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ATTENTATI

Manchester e i giovani a cui Negri ha parlato

Le reazioni irose alla lettera dell'arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Luigi Negri, pubblicata sulla Nuova BQ dopo l'attentato kamikaze di Manchester, dimostrano l'assenza di padri che giudicano. Eppure, a testimoniare il bisogno di queste parole sono proprio i giovani occidentali. Che gridano che per non vivere inutilmente ci vuole una ragione per morire.
- SUI GIOVANI E SULL'AMICIZIA, UNA LETTERA

Editoriali 31_05_2017
Kamikaze Manchester

Commossa com’ero, non avrei mai immaginato che, dopo l’intervento dell’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Luigi Negri, si scatenasse un dibattito dai toni tanto irosi. “Un padre che difende e piange i suoi figli, un padre, anche duro e virile se serve, in un mondo abituato a non avere padri”, mi ero detta. Ed era vero, se sono tanti gli adulti che non hanno retto il colpo, accusando l’arcivescovo di arroganza per aver parlato di “vite sprecate” in riferimento ai giovani occidentali uccisi da un kamikaze durante un concerto di un loro idolo che, vestita da coniglietta sexy, canta il sesso in ogni salsa e modo.

LE DOMANDE DEI RAGAZZI - Al contrario, i giovani sono i primi a dare ragione a Negri, che evidentemente non giudicava loro e l'aldilà, ma i grandi e l'aldiqua. A dimostrarmelo recentemente sono stati gli occhi sgranati e la bocca aperta, il silenzio per oltre un’ora e poi una cascata di domande sul significato della vita, su quello del “per sempre”, sul “perché noi giovani siamo così, fragili e depressi?”. Sono le reazioni in una classe di adolescenti di un liceo statale di Milano dopo aver sentito parlare per la prima volta nella loro vita di conversione, castità e dell'esistenza come un compito che ha in sé un progetto bellissimo. Un progetto per cui Dio ti ha messo al mondo scegliendo per te una persona unica al mondo. Un progetto che chiede un sacrificio, che quanto più ce ne mettiamo quanto più una cosa può diventare bella. Lo stesso clima serio (di curiosità e di sfida) si era creato a Natale in una scuola professionale della provincia di Monza e Brianza: sentendo parlare di Gesù Cristo incarnato, che oggi salva la vita così come 2000 anni fa attirando gli animi assetati di chi cerca la verità, i ragazzi avevano cominciato ad alzare prima imbarazzati, poi incontenibili, le mani, per capire “come mai a te ti ha salvato e a me no?”. E persino per sapere se davvero esiste il diavolo e l’inferno "perché allora deve dirmelo".

"PERCHE' VIVERE?" - Certo uscendo dalle aule mi ero detta che non bastava colpire il cuore dei giovani, perché poi serve il lavoro sporco e quotidiano di una compagnia che educhi, però avevo la riprova di ciò che ogni uomo continua ad attendere: non oggetti, sesso, buone maniere o raccolta differenziata, ma adulti certi di un senso totalizzante per cui ci si può infiammare (pure arrabbiare) e dare la vita. Perché come mi scrisse poi una di loro: “Nemmeno noi sappiamo cosa vogliamo, cosa ci facciamo qui e sopratutto chi siamo. Io parlo a mio nome, ma penso sia così per molti adolescenti della mia età. Non sappiamo cosa fare di questa vita, non sappiamo come affrontare le cose, forse siamo piccoli o forse semplicemente non abbiamo voglia di affrontare niente, forse vogliamo stare nella nostra solitudine, vogliamo morire con noi stessi”. Poi, dato che un suo compagno mi aveva confessato che poteva fidarsi solo di se stesso, perché sua mamma e suo papà avevano entrambi divorziato due volte, aveva aggiunto: “Siamo cosi, non ci fidiamo di nessuno e voi ci chiedete il perché? Beh forse perché quando abbiamo provato a fidarci ci è sempre andata male...chissà può darsi. Oppure quando dicono che ci saranno qualsiasi cosa accada ma infondo non si accorgono neanche quando stai male. Allora dico perché vivere con questa cosa? Perché vivere? Ah...non capisco questa vita. Forse ho solo 16 anni, ma mi creda io ne ho piene le scatole di stare così”.

