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SVOLTA

Letta, "stai sereno" in un Cinque Stelle

Enrico Letta, uomo moderato per eccellenza, dopo tre anni dalla sua rottura con la politica italiana, ritorna in scena con una serie di incontri strategici. A Cernobbio si presenta con un discorso contro i partiti tradizionali. Presente Di Maio, pentastellato, che avrebbe potuto sottoscrivere parola per parola quel che diceva l'ex premier. Perché tirare la volata all'antipolitica?

Politica 03_09_2017
Enrico Letta

Fino al celebre “Enrico, stai sereno”, era considerato una riserva della Repubblica, non solo per il cognome che porta, ma per l’aplomb e lo spirito moderato che lo contraddistinguono. Fu messo a capo di un governo di larghe intese proprio perché ritenuto l’unico in grado di presiederlo in una logica inclusiva e di pacificazione. Ecco perché le parole pronunciate nei giorni scorsi da Enrico Letta hanno scosso i Palazzi del potere e molti dietrologi le hanno lette come una strizzatina d’occhio ai Cinque Stelle.

Soprattutto se collegate alla presenza di Luigi Di Maio a Cernobbio, tempio dei poteri forti, dove lo stesso Letta è di casa. "C'è necessità di risposte diverse da quelle date dai partiti nel passato – ha dichiarato l’ex premier in un’intervista - Quelli tradizionali sono crollati, si sono suicidati. Credo ci sia bisogno di interrogarsi su quali siano le forme con cui fare politica. Ho seri dubbi sul fatto che la costruzione dei vecchi partiti sia la soluzione. Continuare su strade che hanno una difficoltà a far transitare messaggi positivi nuovi è sbagliato, perché i partiti tradizionali sono visti dai cittadini come tutto ciò che è privilegio, conservazione e classe dirigente che non ascolta i problemi".

Sembra di ascoltare Di Maio o Di Battista o un ideologo pentastellato. Nelle parole di Letta si scorge nitidamente un incitamento alla rottamazione, un’apertura a forme nuove di aggregazione politica. Tra i partiti tradizionali che hanno fallito c’è anche, evidentemente, il Pd, che in Italia ha una struttura più ramificata di quella di tutti gli altri partiti. Il suo è quindi un palese attacco a chi lo guida, cioè Matteo Renzi, proprio in un momento in cui la sua leadership, anche tra i dem, è fortemente appannata e in declino. L’anno scorso addirittura qualcuno avanzò l’idea di un Letta avversario di Renzi nella corsa alla segreteria. Dunque appare rivoluzionaria la frase del primo, che intona il de profundis al partito presieduto dal secondo.

Letta esclude di rientrare a fare politica in Italia ma benedice le nuove forme di organizzazione politica della società e certamente il Movimento Cinque Stelle rientra tra queste. In più, proprio nel week-end che si conclude oggi, il candidato premier in pectore dei Cinque Stelle alla Presidenza del Consiglio, Luigi Di Maio, dopo i tanti bagni di folla in Sicilia, sta calcando la scena nei cosiddetti “salotti buoni”, dove i poteri forti dettano l’agenda e la politica di solito esegue. E i due si sono incrociati a Cernobbio, nel consueto Forum Ambrosetti, che non è stata peraltro l’unica tappa del tour del vicepresidente della Camera.

Prima era stato al Festival del Cinema di Venezia, dove ha conteso i riflettori a Maria Elena Boschi, poi ha abbracciato l’elite finanziaria di Cernobbio, infine incontrerà quella nazional-popolare di Monza, dove oggi è previsto il Gran Premio automobilistico di Formula 1 e si imbatterà nel “renziano” Sergio Marchionne, che magari lo inviterà a casa sua a bere un caffè.

Per qualcuno si tratta di incroci casuali, ma un Letta che tira la volata ai Cinque Stelle e contribuisce a spazzare via la vecchia politica, di cui peraltro lui stesso è comunque espressione, ci può stare. I poteri forti hanno sempre piegato la politica ai loro diktat e ne hanno orientato il corso. Dopo Tangentopoli nessun partito è riuscito a rappresentare un cuscinetto, un argine contro la deriva tecnocratica, nessuna forza politica è riuscita a sottrarsi alla subalternità imposta dalla finanza internazionale e da altri poteri forti. Oggi molte personalità come Letta, facenti capo a organizzazioni come Aspen Institute, e che hanno familiarità con ambienti come quelli della Trilaterale, considerano “medievali” le strutture dei vecchi partiti politici, del tutto incapaci di intercettare le sensibilità delle nuove generazioni, di interpretarne aspettative e bisogni. 

Enrico Letta per quasi dieci anni ha dato vita a un think thank trasversale, Vedrò, che lui stesso ha chiuso una volta conquistato Palazzo Chigi, mostrandosi all’epoca schiavo delle liturgie e dei bizantinismi della vecchia politica dalle quali ora prova a prendere le distanze.

Se Di Maio oggi si sente a suo agio anche tra economisti, industriali, cineasti e personaggi che, in alcuni casi, hanno contribuito ad affossare il nostro Paese, è comunque un segno dei tempi. Lui e Letta non militeranno mai nello stesso partito, potrebbero però essere dalla stessa parte nella battaglia per l’innovazione del Paese. Le agende dei due potrebbero coincidere nella misura in cui il Movimento Cinque Stelle riuscisse ad evolversi dalla fase della protesta iconoclasta e populista a quella della costruzione di una proposta per la guida del Paese, indicando priorità che per certi versi sono obbligate: risanamento finanziario (anche a Cernobbio i big europei hanno sottolineato la gravità del debito pubblico italiano), lotta alla corruzione, meritocrazia in tutti i settori della vita pubblica.

In questo senso, il problema di Di Maio, nel prossimo futuro, non sarà tanto quello di farsi accettare dai poteri forti, che stanno già apprezzando il suo dinamismo internazionale e la sua sincera propensione al dialogo e al confronto, quanto quello di far digerire al popolo pentastellato quella naturale “normalizzazione” che il Movimento dovrà compiere. C’è grande diffidenza e ostilità da parte dei grillini duri e puri verso la svolta del vicepresidente della Camera, che secondo loro rischia di togliere autonomia alle scelte del Movimento strappandogli quella “verginità” che lo rende un fenomeno politico completamente nuovo.

Quel passo prima o poi andrà fatto, lo sa Di Maio, lo sa Di Battista, lo sanno anche Grillo e Casaleggio. Non si può pensare di governare un Paese sapendo di avere tutti contro, dai poteri forti alla burocrazia, dagli avversari politici alle categorie produttive. Non è pensabile che la politica dei Cinque Stelle continui a puntare tutto sul movimentismo e sull’assemblearismo in Rete. Per costruire una nuova classe dirigente, è necessario costruire consenso in tutti gli ambienti, con la forza delle idee, con la competenza e l’onestà dei comportamenti. E dichiarazioni come quelle di Letta possono aprire praterie insperate.