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IL RAPPORTO

L'islam politico visto dalla Dottrina sociale della Chiesa

L'islam politico in Europa è già una realtà, che merita un giudizio chiaro. Libertà religiosa e principio di tolleranza sono due criteri insufficienti che non tengono conto delle caratteristiche peculiari dell'islam. Ecco la presentazione al X Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa.
- COME GIUDICARE L'ISLAM POLITICO, di Giampaolo Crepaldi

Libertà religiosa 28_11_2018
Monsignor Giampaolo Crepaldi

I temi centrali degli ultimi tre Rapporti annuali del nostro Osservatorio sono strettamente legati tra loro, analizzando problemi sociali e politici del mondo di oggi fortemente connessi tra loro. L’ottavo Rapporto (2016) era dedicato al fenomeno delle migrazioni e delle immigrazioni soprattutto nel continente europeo ed aveva come titolo “Il caos delle migrazioni, le migrazioni nel caos”. Su questo tema scottante il Rapporto ha avuto il coraggio di dire una parola ispirata al “realismo cristiano” della Dottrina sociale della Chiesa più che ad un generico e vuoto spirito di accoglienza.

Uno degli aspetti più importanti del fenomeno immigratorio è la minaccia che esso rappresenta per l’Europa e specialmente per la sua tradizione cristiana. Nel contempo le immigrazioni mettono in evidenza la grande fragilità del processo di unificazione continentale e la stanchezza della sua ispirazione ideale. Ecco perché il successivo Rapporto – il nono, del 2017 - è stato dedicato proprio all’Europa con il titolo: “Europa: la fine delle illusioni”. Anche in questo caso posso dire che le valutazioni del Rapporto hanno espresso una loro originalità, giudicando severamente, senza retorica o sentimentalismi, l’attuale fase di stallo e di implosione del progetto europeista. A quel punto bisognava fare il terzo passo in coerenza con i due precedenti ed affrontare il principale punto nell’agenda europea del momento che riguarda la presenza di un islam politico sempre più attivo.

Nei suoi confronti appellarsi al principio della libertà di religione è insufficiente, perché in questo modo non si affronta il problema della verità delle religioni e quello delle particolarissime caratteristiche della religione islamica. Del resto, i Paesi europei e le istituzioni comunitarie intendono contrapporre all’islam politico il solo principio di tolleranza, senza tener conto che si tratta di una religione che, su questo punto, non può contraccambiare proprio per motivi legati alla sua natura teologica. Si assiste quindi ad un accomodamento continuo alle esigenze dell’islam politico, ad una ingenua accoglienza delle sue richieste senza niente in contraccambio, a un inserimento di aspetti del diritto islamico nel diritto degli Stati europei, ad una problematica speranza nella possibile eistenza in futuro di un “islam europeo” frutto maturo di un auspicato “islam moderato”, non considerando che un certo fondamentalismo è inseparabile dall’islam data la sua concezione di rivelazione e di creazione.

La Chiesa cattolica europea non affronta il problema se non dal punto di vista del dialogo interreligioso e ormai dimentica di chiedere agli Stati europei e alle istituzioni comunitarie la difesa delle radici cristiane del continente. Del resto essa stessa non sa bene come questa richiesta possa conciliarsi con il diritto alla libertà religiosa da essa proclamata dopo il Vaticano II. Accade così che la Chiesa spinga all’accoglienza e all’integrazione dei musulmani, spesso senza conoscere bene quella religione e le sue esigenze intrinseche riguardanti la società e la politica, e la politica europea si adegui alle dinamiche di islamizzazione pensando di dominarle governandole e addirittura imponendole agli Stati recalcitranti e intesi a difendere la propria identità.

Il tema di questo Decimo Rapporto – l’islam politico – viene analizzato, come i precedenti, dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. In questo caso però, diversamente dai precedenti, la cosa rappresenta una novità. Credo di poter dire che finora la Chiesa non abbia mai esaminato il problema dell’islam come un problema che attiene anche alla sua Dottrina sociale e al quale vadano applicati i principi del magistero sociale. L’islam viene considerato, come ho già scritto sopra, un tema da dialogo interreligioso, oppure da studiarsi dal punto di vista della storia delle religioni o della teologia delle religioni. Non risulta che qualcuno lo abbia analizzato mai nella sua compatibilità o incompatibilità con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, ossia con i fondamenti di una sana società, costruita a misura di uomo e di Dio. Ecco perché non temo di affermare che questo Rapporto apre una pista nuova e getta le basi di un lavoro futuro che si presenta cospicuo ed esigente.

Del resto, a rendere necessario e doveroso questo nuovo cammino della Dottrina sociale della Chiesa sono gli stessi risultati dei due Rapporti precedenti da me richiamati sopra. L’islam politico, infatti, è ormai molto presente in Europa. Non solo tramite molti tragici fenomeni di terrorismo, ma anche con la nascita di partiti politici che si presentano in molti Paesi europei alle elezioni amministrative e parlamentari.

Si aggiungano le pressioni affinché siano accettate alcune manifestazioni tipiche della cultura, della morale e del costume islamici, affinché elementi del diritto islamico (fiqh) e della legge islamica (charia) vengano assunti anche all’interno dei nostri ordinamenti giuridici. Non vanno dimenticati il finanziamento della costruzione di moschee senza nessuna forma di compensazione nei Paesi islamici per i cristiani, nonché la propaganda di intellettuali islamici il cui esempio principale rimane ad oggi Tariq Ramadan. In altre parole l’islam politico non è solo sulla carta, è una realtà politica ben presente attorno a noi. Che la Dottrina sociale della Chiesa se ne occupi non è quindi più rinviabile.

