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BREXIT

L'Ue tratta il Regno Unito come una provincia ribelle

Juncker, presidente della Commissione, dice preventivamente "no" a un nuovo accordo sulla Brexit. E così respinge al mittente la proposta, votata regolarmente dal Parlamento britannico, di trattare di nuovo almeno sulle clausole che riguardano l'Irlanda del Nord. Un atteggiamento punitivo, tipico di un governo centrale nei confronti di una provincia ribelle, che rivela il vero intento dei vertici dell'Ue: fare uno Stato unitario. Motivo per cui gli inglesi ne sono usciti.

Editoriali 31_01_2019
Verhofstadt (a sinistra) e Juncker

"Il dibattito e il voto di ieri ai Comuni non cambia questo: l'accordo di divorzio non sarà rinegoziato". Il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha risposto così, rivolgendosi al Parlamento europeo, alla volontà della premier britannica Theresa May di ricominciare il negoziato sulle condizioni di uscita del Regno Unito dall’Ue. Il Parlamento britannico aveva appena votato l’autorizzazione a trattare di nuovo sulle clausole che riguardano l’Irlanda del Nord, la situazione più difficile in assoluto creata dalla Brexit. Ma dall’Ue arriva un “no” preventivo: o si accettano le condizioni di Bruxelles o si arriva alla rottura.

Secondo Juncker, il voto del Parlamento “ha acuito il rischio di un'uscita non ordinata e quindi dobbiamo continuare a prepararci per tutti gli scenari, anche i peggiori". La premier britannica Theresa May "aveva dato il suo impegno personale" per evitare un ritorno a una frontiera dura con l'Irlanda, ma "nessuna rete di sicurezza potrà mai essere sicura se è a durata determinata", ha aggiunto Juncker. Dal canto suo, il negoziatore per l’Ue, Michel Barnier, ha detto che le clausole che riguardano l’Irlanda del Nord sono “parte integrante” dell’accordo sulla Brexit e non possono essere rinegoziate. Che cosa chiede l’Ue? In teoria una cosa di buon senso: che fra l’Irlanda del Nord (parte del Regno Unito, fuori dall’Ue) e la Repubblica di Irlanda (Stato membro dell’Ue) resti una frontiera aperta. Cosa comporta questo, in pratica? Una secessione dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito. Perché, per conservare una frontiera aperta, i nord-irlandesi devono continuare a far parte del Mercato Unico e sottostare a tutte le sue regole, mentre il resto del Regno Unito sarebbe fuori dal Mercato Unico, ma dovrebbe comunque rimanere dentro l’Unione doganale europea. Dunque: niente uscita dall’Unione doganale (e dunque impossibilità di stringere accordi indipendenti con gli Usa, per esempio) e separazione di fatto dell’Irlanda del Nord: fra questa e la Gran Bretagna dovrebbero essere infatti istituiti dei controlli doganali.

A cosa mira, allora, l’Ue? Essendo impossibile imporre al Regno Unito di rientrare nei ranghi, rendere la sua uscita dall’Ue più difficile e dolorosa possibile e tenerne almeno un pezzo (l’Irlanda del Nord) sotto le regole europee. La risposta europea alle perplessità inglesi è sempre la stessa: fingere di non capire cosa chiede il Regno Unito. Il coordinatore sulla Brexit del Parlamento europeo, Guy Verhofstadt, ribadendo la posizione di Juncker e di Barnier, contesta al Regno Unito di “non essere chiaro su ciò che vuole con questi accordi”. La vera notizia rivelatrice è che a coordinare il Parlamento europeo sulla Brexit sia, appunto, un politico quale Guy Verhofstadt. Autore del manifesto Stati Uniti d’Europa (nell’edizione italiana pubblicato con prefazione di Giuliano Amato e Romano Prodi), Verhofstadt è il più convinto sostenitore dell’idea di un’unificazione politica dell’Unione Europea. Secondo la sua visione di lungo termine, gli Stati più europeisti dovrebbero formare subito uno Stato unitario, gli “Stati Uniti d’Europa”, appunto, con tutte le caratteristiche che oggi appartengono ad uno Stato nazionale: un’unica finanza, una bandiera, un inno, un solo ministro degli esteri che rappresenti gli interessi di tutti, magari anche un solo esercito comune. Gli Stati meno convinti, invece, potrebbero, secondo Verhofstadt, riunirsi in una Organizzazione degli Stati Europei, meno vincolante ma integrata con gli Stati Uniti d’Europa.

Di fronte alla Brexit e al sorgere di movimenti sovranisti che si oppongono alla centralizzazione, Guy Verhofstadt rilancia lo stesso progetto con il suo nuovo manifesto Europa, ultima occasione, in cui preme per accelerare i tempi dell’unificazione politica. I manifesti di Verhofstadt sono definiti “visionari” dai suoi introduttori e recensori. Sarebbe meglio definirli “utopistici” visto lo sforzo immane che richiederebbe l’unificazione politica di 27 o più nazioni diverse. Parrebbe un pensiero minoritario, idealista e marginale, ma proprio l’atteggiamento dell’Ue sulla Brexit dimostra, invece, che è già pensiero dominante. Perché una comunità aperta avrebbe infatti tutto l'interesse a negoziare un accordo con un ex membro che diventa un partner esterno, così da difendere anche gli interessi pre-esistenti. Invece adottando un atteggiamento punitivo, mirando a rendere l'uscita dall'Ue più dolorosa possibile, Bruxelles si sta già comportando con Londra come uno Stato centrale nei confronti di una provincia ribelle.