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SULLA SCUOLA

L'idea statalista di Di Maio di bene comune

Il 10° punto della recente proposta governativa dei Cinque Stelle in vista del governo con il Pd, appare come un virtuoso riciclo di proclami pregressi nel passaggio sulla scuola. Pubblico non coincide con statale. E per motivi ideologicamente pretestuosi, conditi da una certa dose di ignoranza, non è stata acquisita neppure l’evidenza matematica che, per merito delle scuole pubbliche paritarie, lo Stato risparmia sei miliardi di euro all’anno.

Editoriali 29_08_2019

“Tutela dei beni comuni: la scuola pubblica è un bene comune; bisogna approvare subito la legge sull’acqua pubblica e procedere alla revisione delle concessioni autostradali”.

Il 10° punto della recente proposta governativa dei Cinque Stelle in vista del governo con il Pd, appare come un virtuoso riciclo di proclami pregressi. La serietà della situazione lascia poco spazio all’ironia, ma non al coraggio della riflessione e della cultura. La forza intrinseca di queste ultime può liberare i cittadini dal rischio di arrendersi per sfiancamento… che è anche più pericoloso del populismo.

Ecco perché il 10° punto indicato dal Movimento 5 stelle richiama alcuni chiarimenti.

Innanzitutto, non è marginale precisare che “pubblico” (= “che svolge un servizio pubblico, cioè per tutti”) non coincide con “statale”: ai sensi della legge (62/2000), il Servizio Nazionale di Istruzione è formato da scuole pubbliche statali, gestite dallo Stato, e scuole pubbliche paritarie, gestite da Enti privati, Comuni e Province. Le scuole non paritarie (le vere “private”) non sono scuole pubbliche, e quindi non fanno parte del SNI. E’ in errore – e non dimostra cultura sufficiente per proporsi ai cittadini – chi scrive o parla di “scuola pubblica” riferendosi unicamente alla “scuola pubblica statale”.

Rintracciabile già ai tempi della nascita dello Stato Unitario, e riproposto poi in sede di Assemblea Costituente della nascente Repubblica, il dibattito sulla Scuola ha sempre visto la contrapposizione tra sostenitori del suo rigido controllo statale e sostenitori, non solo cattolici, della libertà scolastica come libera iniziativa educativa e formativa. Sulla scia dei primi, il main stream dominante continua a ritenere che il diritto di soggetti giuridici privati di aprire scuole e di erogare istruzione pubblica in via sussidiaria contrasti con il diritto di tutti i cittadini ad essere istruiti dallo Stato. Peggio, che solo lo Stato possa istruire i cittadini.

Ad oggi, infatti, in Italia non è ancora stato acquisito il concetto che l’offerta formativa è unica e conforme agli stessi ordinamenti generali, sebbene possa essere erogata o da istituzioni statali o da istituzioni paritarie, e ciò a garanzia del pluralismo formativo e della libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. La negazione di pluralismo e libertà configurerebbe una scuola di regime, mistificando il diritto costituzionale all’istruzione con l’obbligo di riceverla solo da scuole statali. E’ questo che il cittadino italiano desidera?

Non solo: per motivi ideologicamente pretestuosi, conditi da una certa dose di ignoranza, non è stata acquisita neppure l’evidenza matematica che, per merito delle scuole pubbliche paritarie, lo Stato risparmia sei miliardi di euro all’anno. Allo stesso tempo, non si vuole vedere che, per ogni studente delle pubbliche paritarie, le famiglie sostengono il doppio costo della loro contribuzione alla fiscalità generale per l’istruzione pubblica statale non fruita e dell’onere da sostenere per l’esercizio della libertà di scelta educativa (retta). A ben vedere, un finto afflato egalitario determina il suo esatto effetto contrario, perché preclude l’esercizio della libertà di scelta proprio a coloro che non possono sostenere il doppio contributo. I poveri non possono scegliere la scuola pubblica paritaria, mentre dovrebbero poter scegliere tra pubblica statale e pubblica paritaria, avendo pagato le tasse. 

Posto, dunque, che non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale è quello di riconoscere a ciascuno studente una dote pari ad un costo standard di sostenibilità, ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale o paritaria – sulla base di parametri certi. In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie per finanziare l’istituzione scolastica pubblica (statale o paritaria) prescelta per i loro figli, generando così una virtuosa concorrenza a complessivo vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sarebbero incentivate, infatti, a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement. Garantite sarebbero in ogni caso, attraverso l’economia dei mancati sprechi, le piccole scuole di territori disagiati.

In conclusione, in uno Stato effettivamente liberale, solo attraverso il costo standard di sostenibilità si può garantire la vera libertà di scelta educativa anche ai meno abbienti. L’alternativa consiste nell’avallare tacitamente l’ingiustizia di fondo per cui il ricco sceglie, mentre il povero è costretto ad accontentarsi.