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RETORICA

Muri che accolgono, muri in cui vivere

L’accoglienza non è un senza-muri. Ti accolgo perchè ho mura da offrirti. Muri materiali (ti faccio entrare nella mia casa, nel mio paese...) e muri spirituali (puoi appoggiarti sul pavimento della mia identità e delle mie certezze). Senza muri non c’è casa, e dunque non c’è accoglienza. Perché senza muri non ci sono porte... ergo: non si sa da dove entrare.

Cultura 29_06_2017
Mura di Gerusalemme

Forse i nostri opinionisti son diventati tutti architetti. O, volendo fare della psicologia spicciola, soffrono di qualche patologia legata a problemi irrisolti con imprenditori edili. Eppure, leggendo trasversalmente le pagine dei giornali d’opinione, lo slogan “no ai muri!” sembra campeggiare qua e là, per parlare indistintamente di migranti, politiche pubbliche, sanità, attentati, problemi internazionali, e via dicendo.

No ai muri dell’indifferenza della crisi antropologica della politica della borghesia dell’identità della razza... Un sospiro di sollievo. Esorcizziamo la nostra incapacità di interpretare ed agire con la parola “muri”. Cosicché possiamo dormire sonni tranquilli... Non verrà l’uomo nero dei muri, almeno per questa notte. Lo dicono gli opinionisti, i benpensanti di destra e di sinistra, le gerarchie ecclesiastiche e i responsabili di movimenti (politici e non). E lì il dibattito si conclude, a tarallucci e vino. 

“Meno muri e più ponti”. Certamente, per attraversare l’oceano della nostra pochezza di fronte alla crisi attuale. 

Ma che colpa hanno i poveri muri, per stare sempre al centro della retorica attuale? Forse la causa è Baumann, con la sua società liquida – quanti poi abbiano letto i suoi libri davvero, è un grande mistero. Forse Trump, con la questione messicana. Forse il nostro Presidente della Repubblica, con le sue dichiarazioni sui migranti. Forse...

La questione è ben più preoccupante di quanto si pensi. Non si tratta di pura retorica, ma di ideologie, che – consapevolmente o meno – cambiano la nostra società, dandole un nome. Dopo l’epoca oscura e l’epoca dei lumi, eccoci nell’epoca dei muri. Lo ripete come un refrain (alcuni uomini hanno una resistenza incredibile) un filosofo molto à la page attualmente, Diego Fusaro: la svolta storica, per noi contemporanei, è data dalla caduta del muro di Berlino... letture geopolitichizzanti.  

Eppure – c’è un eppure – l’uomo non vive, abita. Eccoci alla questione antropologica attuale, fondativa delle questioni politiche. E per abitare ha bisogno di una casa. Oikos, luogo dell’identità, e, allo stesso tempo, dell’apertura. L’uomo non può vivere all’aperto – non siamo animali, con buona pace degli antispecisti – perché l’uomo ha bisogno di muri. Di pareti, di pavimenti, di soffitti. Non stiamo parlando dell’architettura, per carità. Abbiamo bisogno di una casa, di una città (polis) con i suoi confini, per ripararci dall’ostilità della natura, ed infine, dell’altro. Perché l’incontro con l’altro non è sempre una passeggiata all’aria aperta (sic!), come ci dicono i retori dei muri. L’altro è dramma. E non sempre siamo capaci, per nostri limiti strutturali, di accoglierlo. 

L’accoglienza non è un senza-muri. Ti accolgo perchè ho mura da offrirti. Muri materiali (ti faccio entrare nella mia casa, nel mio paese...) e muri spirituali (puoi appoggiarti sul pavimento della mia identità e delle mie certezze). Senza muri non c’è casa, e dunque non c’è accoglienza. Perché senza muri non ci sono porte... ergo: non si sa da dove entrare. 

L’accoglienza è un processo. Ti faccio entrare nell’intimità della mia dimora – della mia storia, delle mie tradizioni, delle mie relazioni, delle mie paure. Perché la mia intimità coincide con la mia casa e la mia storia. Oikos. Il verbo spagnolo “casarse” (sposarsi) ridice bene questo concetto: ci diamo una casa perché condividiamo l’intimità. Il matrimonio è la casa, ossia il luogo antropologico dove le relazioni fioriscono, e dove l’intimità (lo stare nudi, come dice Silvano Petrosino) è possibile, perché le relazioni sono accolte in tutta la loro drammaticità.

Non si tratta di un discorso politico, per carità. Però questo è l’uomo. Un essere che vive l’infinito (ossia l’assenza di finis) in una realtà necessariamente finita. Apriamo le porte perché abbiamo dei muri, dei luoghi de-limitati. Il non-luogo è effettivamente, come ricorda Marc Augé, invivibile per noi. E allora la retorica dei muri può rimanere, davvero, solo retorica. 

Con buona pace di chi ci vuol far credere che il problema attuale sia quello dei muri, continuando a nascondersi dietro ad un dito. Perché non ha neanche più uno straccio di muro per nascondersi, avendoli distrutti tutti. 

* Facoltà di Filosofia e Centro di Bioetica. Pontificia Università Cattolica del Cile