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VENEZUELA

Maduro vince come previsto. Ma a votarlo sono in pochi

Maduro vince di nuovo in Venezuela con un voto caratterizzato dalle intimidazioni e dal basso tasso di affluenza. Elezioni boicottate dall'opposizione e ritenute non valide dalla maggioranza dei governi sudamericani e occidentali. Ben 14 paesi ritirano l'ambasciatore da Caracas in segno di protesta.

Esteri 22_05_2018
Venezuela, soldati alle urne

Mai reazione internazionale è stata più pronta: la rielezione del presidente Maduro in Venezuela causa subito il richiamo di ben 14 ambasciatori stranieri e l’imposizione di nuove sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti.

Il successore di Hugo Chavez aveva accuratamente preparato il terreno per la sua rielezione, rendendola pressoché automatica, dopo più di 12mila arresti arbitrari, l’esautorazione del Parlamento eletto e la creazione di una contestatissima Assemblea Costituente, votata non per suffragio universale, apposta per ritagliarsi un maggior potere. Abbiamo già visto su queste colonne quali siano le misere condizioni economiche a cui è ridotto il Venezuela dovuta a due decenni di politiche economiche fallimentari, prima di Chavez poi di Maduro. Benché sia uno dei maggiori esportatori di petrolio al mondo, nel paese latino-americano mancano ormai i beni di prima necessità. Chi può, fugge. Benché i sondaggi informali dessero un tasso di popolarità del presidente Maduro inferiore al 20%, i risultati delle elezioni sono: 67,7% di maggioranza per il presidente contro il 21,2% di Henri Falcon, il maggior oppositore, sostenuto da quattro partiti (i democristiani di Copei, la sinistra democratica Avanzata Progressista, i socialdemocratici di Mas e i Verdi).

Quel che conta, però, è il dato dell’affluenza. Ed è effettivamente molto basso. Il Consiglio Elettorale Nazionale, l’organo ufficiale, lo dà al 46%. Secondo fonti d’opposizione, invece, è andata a votare meno di un terzo della popolazione. Anche fonti riservate interne al Consiglio hanno riferito alla Reuters che solo il 32% degli aventi diritto si era recato alle urne, alle 18, alla fine della giornata elettorale. Molto poco in un paese in cui, solo cinque anni fa, l’80% dei venezuelani aveva partecipato alle ultime presidenziali. Considerando quest’ultimo dato, Maduro avrebbe preso il 67,7% dei voti sul 32% dei votanti. All’incirca quel che rilevavano i sondaggi di opinione. Anche stando ai dati ufficiali sull’affluenza, il presidente risulterebbe sorretto dal consenso di meno di un terzo dell’elettorato.

Dunque nonostante gli appelli al voto e le pressioni, anche violente, da parte delle autorità, ha avuto successo la strategia dell’opposizione: boicottare le urne. In mancanza di una alternativa valida, dopo un processo elettorale così distorto, soprattutto dopo una Costituente così estranea ad ogni logica democratica, l’opposizione aveva capito che puntare su un candidato forte contro Maduro fosse impossibile. Henri Falcon, dopo la sconfitta preannunciata, pressoché inevitabile, non ha riconosciuto la validità del voto e chiede di tornare alle urne. I numeri sull’affluenza gli darebbero ragione.

Gli danno ragione anche i maggiori governi occidentali e sudamericani. “Le finte elezioni non cambiano nulla. Devono essere i venezuelani a governare il loro paese, una nazione che ha così tanto da offrire al mondo”, ha commentato a botta calda Mike Pompeo, nuovo segretario di Stato degli Usa, prima di chiedere di nuovo la liberazione di Josh Holt, cittadino americano, in carcere in Venezuela dal 2016, senza processo. L’ambasciatore statunitense è stato uno dei primi ad essere richiamato in patria, in segno di protesta. E il giorno stesso, il Governo Federale ha annunciato l’entrata in vigore di nuove sanzioni economiche: colpiscono personalmente il patrimonio di Maduro e dei suoi principali collaboratori e vietano alle aziende statunitensi di acquistare petrolio dalla compagnia nazionale venezuelana e buoni del tesoro del governo bolivariano. Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Messico, Perù sono altri Stati americani ad avere sospeso le relazioni diplomatiche con Caracas. E anche l’Ue, assieme al Canada e alla maggior parte dei paesi latino-americani, aveva già disconosciuto i risultati prima ancora che venissero annunciati, considerato che queste elezioni sono state nient’affatto libere. Congratulazioni a Maduro, invece, arrivano dai suoi tradizionali alleati: Cina, Cuba, Russia e dal Salvador. Saranno sufficienti a spezzare l’isolamento internazionale in cui il regime di Maduro si è infilato?