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CRISI

L'occupazione cresce poco, ma invecchia

Crescita dell'occupazione dell'1,1% rispetto al terzo trimestre del 2015. E' un dato positivo. Ma quasi tutti i nuovi lavori sono a tempo determinato, l'occupazione cresce soprattutto fra gli over 50, mentre la disoccupazione fra i giovani è addirittura in aumento. Perché da quest'anno, chi assume torna a pagare più tasse.

Economia 30_12_2016
Ricerca di lavoro

L'occupazione migliora di poco ma, tutto sommato, con un trend discreto visto l'andamento dell'economia. È questa l'interpretazione più diffusa che i principali quotidiani italiani, da Repubblica al Corriere fino a La Stampa, hanno dato della prima nota congiunta pubblicata da Ministero del lavoro, Istat, Inps e Inail sullo stato dell'occupazione in Italia. Un report di 21 pagine che, con dati precisi e puntuali, focalizza una delle tematiche più spinose degli ultimi anni, dalla quale dipende il destino di milioni di famiglie.

Come riporta la nota nel terzo trimestre 2016 gli occupati sono aumentati dell'1,1% rispetto al terzo trimestre 2015, ma è altrettanto vero che – rispetto al secondo trimestre – si sono ridotti dello 0,1%. Un dato poco significativo all'apparenza che diventa però più consistente se pensiamo che, dei 93mila nuovi posti di lavoro subordinato, solo 10mila sono a tempo indeterminato. Una conseguenza, questa, della netta riduzione della decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato: se nel 2015, infatti, assumere “per sempre” faceva risparmiare al datore di lavoro fino a 8mila euro, nel 2016 la soglia è stata ridotta ad appena 3.250 euro, con la clausola che il lavoratore non abbia avuto nei sei mesi precedenti nessun altro contratto a tempo indeterminato. Non solo: il taglio del 50% dei contributi Inps e Inail per 18 mesi (12 per i contratti a tempo determinato) è stato mantenuto solo per i lavoratori over 50.

E non è strano che i lavoratori più penalizzati siano, come sempre, i giovani. Il terzo trimestre 2016, infatti, ha fatto registrare 42mila disoccupati in più nella fascia compresa fra i 15 e i 34 anni, pari al 2,9% in più rispetto al secondo trimestre; per i lavoratori più maturi (dai 50 anni in poi), invece, la situazione si ribalta: i disoccupati, in questo caso, sono 14mila in meno (-2,8%). Ancora una volta, però, i dati possono ingannare: parte di questa riduzione dei disoccupati senior è infatti legata all'innalzamento dei requisiti pensionistici. Forse pochi se ne sono resi conto ma, per via della riforma Fornero, dal primo gennaio 2016 è infatti aumentato di quattro mesi il requisito anagrafico per andare in pensione. Ciò significa che buona parte di quei 14mila disoccupati in meno non è costituita da cinquantenni che hanno perso e ritrovato il lavoro, ma da sessantenni che devono stare quattro mesi in più nell'ufficio di sempre. E non è tutto perché il lieve aumento registrato dal mercato del lavoro è interamente ascrivibile ai rapporti dipendenti visto che, se parliamo di lavoro autonomo, nel terzo trimestre si è registrata un'ulteriore contrazione dell'1,5%: parliamo di 80mila professionisti in meno schiacciati non solo dalla difficoltà di vendere i propri prodotti e servizi ma anche dal continuo aumento delle imposte. Sempre da inizio 2016 è infatti aumentato dal 5 al 15% il regime forfettario per le partite Iva, un vero colpo per tutti i giovani volenterosi che, non riuscendo a trovare un lavoro dipendente, hanno provato a mettersi in proprio.

Giovani che sono sempre più spesso costretti ad accettare condizioni di lavoro non solo insoddisfacenti ma che, addirittura, non permettono loro di mantenersi e creare una famiglia. È il “popolo” dei voucher, il sistema di pagamento delle prestazioni occasionali che nei primi 9 mesi del 2016 ha registrato un aumento del 34,6% rispetto allo stesso periodo del 2015, per un totale di 109,5 milioni di “tagliandi” venduti. L'allarme di una precarizzazione estrema del mondo del lavoro è in gran parte infondato se consideriamo che, con 88 milioni di voucher (quelli venduti nel 2015), si assumerebbero 47mila lavoratori a tempo pieno, pari allo 0,23% del totale del costo del lavoro in Italia. Altrettanto vero è che coloro che li percepiscono sono molti di più: se consideriamo che – come conferma la nota – è 29 il numero medio di voucher corrisposti a ogni lavoratore (per un totale di 217,5 euro netti), se ne deduce che sono circa 3,75 milioni i lavoratori che li hanno percepiti nel 2015. Un numero imponente di persone che, per il fatto di aver percepito dei redditi minimi, nelle statistiche non vengono inclusi nelle la schiera dei disoccupati.

Come non bastasse i giovani italiani hanno gli stipendi fra i più bassi d'Europa: secondo una rilevazione di JobPricing per il Sole 24 Ore, i dipendenti sotto i 35 anni uno stipendio d'ingresso lordo pari a 23.586 euro, oltretutto eroso in quasi la metà del suo valore dalle tasse pari al 42,4%, per un totale di 1.312 euro netti su 13 mensilità. Il confronto con l'estero è indicativo: un professionista italiano guadagna la metà esatta di un suo collega svizzero (48.100 euro), 1,5 volte in meno di uno svedese (36.200 euro), circa 1,4 volte in meno di un belga (34.300 euro), 1,2 volte in meno di un danese (29.700 euro) e di un olandese (29.400 euro). Se tutto questo vuol dire che l'Italia sta andando bene...