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LA PRIMA ALLA SCALA

L'Italia che se la canta e se la suona (e si applaude pure)

Pare passato un secolo da quando le pellicce e i frac degli illustri invitati alla Prima della Scala venivano bersagliati dalle uova marce dei contestatori negli anni Settanta et ultra. Alla Scala c’era quell’Italia minoritaria, ed elitaria, che celebra se stessa e si applaude pure, al sicuro dietro cordoni di polizia. Siamo sicuri che gli applauditori siano proprio quelli che opereranno la «rinascita» del Paese?

Attualità 10_12_2019

Anni fa (1981) il francese Michel Polnareff cantava una moderata presa in giro dell’opera lirica e sceglieva proprio La Tosca (v. su Youtube Où est la Tosca; nella versione karaoke c’è anche il testo). Il cantante, uno dei primi a fare outing, non era tenero con la religione (v. anche il brano Monsieur l’abbé), forse per questo scelse la pucciniana Tosca, uno dei melodrammi più anticlericali dell’intero repertorio.

Ma Puccini è anche uno degli autori più commestibili all’orecchio moderno, infatti è suo quello che ormai è diventato un tormentone: «all’alba vincerò, vincerò, vincerò!». Forse per questo la «prima» di quest’anno alla milanese Scala, «tempio della musica», è stata dedicata alla Tosca. E giù dirette, mondovisioni e quant’altro.

Così, l’intero pianeta ha potuto assistere ai quattro minuti di applausi al presidente della repubblica Mattarella. Che, a giudicare dall’espressione, se li è proprio goduti beatamente. Era la prima volta che un capo di Stato italiano riceveva ovazioni così prolungate? Non lo sappiamo. D’altra parte, quattro minuti non sono poi un’eternità, né a orecchio ci pare un record. In ogni caso, tutti erano in piedi a sbattere mani e così sono rimasti, se diamo retta a chi cronometrava.

Pare passato un secolo da quando le pellicce e i frac degli illustri invitati alla Prima della Scala venivano bersagliati dalle uova marce dei contestatori negli anni Settanta et ultra. Ma sant’Ambrogio, patrono dei milanesi, e la polizia in ranghi serrati hanno evitato, questa volta, altro genere di show. I commenti bipartisan su quel lungo applauso al presidente si sono sprecati. C’è anche chi vi ha visto un chiaro simbolo di «rinascita» per quest’Italia che così ridotta forse non era mai stata dal tempo della Ricostruzione.

Certo, a volere essere pignoli, uno può anche andare a vedere le carte, cioè chi era che applaudiva. Meglio, «chi» lo sappiamo, i nomi sono su internet, ma è la composizione sociologica che magari ci interessa. Alla Prima della Scala, si sa, vengono invitati i Vip (e chi può pagare 2500 €., senza contare il costo dell’abito da sera), sia istituzionali che degli altri rami. Pagano il biglietto? Boh, magari fanno una donazione.

Magari si limitano a illustrare la soirée con la loro presenza. Al tg mi è parso di intravedere anche Patti Smith, attempata rockettara di cui mi vergogno di non conoscere alcun brano (quantunque presuma di intendermene), che in precedenza avevo visto col Papa. Sul palco presidenziale (ex reale: sic transit gloria mundi) erano in tanti, dal presidente della Regione Lombardia al sindaco di Milano, Sala, con la compagna (mi pare, figlia di un grande banchiere).

Insomma, siamo sicuri che gli applauditori siano proprio quelli che opereranno la «rinascita» del Paese? Stando ai sondaggi (e ai voti) c’è un bel pezzo di Italia, anzi, pare sia la maggioranza degli elettori, che non ha affatto gradito di ritrovarsi governata da uno schieramento maggioritario solo in Parlamento ma per niente nel Paese.

Questo pezzo, fosse stato invitato alla Scala, avrebbe applaudito per quattro minuti? O tre? O per un secondo? Per sicurezza, costoro se la guardino alla tivù, la Tosca, non si sa mai. Così, alla Scala c’era quell’Italia minoritaria, ed elitaria, che celebra se stessa e si applaude pure, al sicuro dietro cordoni di polizia. Se si andasse, finalmente, a votare, lo spettacolo sarebbe uguale? Forse no, ma forse non lo sapremo mai, perché si andrà, sì, prima o poi, al voto, ma solo quando saranno sicuri di continuare a comandare loro.