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L'IO E LA CRISI DELLA MODERNITA'/20

Lo stupore del bambino conosce il mistero della realtà

L’atteggiamento di stupore proprio del bambino rappresenta l’impeto dell’uomo che entra con curiosità nell’avventura della realtà per conoscerla. Proprio questo stupore è l’atteggiamento da cui nasce la filosofia. E si ritrova nella prosa di Giovanni Pascoli, nella poesia di Ada Negri e in Eugenio Montale.

Cultura 12_02_2017
Il fanciullino

L’atteggiamento di stupore proprio del bambino rappresenta l’impeto dell’uomo che entra con curiosità nell’avventura della realtà per conoscerla. Proprio questo stupore è l’atteggiamento da cui nasce la filosofia.  Il fascino che la realtà desta diventa il mezzo che attira e che cattura il bambino tanto da far sorgere in lui le domande: «Che cos’è questo oggetto? Come si chiama? A che cosa serve?». La conoscenza avviene attraverso la creazione di un legame con l’oggetto incontrato fino al desiderio di comprendere il suo fine e la sua utilità. Senza questo stupore tutto diventa inutile e insignificante. Per questo si può correttamente affermare che solo lo stupore conosce.

La realtà c’è, è un dato che esiste prima di noi. La realtà ci provoca, ci suggestiona, ci sollecita, ci suggerisce un Mistero che sta oltre il sensibile e il visibile. Ci affascina con la sua bellezza purché noi la guardiamo con stupore e meraviglia, anche quando siamo immersi in problemi e portiamo pesanti croci. Talvolta, però, ci si dimentica che la realtà esiste, non ci si stupisce più e allora la monotonia e le difficoltà quotidiane ci schiacciano. 

Ciàula, personaggio di una novella pirandelliana, fa la scoperta della bellezza della realtà. Costretto a lavorare in miniera per tante e tante ore, fin da piccolo aveva provato paura per il buio della notte. Un giorno, ritornato in superficie dopo l’estenuante fatica, fa la scoperta della Luna: la rivelazione di una presenza che è più grande di noi e che esiste a prescindere dalla nostra consapevolezza. Si può vivere senza cogliere la bellezza che ci circonda, senza palpitare di meraviglia. Ora Ciàula si rende conto che nessuna fatica, nessun limite, nessuna circostanza ci definiscono e ci schiacciano. Quando si è pieni di stupore, anche la fatica non si sente più. 

La sorpresa più grande per un adulto che guardi un bimbo di fronte alla realtà è osservarlo mentre si sofferma stupito, pieno di domanda e di curiosità. Tutto è nuovo per lui, sorprendente e interessante e desta in lui un sorriso. Un bimbo vuole dare un nome alle cose che incontra proprio come Adamo che ha dato un nome alle bestie e così ha stabilito la sua sovranità su di esse. Lo stesso esempio è quello addotto da Pascoli nella prosa Il fanciullino: «Il fanciullo […] vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta. L’uomo le cose interne ed esterne non le vede come le vedi tu; egli sa tanti particolari che tu non sai. Egli ha studiato e ha fatto suo pro dello studio degli altri. Sì che l’uomo dei nostri tempi sa più che l’uomo dei tempi scorsi (ma spesso si sorprende meno)». Per questo il sentimento poetico è proprio «di chi trova la poesia in ciò che lo circonda» e consiste nel «trovare nelle cose […] il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima».

In maniera provocatoria Pascoli scrive che il fanciullino sembra presente solo in alcuni adulti, perché in molti sembra scomparire, durante la crescita, la capacità di stupirsi. Questa facoltà di sorprendersi è l’atteggiamento della giovinezza che può permanere nel cuore, anche quando l’età avanza. La giovinezza è, infatti, una dimensione dello spirito, un atteggiamento del cuore, non un dato anagrafico. Ci sono cuori che vivono pieni di domanda e di attesa e altri che, già a vent’anni, non si aspettano più nulla. Ada Negri è testimone che la facoltà di sorprendersi è l’atteggiamento proprio della giovinezza che può permanere nel cuore, anche quando l’età avanza. La poetessa lo esprime molto bene in Mia giovinezza, appartenente a Fons amoris (1939-1943). Ada Negri scrive, rivolgendosi alla gioventù: «Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo/ all’essere. Sei tu, ma un’altra sei:/ senza fronda né fior, senza il lucente/ riso che avevi al tempo che non torna,/ senza quel canto. Un’altra sei, più bella». Questa giovinezza, non più accompagnata dall’appariscenza esteriore, è divenuta più consapevole e si è fortificata nel dolore, più capace di riconoscenza e di gratitudine, piena di speranza, fiduciosa e tesa a ciò che non inganna e non passa: «Ogni dolor più salda/ ti rese: ad ogni traccia del passaggio/ dei giorni, una tua linfa occulta e verde/ opponesti a riparo». 

L’atteggiamento di domanda stupita non è naturale solo del bambino, non è fanciullesco, ma è proprio di un uomo che sia interessato al reale, cioè che sia pienamente coinvolto nella vita. Lo stupore non ci fa fermare all’immagine immediata, ma ci sprona ad andare oltre l’apparenza, a cogliere per così dire l’oltranza, il significato, la ragione, la provenienza di ciò che vediamo e che accade. Allora l’atto della conoscenza diventa un impeto, un movimento, una tensione e una propensione verso il Mistero che si coglie nella realtà e che si desidera conoscere. Chi mi ha regalato questi fiori? Chi mi ha dato la Luna piena così splendente in cielo, da guardare? Chi ha creato la bellezza del mondo? Quando è guardata con stupore la realtà viene colta come segno e, in un certo modo, come via veritatis, strada per la verità. Lo sguardo stupito fa cogliere nella realtà un’unità profonda, un Mistero che accomuna tutto. 

La realtà è simbolica, un’intima bellezza attraversa il mondo. L’uomo ha la percezione allora di poter arrivare a cogliere la verità che sta oltre il sensibile. Ha l’impressione che la realtà possa tradire il suo segreto in un punto, che il Mistero si possa svelare come per miracolo. Quando racconta la manifestazione della sacralità del reale, Montale scrive: «Vedi, in questi silenzi in cui le cose/ s'abbandonano e sembrano vicine/  a tradire il loro ultimo segreto,/ talora ci si aspetta/ di scoprire uno sbaglio di Natura,/ il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,/ il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità». In silenzio e rivolto alla realtà, con sguardo attento Montale fruga per cogliere quello «sbaglio di natura», quel «punto morto del mondo» che permetta di andare oltre l’apparenza per percepire la verità. Il miracolo è questa sorpresa dell’evidenza del senso e del significato, che avviene in un momento, in maniera fugace. Solo lo sguardo attento e aperto può coglierlo. L’istante dopo, quando la realtà può ritornare alla monotonia precedente e allo scialbore, è la memoria del miracolo percepito e riconosciuto a spalancare di nuovo il desiderio che riaccada quanto una volta si è già verificato. È stata la realtà a provocare in tutta la profondità il desiderio del nostro cuore. Il poeta sottolinea la possibilità che all’uomo si sveli il mistero della realtà, come per un miracolo. L’eliminazione del velo dell’apparenza, la manifestazione della sostanza e della verità delle cose coincidono in questo caso con l’avvertimento del nulla. Segnata in maniera indelebile, la coscienza del poeta se ne andrà col suo «segreto», «tra gli uomini che non si voltano», ovvero in mezzo a tutte quelle persone che non si fanno interrogare e provocare dalla vita e dalla realtà.