MESSI AL MURO - Sicuramente un giudizio del genere mette al muro, perché costringe a esserci e a interogarsi, così come quello di monsignor Negri. Lo ha dimostrato ieri Costanza Miriano, madre di quattro figli, che pur facendo di tutto per testimoniare loro con le parole e la vita che l’esistenza è una battaglia per un premio eterno, si è lasciata interrogare dal vescovo scrivendo così sul suo blog: “Più che concentrarmi sull’autore o sul tono di quelle parole sicuramente forti, mi sto interrogando. Che genitori siamo? Che genitori sono quelli degli amici dei nostri figli?””. Certo, per mettersi in discussione così occorre amare la verità più del proprio comodo orgoglio, fino a desiderare di cambiare. O, almeno, se proprio non ce la si fa, serve ammettere che siamo mancanti. Perché no, non è uguale morire ad un concerto di Ariana, piuttosto che essere martirizzati in una Chiesa copta o durante un pellegrinaggio ad un monastero, come avvenuto venerdì scorso ai cristiani trucidati in Egitto dopo essersi rifiutati di abiurare. Infatti, per vivere pienamente, e non sprecare la propria vita, bisogna sapere per cosa vale la pena morire. Tanto che i copti festeggiano i loro martiri durante i funerali, mentre l'Occidente onora i suoi morti con candele e peluches.

PER NON MORIRE INVANO - Riconoscere questa mancanza è il primo passo per non rendere vana l’esistenza dei giovani morti di Manchester che potrebbe essere sevita anche solo per la conversione di noi adulti occidentali. Infatti, il modo migliore di rendere inutili quelle vite precocemente spezzate è proprio quello di incensarle, come pretesto per non lasciarci cambiare dal loro massacro. E, pur di giustificarci, accontentarsi di dire che tanto Dio perdona e quindi non cambia molto vivere e morire in un modo piuttosto che in un altro anche se è una menzogna, come spiegò papa Benedetto XVI l’11 giugno 2012 a San Giovanni in Laternao: “Dio non possiamo offenderlo! Dio è così grande, che cosa interessa a Dio se io faccio un piccolo errore? Non possiamo offendere Dio, il suo interesse è troppo grande per essere offeso da noi”. Sembra vero, ma non è vero...l’amore di Dio vuol dire che la nostra prima preoccupazione deve essere non ferire, non distruggere il suo amore, non fare nulla contro il suo amore perché altrimenti viviamo anche contro noi stessi e contro la nostra libertà”.

COPTI E OCCIDENTALI - Lo sanno bene i cristiani copti che, mentre noi lasciavamo che i nostri silenzi vuoti fossero riempiti dai pupazzi e dalle candele posti di fronte al luogo dell'attentato di Manchester, ribadivano di nuovo: “Con tutto il nostro sangue e la nostra anima, difenderemo te, oh Crocifisso”.  E sì, anche questo, che piaccia o no, è un giudizio che mostrando il bene smaschera il male. Come ha fatto una lettrice 23enne comentando la lettera di Negri così: “La gioventù di adesso dice che non si diverte se non va in discoteca, se non rimorchia, se non beve fino a star male...Questo è il mondo e se non lo sapete uscite di casa e andate a conoscerlo. È un mondo cosi e se uno è diverso lo schifano, non sei del gruppo, ti emarginano. Se non ti concedi ti cancellano perché non vale la pena stare con te...Essere se stessi in questo mondo è difficilissimo ma è la cosa più bella che ci sia perché solo cosi si incontra la Verità che ti rende pienamente felice. È questo il grido di Negri, proprio questo. E tanti giovani avrebbero bisogno che i genitori gli gridassero così piuttosto che dire "ma vabbè vai pure a un concerto dove ti dicono che puoi far sesso con chiunque, ovunque e quando vuoi tanto che male c'è". La tenerezza e il dolore di Negri è questo. Se volete capirlo basta che aprite gli occhi e vedete cosa è veramente la gioventù di oggi”. 

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