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REGNO UNITO

May di nuovo sconfitta. Non piace l'accordo con l'Ue

Theresa May, neanche questa volta, è riuscita a convincere il parlamento britannico. Anche stavolta non è stato approvato un accordo con l’Unione Europea, per un’uscita ordinata e concordata del Regno Unito. Allo stato attuale delle cose si va verso il prolungamento del negoziato. Oppure verso un'uscita non concordata, disordinata.

Esteri 13_03_2019
Theresa May

Nonostante il grande sforzo diplomatico di Theresa May, la premier britannica neanche questa volta è riuscita a convincere il parlamento britannico. Anche stavolta non è stato approvato un accordo con l’Unione Europea, per un’uscita ordinata e concordata del Regno Unito. Allo stato attuale delle cose, se nulla dovesse cambiare, il 29 marzo la Brexit ci sarà senza nessun accordo, con tutti i rischi connessi. Oppure la scadenza del 29 marzo verrà rimandata. In ogni caso è una situazione difficile per il Regno Unito.

La May, presentando ieri, alla Camera dei Comuni del Parlamento britannico la nuova proposta di accordo approvata dall’Ue, ha incassato il parere contrario di 391 deputati, contro 242 favorevoli. E’ un voto politicamente molto trasversale che include quello di 238 laburisti, 75 conservatori, 10 unionisti nordirlandesi, 11 liberaldemocratici, 35 indipendentisti scozzesi, 4 indipendentisti gallesi, 11 del “gruppo indipendente”, 6 del gruppo misto, 1 verde. Hanno votato a favore 235 conservatori, 4 del gruppo misto e 3 laburisti dissidenti. Il margine della sconfitta della May si misura in 149 voti, nettamente inferiore a quello della storica sconfitta che aveva subito in gennaio, sulla prima versione dell’accordo con l’Ue. La differenza sta nel cambiamento di schieramento di 40 conservatori, convinti dalla May a votare a favore di questa nuova versione del compromesso con Bruxelles.

Cosa è andato storto? L’accordo, anche se modificato in alcune sue parti essenziali, non ha sciolto il nodo essenziale della controversia: l’Irlanda. La questione irlandese resta irrisolta e preoccupante, come due mesi fa. Perché, accettando di mantenere una frontiera di terra aperta fra la Repubblica d’Irlanda (membro dell’Ue) e l’Irlanda del Nord (quarto pezzo del Regno Unito assieme a Scozia, Galles e Inghilterra, dunque in via di uscita dall’Ue), tutto il Regno Unito deve aderire alle regole dell’Ue, restando nell’unione doganale. L'Irlanda del Nord vedrebbe riconosciuto uno status autonomo: una maggiore integrazione nel Mercato Unico, cosa che la renderebbe, di fatto, una nazione separata dal resto del Regno e maggiormente integrata con l'altra Irlanda, la repubblica. Nell’accordo è scritto che questa permanenza del Regno Unito nell'unione doganale e soprattutto nelle regole europee è “temporanea”, finché non si sarà concordato definitivamente come regolare il caso dell’Irlanda. E nel nuovo accordo questo carattere temporaneo è specificato come legalmente vincolante, per rimarcare che il Regno Unito è realmente in via di uscita dall’Ue. Se l’Ue dovesse insistere nel mantenere il Regno Unito nell’unione doganale a tempo indeterminato, Londra potrebbe “farle causa”, avviare una disputa legale internazionale. Questa nuova clausola avrebbe dovuto rasserenare gli animi di quei conservatori che pensano (non a torto) che Bruxelles usi l’Irlanda per tenersi tutto il Regno Unito. Oltre a questo i commissari europei, rappresentati dal negoziatore Barnier, non hanno concesso. L’idea è che l’accordo precedente sia già il massimo che possa essere consentito. Ma la maggioranza ha ancora bocciato l’accordo.

Adesso i casi sono due: o il Regno Unito si ritira senza alcun accordo, oppure la scadenza del negoziato deve essere rinviata. Si voterà oggi per prendere in considerazione la prima opzione: uscita non concordata dall’Ue. E si voterà domani per autorizzare il governo a chiedere un rinvio.

Si va verso due scenari opposti. Con un’uscita senza accordo, le uniche regole che terranno vincolate le isole britanniche al resto d’Europa saranno quelle del Wto per il commercio internazionale, che già comunque tengono basse o annullano del tutto le tariffe su una gran quantità di prodotti e servizi. Vi sarebbero piuttosto delle conseguenze politiche gravi. Al di là del catastrofismo diffuso sull’eventuale divorzio non concordato (si parla addirittura di un collasso del servizio sanitario e milioni di morti…), la conseguenza più probabile sarebbe una forte tensione fra Ue e Regno Unito, con controlli sempre più ossessivi alle frontiere e maggiori difficoltà per i cittadini britannici emigrati nell’ex Ue, e per quelli europei emigrati nel Regno Unito, per le aziende che operano sia nel Regno Unito che nell’Ue. Tornerebbe certamente una frontiera “rigida” fra le due Irlande e la comunità cattolica e filo-repubblicana dell’Irlanda del Nord, colpita nel portafogli oltre che nella cittadinanza, potrebbe essere di nuovo tentata dalla lotta armata, dopo 20 anni di pace. Di fatto, si resetterebbe tutto, le isole britanniche sarebbero un foglio bianco su cui scrivere una storia completamente nuova. Nonostante i rischi, che tutti conoscono, questo è lo scenario auspicato dai maggiori sostenitori conservatori della Brexit, che vorrebbero un Regno libero da vincoli e aperto a nuovi accordi con il resto del mondo, a partire dagli Usa e dalle potenze emergenti asiatiche. Quindi, dopo il tunnel, potrebbe esserci una nuova luce.

Al contrario se, come è più probabile, si giungerà al rinvio della data di scadenza del negoziato, i “remainers” (i contrari alla Brexit) avranno molte più possibilità di chiedere l’applicazione di più vincoli con l’Ue. Il leader laburista Jeremy Corbyn, ad esempio, propone la permanenza a tempo indeterminato nell’unione doganale. Tutti costoro sperano di arrestare, con un nuovo voto referendario, o con una legge, il percorso di uscita dall’Ue. Su questo fronte si allineano soprattutto i laburisti, i liberaldemocratici e gli indipendentisti scozzesi. Nel frattempo, finché rimarrà irrisolta la questione irlandese, aumenta il rischio che scoppi qualcosa di molto peggiore: la Nuova Ira, l’ala dissidente dell’esercito repubblicano che non ha mai accettato gli accordi di pace, sta già registrando un boom di reclute. Veder tornare il terrorismo in questo angolo di occidente sarebbe la peggior sconfitta per tutta l’Europa.