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USA

Marcia contro le armi. La rivolta contro l'America

Dopo la strage nella scuola superiore di Parkland, Florida, cresce il movimento per il controllo delle armi, con due grandi manifestazioni del 14 e 24 marzo. Si tratta di un movimento molto politicizzato che mira a danneggiare Trump. E a rivedere il Secondo Emendamento (libertà di portare armi), la carta di identità degli Stati Uniti.

Esteri 26_03_2018
March for our Lives

Dopo la strage nella scuola superiore di Parkland, Florida, 17 studenti assassinati da un ex compagno mentalmente instabile, cresce il movimento per il controllo delle armi. Questo movimento, che ha organizzato le due grandi manifestazioni studentesche nazionali del 14 marzo (National School Walkout) e del 24 marzo (March for Our Lives), si propone al pubblico americano e internazionale come la voce spontanea degli studenti che si ribellano alle lobby. E in particolare a una lobby: la National Rifle Association (Nra) che rappresenta i proprietari di armi e difende il Secondo Emendamento della Costituzione (libertà di portare armi). In realtà, questo movimento non è del tutto spontaneo, perché a sua volta rappresenta (come tutti i movimenti organizzati) interessi di altre lobby, che lo finanziano e partecipano alla sua organizzazione. Si tratta di lobby per il controllo delle armi che si schierano contro la Nra per cambiare le leggi e rivedere il Secondo Emendamento. La posta in gioco è altissima, perché riguarda la natura stessa degli Stati Uniti.

La suggestiva protesta del 14 marzo, la National School Walkout (letteralmente la “bigiata nazionale”) ha visto la partecipazione di tutte le scuole degli Usa e di altri paesi solidali. Senza alcuna giustificazione, studenti, insegnanti, personale scolastico, hanno abbandonato le aule scolastiche e si sono radunati in protesta per esattamente 17 minuti, alle 10 del mattino: nell’ora della strage di Parkland e per 1 minuto di silenzio per ognuno dei 17 caduti della strage. I partecipanti indossavano soprattutto indumenti color arancio, distintivo del movimento per il controllo delle armi. Fra gli organizzatori si trovano sigle di sinistra come la femminista Women’s March e l’onnipresente Planned Parenthood, l’organizzazione che promuove l’aborto e la pianificazione familiare. (A questo proposito solo chi è dotato di una sensibilità pro-life avrà notato il contrasto stridente con lo slogan della marcia: “proteggete i bimbi, non le armi”).

Per una bigiata a scuola, solitamente, si rischia una nota o una sospensione. In questo caso, gli organizzatori erano talmente forti che a rischiare grosso erano coloro che non aderivano alla bigiata di massa. “So di aver citato un esempio controverso, ma penso sia il migliore per spiegare cosa pensassi al momento – spiegava successivamente un’insegnante di storia di Rocklin, California, Julianne Benzel - se un gruppo di studenti, in tutto il paese, o anche solo in una scuola, decidesse di fare una bigiata di 17 minuti per protestare contro l’aborto, otterrebbero il permesso dall’amministrazione?”. L’insegnante è stata sospesa. In diversi casi la protesta si è da subito politicizzata, è diventata violenta. In una scuola di Minneapolis, nel Minnesota, sono stati aggrediti studenti che portavano una bandiera di Trump, mentre ad Antioch, Tennessee, i manifestanti hanno strappato la bandiera americana e vandalizzato un’auto della polizia. In molti altri casi le manifestazioni sono state molto pacifiche, perché a marciare erano bambini di prime elementari, anche asili, di 5 o 6 anni di età, inconsapevoli della scampagnata in cui erano stati coinvolti dai loro insegnanti.

Tanta politica si è rivista anche nella marcia successiva, molto più imponente, che si è svolta il 24 marzo in 800 città statunitensi, oltre che in diverse città e capitali straniere, fra cui Edimburgo, Londra, Ginevra, Sydney e Tokyo (manifesti si sono visti anche in Piazza San Pietro). A Washington DC, epicentro della protesta, la manifestazione si è conclusa con un concerto in cui hanno cantato big della scena pop come Ariana Grande, Miley Cyrus e Lin-Manuel Miranda. Per un’organizzazione così imponente, marce da centinaia di migliaia di attivisti in tutto il paese e all’estero, occorre anche una grande sponsorizzazione. Lungi dall’essere unicamente un moto spontaneo di protesta degli studenti, è stata anche una mobilitazione dell’associazionismo progressista. Uno dei maggiori finanziatori è Michael Bloomberg, imprenditore, filantropo, ex sindaco repubblicano di New York e ora acerrimo nemico politico di Donald Trump. Anche il mondo dei produttori di Hollywood ha sponsorizzato l’evento, direttamente e indirettamente, con George Clooney nella veste di grande donatore e l’agenzia 42 West, che cura l’immagine di molte celebrities, come coordinatrice dei contatti stampa.

La sinistra italiana l’avrebbe chiamata una “gioiosa macchina da guerra”. Si è mossa, per far cosa? Non solo per dare un’altra spallata al presidente Donald Trump. Che per altro si è detto anche favorevole a discutere sul tema delle armi e ha promosso un pacchetto di riforme per rendere più stringenti i controlli e più sicure le scuole. La posta in gioco è molto più alta ed è la revisione dello stesso Secondo Emendamento della Costituzione, che sancisce il diritto di ogni cittadino ad essere armato. Sul piano politico, si tratterebbe di introdurre controlli più severi sulla vendita delle armi. Ma in parte è quello che l’amministrazione sta già facendo, come abbiamo visto. Inoltre non è affatto detto che nuove norme più restrittive servano a cambiare qualcosa. Le stragi per cui si protesta avvengono nelle scuole, quindi in aree in cui le armi sono tassativamente vietate. Sarebbe più pragmatico protestare per un miglior controllo del territorio, a questo punto. Perché è questo il problema: folli che riescono ad ottenere armi che non dovrebbero possedere e a introdurle dove non dovrebbero entrare. Il caso di Parkland è un esempio di pessimo controllo, perché l’autore della strage aveva già evidenti problemi di salute mentale, tanto da essere espulso dall’istituto in cui poi ha compiuto la strage. E il poliziotto più vicino, a sparatoria in corso, non è intervenuto in difesa degli studenti aggrediti. Più controlli, dunque, non meno armi, è la soluzione più diretta per cui varrebbe la pena di protestare.

Ma c’è di più. E’ in corso, da decenni, una battaglia culturale contro il Secondo Emendamento, cioè la legge che maggiormente distingue l’America dall’Europa. Nato praticamente assieme agli Stati Uniti (risale al 1791) il Secondo Emendamento della Costituzione sancisce il diritto di ogni cittadino a portare armi, dopo la fine della rivoluzione contro la corona britannica. Non solo per difendersi da aggressori, ma anche dallo Stato stesso. Perché la tirannia, buttata fuori dalla porta, può sempre rientrare dalla finestra, come hanno sempre esplicitamente affermato i padri fondatori degli Usa. E’ un modello praticamente unico al mondo, una vera carta di identità degli Stati Uniti I tentativi di abrogare il Secondo Emendamento o aggirarlo, in passato non hanno mai avuto successo. Dopo la Guerra Civile, le leggi per il controllo delle armi sono state promulgate da governi bianchi, negli Stati del sud, per disarmare i neri appena liberati dalla schiavitù. Occorse il Quattordicesimo Emendamento (1868) per estendere anche ai neri il pari diritto a portare armi. A cavallo fra Otto e Novecento, altre leggi per il controllo delle armi vennero proposte o introdotte localmente nel Nord, soprattutto in chiave anti-immigrazionista, per disarmare i nuovi immigrati polacchi, italiani, ebrei. Infine negli anni 60 vennero introdotte nuove leggi restrittive, soprattutto per disarmare i neri (ancora) del movimento dei diritti civili. I padri “nobili” della March for Our Lives sono purtroppo questi. Oggi il razzismo è scomparso come giustificazione del disarmo. Ma si nota un certo classismo, negli argomenti dei suoi promotori, un disprezzo per i piccolo-borghesi, armati e pronti a difendere la loro proprietà (guadagnata e sudata col lavoro), quelli che magari votano Trump e tengono lontana l’America dal modello europeo sognato dai progressisti.