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VITA

Mangiagalli, quando la politica non sa fare i conti

Dopo oltre 14mila bambini strappati all'aborto in 27 anni, lo storico Centro di aiuto alla vita all'interno della più grande clinica ostetrica milanese, rischia di chiudere per mancanza di fondi pubblici. Parla Paola Bonzi: cifre irrisorie se confrontate alle spese che lo Stato deve sostenere per riparare ai problemi causati alle donne dall'aborto.

Vita e bioetica 05_01_2013
Attività del Cav Mangiagalli

«Aiutateci ad aiutare»: questo è l’appello che Paola Bonzi lancia a tutti, ma in particolar modo ai milanesi, d’origine o d’adozione, che sono i primi beneficiari dell’opera del Centro Aiuto alla Vita Mangiagalli, fondato nel 1984 proprio dalla signora Bonzi. Infatti in questo momento, complice la crisi e finanziamenti pubblici vacillanti, il consultorio familiare, con sede in uno dei più prestigiosi ospedali specializzati in ostetricia e ginecologia, rischia di non riuscire più a fronteggiare le richieste d’aiuto di mamme che, grazie al CAV, scelgono di non abortire e portare avanti la gravidanza.

Per capire il valore di quest’opera sociale basta una storia, raccontata da Paola Bonzi sul suo blog  il 31 dicembre scorso.
Santha e Santini, una giovane coppia di srilankesi, si presenta al Centro Aiuto alla Vita l’ultimo giorno del 2012. Cercano di spiegarsi, ma essendo in Italia da poco la comunicazione non è semplice. Per questo viene chiamato un mediatore culturale dell’ospedale e a presentarsi è Sheela, una mamma che il CAV aveva aiutato 26 anni fa. Racconta Paola Bonzi: «Sheela, a quel tempo, era incinta, senza una casa e con un marito occupato solo saltuariamente. La preoccupazione per la nascita di un bambino era molto forte, tanto da indurla, a tratti, a pensare di rinunciarvi. Non ricordo più per quali strade fosse arrivata da noi, ma abbiamo intrecciato una relazione di aiuto forte, al punto di farle prendere la decisione per la vita di Edmond». Il bimbo oggi si sta laureando in ingegneria civile, il marito di Sheela lavora con un contratto a tempo indeterminato, mentre lei è ormai una professionista affermata.

Una storia di umanità intensa, simile a centinaia e migliaia di altre storie che hanno inciso anche nella realtà sociale; ma tutto questo è a rischio per le difficoltà in cui versa attualmente il CAV a causa di una mancanza di finanziamenti. Che cosa è accaduto? Procediamo con ordine.

«Siamo un’associazione di volontariato e da quando siamo nati ci siamo autofinanziati. – racconta Paola Bonzi - Dal 2002 siamo diventati un consultorio familiare accreditato e per ogni prestazione professionale sanitaria avevamo un rimborso dall’ASL. La somma di questi rimborsi corrispondeva a circa un terzo del nostro bilancio. Per finanziarci poi partecipavamo a bandi pubblici, contattavamo fondazioni e chiedevamo donazioni ai privati. Inoltre abbiamo sempre fatto eventi per la raccolta fondi. Il più importante è la vendita delle primule che facciamo ogni anno la prima domenica di febbraio, in occasione della Giornata per la Vita, promossa dalla Cei. Siamo presenti sui sagrati di 110 chiese e, al netto delle spese, raccogliamo circa 65.000 euro, che rappresentano la nostra forma sicura di autofinanziamento dai primi anni novanta».

Che cosa deve riuscire a finanziare il CAV? I progetti di aiuto per le maternità a rischio possono comprendere sostegno psicologico, consulenza di un’educatrice e di un’ostetrica, pannolini, corredi per il bimbo, attrezzature (ad esempio passeggino), ospitalità temporanea e ciò che serve per garantire il benessere della famiglia, come una “borsa della spesa” e un sussidio in denaro.

Per quanto riguarda l’ASL, Paola Bonzi spiega che «da un anno non vengono più rimborsate le singole prestazioni di tipo psicologico, ma l’ASL ci dà un budget  di 470.000 euro, calibrato su ciò che è stato fatto negli anni passati. Il problema è che noi siamo in continua crescita e quindi il budget non basta». Quante mamme e famiglie aiuta il CAV Mangiagalli? In 27 anni sono state incontrate 16.981 donne, i bambini nati sono stati14.306, sono stati ospitati 287 nuclei familiari fino al raggiungimento dell’autonomia abitativa, sono stati 128 i bambini iscritti ai nidi famiglia gestiti dall’associazione e 6.910.000 euro sono stati destinati a sussidi in denaro.