Gli aspetti sociali e politici dell’islam gli appartengono per motivi strettamente teologici. Essi, quindi, sono essenziali a questa religione e non vanno intesi come appendici secondarie o residuali. Il centro è certamente teologico e si concentra nella visione di Dio come assolutamente altro, e da ciò derivano conseguenze nella visione della società e della politica in stretta coerenza. Ne consegue che è impossibile pensare di avere a che fare con l’islam solo come religione e non come civiltà.

Il diritto islamico, le numerose prescrizioni sociali e politiche del Corano da applicarsi alla lettera, l’impossibilità di una laicità nel sistema islamico, l’unità, esclusività e superiorità della Umma, la comunità islamica costitutita dai “sottomessi” alla volontà di Allah trasmessa dal Corano e dal Profeta, danno all’islam una chiara configurazione poltica alla cui valutazione la Dottrina sociale della Chiesa non può sottrarsi. Come non può sottrarvisi, su un altro piano, la ragione politica, europea e non solo.

Molti cattolici pensano che i musulmani possano essere loro di aiuto nei campi della difesa della vita e nella promozione della famiglia contro il relativismo del pensiero dominante in Europa di origine illuminista e tendente ora al nichilismo aperto. Si dice, per esempio, che i musulmani sono contrari all’aborto e all’omosessualità così come i cristiani e che potrebbero contribuire alla causa di chi in Europa contesta queste cose. Pensando così, si dimentica però che in contesto islamico è molto problematico se non impossibile parlare di diritto naturale e di morale naturale, mentre in ambito cattolico questi sono i fondamenti dell’impegno a difesa dei principi morali richiamati sopra.

Questo perché la creazione di Dio, secondo l’islam, non avviene secondo una verità, ma secondo una volontà. Non esprime quindi un ordine ontologico, ma un positivismo islamico. Della famiglia e della donna, poi, l’islam ha una visione diversa da quella della Dottrina sociale della Chiesa. Se quindi, nominalisticamente, si può ritenere di combattere giuste battaglie comuni, se si va poi in profondità emergono le grandi diversità che riguardano proprio la politica, anche se hanno origine nella teologia.

I termini del confronto in questo Rapporto sono tre: l’islam, la Dottrina sociale della Chiesa e l’ideologia del progressismo occidentale. Su questi tre ambiti bisogna fare chiarezza, ed è questa una delle finalità del Rapporto. L’islam appiattisce spesso il cristianesimo sull’Occidente. È stato documentato che oggi gli islamici associano il cristianesimo al neopaganesimo occidentale. Tale disprezzo può avere motivazioni storiche, ma teologicamente deriva dalla suddivisione islamica dell’umanità in musulmani e non musulmani che, con i cristiani, riguarda anche gli ebrei e, ancora di più, i pagani.

Se gli islamici si contrappongono al cristianesimo perché lo considerano occidentale, l’Occidente apre le porte spesso indiscriminatamente all’islam per mettere in un angolo il cristianesimo, diciamo pure in funzione anticristiana. La celebrazione della indiscussa positività della società multireligiosa, portata avanti dal neoilluminismo radicale occidentale, ha lo scopo di mettere in difficoltà la religione cattolica in Europa. Per questo motivo chi vuole utilizzare la Dottrina sociale della Chiesa per valutare l’islam politico, lo deve fare senza confondersi con le motivazioni dell’ideologia occidentalista. Questo è un taglio molto importante che abbiamo voluto dare a questo Rapporto.

Se si prendono in esame alcuni temi di grande importanza politica, come per esempio il concetto di laicità, di diritti umani o di democrazia, si vede che tra la visione dell’islam e quella della Dottrina sociale della Chiesa ci sono molte differenze, ma altrettante ce ne sono tra ques’ultima e la visione politica del modernismo neoilluminista dell’Occidente. Allora bisogna fare molta attenzione nel sottoporre a critica certe convinzioni islamiche, in modo che non sembri con ciò di voler valorizzare quelle occidentali in quanto tali. Spesso, invece, si criticano i limiti della visione islamica della laicità, dei diritti umani e della democrazia … ma argomentando a favore delle concezioni che di questi temi ha la politica occidentale che, invece, contrasta spesso con i principi della Dottrina sociale della Chiesa. Quest’ultima, in altre parole, ha due fronti su cui precisare le cose, quello della religione islamica e quello del nichilismo politico occidentale. Se, del resto, a conferma di ciò, cosideriamo le cose da un altro punto di vista, notiamo che il progressismo teologico cattolico che getta ponti nel dialogo con l’islam anche sui temi suddetti della laicità, dei diritti umani e della democrazia, fa poi lo stesso nei confronti dell’ideologia politica dell’Europa post-religiosa. Il tentativo è di costruire una visione politica sincretistica nella quale i principi della Dottrina sociale della Chiesa perdono di significato.

Per poter considerare con obiettività l’islam politico, la Dottrina sociale della Chiesa deve uscire dai compromessi con la filosofia politica neoilluministica dell’Occidente, e per poter considerare con obiettività quest’ultima, essa deve uscire da una considerazione superficiale e ingenua dell’islam politico. Questo Rapporto intende sviluppare questo triangolo di argomentazioni.

* Presidente dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, Arcivescovo-vescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del CCEE, Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa