuno è libero di scrivere e di leggere, di pubblicare e di comprare quel che vuole, ma quando si entra in uno spazio pubblico, formativo, educativo come la scuola, non si possono propinare ai ragazzi le cose che sentono e vedono ogni giorno in rete, al bar, nei cessi. Non serve a nulla una scuola che si limiti ad inseguire banalmente la realtà, anzi un certo tipo di realtà, e che si riduce ad una fotocopia guardona della vita intima di taluni, magari elevandola a canone presente e modello di libertà. Una simile angusta prospettiva educativa rischia davvero di ridurre il cielo in una stanza, il mondo a una latrina, la vita a una fellatio. Come ha spiegato ancora Veneziani «non è questione di omofobia, è questione di miseria umana e letteraria, ridurre una scuola così». Educare significa ben altro.