Questi sono i dati approssimativi del 2012 (quelli definitivi saranno divulgati a marzo 2013): 1.970 donne incontrate e 1.270 bambini nati. Insomma di mamme e bambini da aiutare ce ne sono. Per avere finanziamenti, oltre all’ASL, ai privati e alle raccolte fondi, il CAV si è rivolto alle istituzioni, ma in questo momento la situazione è molto delicata. «Il Comune di Milano ha soppresso lo scorso 31 ottobre il progetto Cicogna. Hanno indotto le mamme a non fare domanda: pensi che per poter accedere ai fondi occorreva una lettera del datore di lavoro che diceva che la donna era stata licenziata a causa della maternità. Impossibile: nessuno lo fa perché è contro la legge e quindi nessuna donna ha potuto fare domanda» spiega la fondatrice del CAV Mangiagalli.

Nell’ottobre 2010 la Regione Lombardia ha avviato il progetto sperimentale Nasko: attraverso questo progetto venivano erogati 250 euro per 18 mesi ad ogni donna che rinunciava ad abortire, avendo chiesto l’aborto per motivi economici. «Abbiamo benedetto il Fondo Nasko! – racconta la Bonzi – Noi del CAV ci assicuravamo che la donna avesse tutte le prerogative per ricevere gli aiuti, ovvero che fosse residente in Lombardia, si trovasse in uno stato sociale di indigenza e avesse cambiato idea rispetto all’iniziale decisione di abortire. Il Fondo era poi legato a un progetto di accompagnamento della gravidanza e del primo anno di vita del bambino». Tuttavia, nonostante i finanziamenti del Fondo Nasko, le spese del consultorio erano aumentate. «Ne abbiamo risentito per l’indotto portato dal fondo, ovvero necessità di aiuti consultoriali per tutti, come il pediatra, corsi, il corredino per il bimbo o il passeggino, con un notevole incremento di spese».

Spese che il consultorio sostiene non soltanto per le donne che rientrano nel Fondo Nasko, ma anche per tutte le donne che si trovano in stato di indigenza, ma che non hanno intenzione di abortire. «Da ottobre 2010, quando è partito il Fondo, a settembre 2012, le donne incontrate dal CAV nel primo trimestre di gravidanza sono state 2.131 e per 1.025 gli aiuti per la gravidanza sono stati soltanto quelli offerti dal nostro servizio, visto che non avevano espresso l’intenzione di abortire». Il CAV quindi si trova ad avere a che fare sia con donne che hanno intenzione di abortire (e che spesso e per fortuna grazie al loro intervento cambiano idea) sia con donne che non sono intenzionate ad abortire, ma si rivolgono al consultorio per un sostegno durante la gravidanza: a tutte forniscono pannolini, passeggini, corsi e consulenze se richiesti.

Essendo il Fondo Nasko sperimentale per due anni, è stato chiuso nell’ottobre 2012, ma anche grazie all’intervento del CAV e all'interessamento del governatore Formigoni riparte nel 2013. «Da gennaio il Fondo Nasko riparte con diverse modalità – continua la Bonzi – infatti nel secondo e terzo trimestre di gravidanza vengono dati alla mamma soltanto 100 euro al mese e nel primo anno di vita del bambino vengono erogati 200 euro mensili. Quindi prima l’aiuto complessivo era di 4.500 euro, ora è di 3.000 euro per ogni donna. Io immagino che ciò sia accaduto per cercare di aiutare più donne, in quanto la cifra annua stanziata è la medesima degli anni precedenti. Il problema è che 100 euro al mese sono pochi per portare a termine una gravidanza. Facciamo un esempio: una badante incinta perde il lavoro e con esso vitto e alloggio. A Milano un posto letto costa 200 euro al mese, a cui andrebbero aggiunti 50 euro per pagare ad esempio i mezzi pubblici e le telefonate. Gli alimenti di prima necessità li forniva il consultorio e in questo modo i 250 euro al mese bastavano».

Il Centro Aiuto alla Vita si ritrova quindi a dover ripensare forme di finanziamento, in quanto dopo aver intercettato un problema sociale diffuso, ovvero l’aborto per cause economiche, non riesce più ad accogliere tutte le situazioni di difficoltà. La sua fondatrice spiega con tristezza: «Il consiglio direttivo si è dato tempo fino a giugno per monitorare la situazione, se non si risolve saremo costretti a portare avanti solo le situazioni pregresse, senza accettare nuovi casi». Come risolvere quindi questa situazione? «Si può risolvere prendendosi a cuore questo problema: se i cittadini milanesi dessero ciascuno 1 euro all’anno noi avremmo risolto il nostro problema».  Secondo gli ultimi dati rilasciati dal Comune, i residenti a Milano sono 1.242.123: si fa presto a fare il conto. Ma non tutti i conti sono facili da fare.

«I politici non sanno fare bene i conti – dice Paola Bonzi – in quanto la sindrome post-aborto comporta una grande spesa. Depressione, abuso di sostanze e tentato suicidio: tutte spese sostenute dalla sanità pubblica. Oltre ai danni alla salute delle donne, i bimbi non nascono e noi stiamo diventando un paese sempre più vecchio. Un bimbo che non nasce manca a tutta la società». Come mancherebbero i ponti o le strade che forse progetterà il futuro ingegnere civile Edmond.