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GOLFO

L'Iran ricomincia ad armarsi

Il nuovo direttore della Cia, Mike Pompeo, annuncia subito di voler cestinare l'accordo sul programma nucleare iraniano. Sebbene sia difficile che venga del tutto annullato, la tensione ricomincia a montare. L'Iran riprende i test missilistici e avvia un programma di ammodernamento delle sue forze convenzionali.

Esteri 20_11_2016
Ritratto di Khamenei in una parata militare

"Non vedo l'ora di smantellare questo accordo disastroso con il più grande Stato sponsor del terrorismo del mondo". L'ultimo tweet, pubblicato venerdì da Mike Pompeo, il deputato del Kansas appena designato direttore della Cia dal presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, sembra condannare a morte il processo di distensione con Teheran determinato dal controverso accordo internazionale, sostenuto da Barack Obama e dalla Ue, che ha sancito il diritto dell’Iran ad accedere al nucleare civile in cambio della rinuncia a dorarsi di armi atomiche.

Il tweet rimanda ad un articolo dello stesso Pompeo al settimanale neo-conservatore The Weekly Standard, intitolato 'Smantellare l'accordo con l'Iran? Facile”. Nei giorni scorsi, 76 esperti di sicurezza e difesa hanno firmato un documento in cui si raccomanda a Donald Trump di non buttare alle ortiche l’intesa faticosamente raggiunta con Teheran che garantirà la pace in Medio Oriente evitando che si surriscaldi il confronto tra l’Iran e gli Stati arabi, in particolare le monarchie sunnite del Golfo Persico. Sia Riad che Gerusalemme temono, del resto, che l’accordo non impedirà a Teheran di costruirsi un consistente arsenale atomico impiegabile con testate imbarcate sui missili balistici a medio e lungo raggio costruiti o in fase di sviluppo.

Un timore che pare suffragato dai rapidi progressi tecnologici registratisi nel settore dei missili balistici e da crociera, vettori che hanno ben poco senso se non equipaggiati con testate chimiche, biologiche o nucleari. Del resto Teheran considera “strategici” i suoi reparti missilistici balistici controllati direttamente dai Guardiani della Rivoluzione fedelissimi al regime e dotati di armi made in Iran prodotti con tecnologia russa, cinese e nordcoreana con raggio d’azione fino a 3mila chilometri.

Lunedì scorso i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno espresso preoccupazione per la continuazione dei test dei missili balistici iraniani, definiti in contrasto con l'accordo sullo stop al programma nucleare, ma la risposta di Teheran è stara lapidaria: "I test balistici rientrano nel quadro del programma difensivo dell'Iran che non è in alcun modo negoziabile" ha detto un portavoce del ministero degli Esteri. Il rischio che l’Iran si doti comunque della “bomba” sta determinando il rischio di una corsa all’atonica in tutto il Medio Oriente che sta già coinvolgendo i sauditi, che dopo aver finanziato l’atomica pakistana pare chiedano a Islamabad di poter condividere il deterrente atomico un caso di necessità.

Lo stesso Trump, teso a rinsaldare i rapporti con Israele portati al minimo storico dalle tensioni tra Obama e Netanyahu, aveva definito l’intesa sul nucleare iraniano “il peggior accordo mai negoziato” ma è probabile che nei prossimi mesi il neo presidente cerchi un’intesa che migliori l’accordo, magari con maggiori controlli sul programma nucleare dell’Iran, piuttosto che puntare sul suo rovesciamento. Del resto quando si definisce l’Iran “sponsor dei terroristi” ci si riferisce certamente a Hezbollah e Hamas che costituiscono una minaccia per Israele ma la stessa frase viene utilizzata da arabi e sauditi per accusare Teheran di sostenere il regime siriano contro i ribelli sunniti jihadisti.

I terroristi islamici contro cui combattono gli USA e la Coalizione internazionale e che lo stesso Trump dice di voler abbattere sono quelli sunniti (al-Qaeda, Stato Islamico, talebani, salafiti, Fratelli Musulmani) nemici dell’Iran sciita e sostenuti da sauditi ed emirati del Golfo. Sfumature non certo irrilevanti sulle quali è lecito attendersi chiarimenti dall’Amministrazione Trump.

Intanto l’Iran sembra accelerare i programmi di riarmo convenzionale anche in virtù delle esigenze belliche (gli iraniani combattono in Iraq e Siria contro l’Isis), delle potenziali minacce di confronto con Usa e arabi e della necessità di aggiornare forze armate i cui mezzi sono ancora in gran parte risalenti all’epoca dello shah Reza Pahlevi: arsenali che l’embargo internazionale da poco rimosso ha impedito di aggiornare. Ora quindi Teheran non sembra voler perdere tempo ordinando agli alleati di ferro russi armi per 10 miliardi di dollari che includono caccia Sukhoi 30, carri armati T-90 (già testati in battaglia in Siria e forniti all’esercito di Assad), artiglieria ed elicotteri. Mosca ha già consegnato nei mesi scorsi i sistemi di difesa aerea a lungo raggio S-300 ordinati da Teheran nel 2007 e a lungo bloccati dall’embargo ma le nuove forniture potrebbero venire contestate dal Palazzo di Vetro che in base all’accordo avrà fino al 2020 il diritto di sindacare sugli acquisti di armamenti da parte dell’Iran.

Washington si è già detta “preoccupata” per il contratto in discussione tra Mosca e Teheran benché paradossalmente rappresenti ben poca cosa in confronto ai contratti firmati da Washington per forniture alle monarchie arabe del Golfo per 150 miliardi di dollari solo negli ultimi anni. Peraltro le armi oggetto della trattativa tra Teheran e Mosca sono tutte di carattere tattico o comunque difensivo e rese a rimpiazzare i vecchi mezzi di origine statunitense ed europea, più volte rimodernati, risalenti per lo più agli anni ’70 mentre quelle decisamente offensive (o di deterrenza strategica) come i missili balistici vengono ormai prodotte autonomamente dall’Iran.