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IMMIGRAZIONE

Mediterraneo e Calais, la violenza dei trafficanti di esseri umani

Al largo delle coste libiche è affondato un barcone con 90 emigranti a bordo. Si teme che siano morti quasi tutti. La causa è, a quanto pare, il sovraffollamento dell'imbarcazione usata dai trafficanti. E a Calais in una maxi rissa fra emigranti afgani ed eritrei ben 4 persone sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco.

Esteri 03_02_2018
Polizia francese a Calais

Dieci corpi senza vita sono già stati rinvenuti su una spiaggia nei pressi di Zuwara, restituiti dal mare dopo un naufragio. Pare che sia solo l’inizio di una nuova tragica conta dei morti del Mediterraneo. Il barcone da cui provengono, stando alla testimonianza di tre sopravvissuti, era stracarico di 90 persone, quasi tutti emigranti dal Pakistan.

Secondo il racconto dei testimoni sopravvissuti, il barcone era pieno zeppo di persone e probabilmente si è rovesciato per uno sbilanciamento del suo “carico”. E’ tipico dei trafficanti di esseri umani ottimizzare al massimo gli spazi per ridurre i costi. Se il mare è calmo e le navi delle Ong sono vicine alla costa, usano gommoni che si sgonfiano poco dopo la loro partenza. Se il mare è agitato e la tratta da percorrere è più lunga, usano piccole imbarcazioni in legno che trasportano decine di persone. Sia la stiva (per quelli che pagano meno) che il ponte (per quelli che pagano di più) vengono riempiti ben oltre i limiti di sicurezza. In questo caso, la maggior parte delle persone a bordo era di nazionalità pakistana, ma c’erano anche libici. Tra le dieci persone senza vita spinte dal mare sulla spiaggia, otto venivano dal Pakistan e due erano libici. La presenza di questi ultimi ha allertato il consiglio di sicurezza della città di Zuwara, che è stato il primo a dare la notizia della loro morte. L’anno scorso, il numero dei libici che si imbarcano per la tratta del Mediterraneo è stato fra i più bassi rispetto al totale degli emigranti. In tutti i casi osservati e riportati dall’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) sono arrivati sulle coste italiane con barche più robuste, con meno persone a bordo. I pakistani, invece, sono in numero crescente, terzi per numero di emigranti dall’inizio dell’anno (erano tredicesimi fino all’anno scorso). La differenza è dovuta soprattutto alla consapevolezza del pericolo. I libici sanno cosa li attende. Emigranti provenienti dall’Africa subsahariana o dall’Asia meridionale, invece, sono ancora illusi dalle sirene di trafficanti che promettono viaggi e ricollocamenti in Europa in tutta sicurezza.

Mentre si era ancora impegnati a capire le dimensioni della nuova tragedia del Mediterraneo, già dal giorno prima arrivavano notizie preoccupanti da Calais (nel Nord della Francia, punto di imbarco per il Regno Unito), altro teatro delle grandi migrazioni di questi anni. Uno scontro violentissimo fra gang afgane ed eritree ha causato il ferimento di 22 persone, quattro delle quali sono sospese fra la vita e la morte mentre questo articolo va in pagina. Secondo il ministro degli Interni francese, Gérard Collomb, si tratta di un salto di qualità nella violenza registrata in quello che un tempo era conosciuto come “la giungla”, il campo profughi più caotico e vasto dell’Europa occidentale.

Lo scontro fra emigranti è scoppiato giovedì pomeriggio. Secondo la ricostruzione della polizia francese, un uomo di 37 anni, afgano, ha sparato contro un gruppo di eritrei in coda per il cibo, in un campo nei pressi dell’ospedale di Calais, nel Sud della città francese. I colpi di pistola hanno raggiunto quattro uomini, poi ricoverati in gravissime condizioni con ferite al collo, al petto, all’addome e alla schiena. L’aggressione ha subito provocato la reazione della comunità eritrea che ha aggredito una trentina di afgani. Ne è seguita una rissa che è durata due ore, prima di essere sedata dalla polizia. La battaglia è poi proseguita in un altro luogo, nei pressi del centro logistico di Calais, 5 chilometri più a Est, dove una massa di almeno 150 eritrei, armati di bastoni, ha tentato di linciare una ventina di afgani. Infine, in serata, una terza rissa fra afgani ed eritrei è scoppiata nel Nord dell’area, nei pressi dell’ex campo “la giungla”, in un altro punto di distribuzione del cibo.

“La giungla” era stato smantellato nel 2016, per volontà del governo francese, dopo che era diventato uno dei luoghi più pericolosi di Francia. Ha iniziato a costituirsi spontaneamente nei tardi anni ’90, con profughi in fuga dalle guerre balcaniche. In questi ultimi anni si è riempito di profughi africani e mediorientali che cercando di raggiungere il Regno Unito restano bloccati sulla costa francese. Con un primo accordo anglo-francese, un muro protettivo era stato costruito per proteggere i camion in coda per l’imbarco, fatti oggetto di ricatti e aggressioni da parte delle gang di trafficanti. Nel suo momento di massima espansione, fra il 2015 e il 2016, nella “giungla” abitavano 8000 persone. Dopo lo sgombero, avvenuto nel 2016, nell’area restano altri campi di emigranti, circa 500-600 persone in tutto, secondo le autorità francesi (ma le Ong che operano per distribuire loro cibo e sanitari stimano la presenza di circa 800 persone). Con un nuovo accordo anglo-francese, siglato all’inizio di questo mese, la Francia e il Regno Unito si impegnano a sveltire le pratiche di riconoscimento dei rifugiati in mezzo alla massa umana stipata a Calais. Coloro che non hanno diritto all’asilo politico, promette il presidente Macron, saranno prontamente espulsi.

I due eventi avvenuti quasi in contemporanea nelle due principali rotte dell’emigrazione, sono la dimostrazione plastica della pericolosità della criminalità organizzata che gestisce il traffico di esseri umani. Il naufragio è prodotto del cinismo delle mafie africane che lucrano sul trasporto di una “merce” di cui sono totalmente disinteressate. Una volta ricevuto il pagamento, possono anche morire tutti: questa è la logica. E lo scontro fra uomini armati a Calais altro non è che la punta dell’iceberg di una violenza pandemica in tutti i campi profughi, dove spesso si ripetono, su piccola scala, sia i conflitti in corso fra popoli ed etnie, sia discriminazioni religiose, sia, come probabilmente in questo caso, lotte fra gang di nazionalità diversa per il controllo del territorio e dei servizi. Sono verità scomode, troppo spesso sommerse dalla retorica dell’accoglienza. Quella secondo cui gli unici “colpevoli” siamo noi europei, colpevoli di non voler accogliere. Gli unici, nella cruda realtà, che però offrono soccorso alle vittime della tratta in mare, o un pasto caldo ai disperati di Calais.