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FILOSOFIA

Nasce la figura del vescovo post-umano

Una relazione accademica di monsignor Galantino, segretario della Cei, sul pensiero rosminiano, introduce concetti fortemente problematici, forzando il pensiero di Rosmini per esaltare la società del post-umanesimo a cui la Chiesa dovrebbe guardare con simpatia e gratitudine.

Ecclesia 09_09_2014
Monsignor Nunzio Galantino

«La Chiesa dovrà anche attrezzarsi per mostrare se stessa come esperta di postumanesimo e così parlare all’uomo d’oggi illuminandone il destino alla luce dell’Evangelo». Mi ha molto colpito questa frase di monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio e Segretario della CEI, con cui chiude una sua conferenza al Simposio Rosminiano di Stresa del 28 agosto scorso.

Sapevo che la Chiesa aveva detto di se stessa di essere “esperta in umanità” e ricordavo una illuminante spiegazione di questo data da Giovanni Paolo II in “Memoria e Identità”. La Chiesa è esperta in umanità non perché sia esperta degli uomini ma perché è esperta di Cristo ed ha ricevuto nella Rivelazione, a cominciare dai primi versetti del Genesi, il senso pieno dell’umano. Non sapevo che essa ora dovesse essere anche “esperta in postumanesimo”. Poiché il contesto della relazione di mons. Galantino era accademico e non direttamente magisteriale posso esprimere alcune mie forti perplessità.

Il vescovo Galantino ritiene che l’epoca classica sia stata teocentrica, quella moderna sia stata antropocentrica o umana e quella post moderna postumana. Si tratta di una suddivisione molto problematica. Ritiene anche che tale ultima tappa sia non congiunturale ma epocale e che rappresenti una «preziosa opportunità» per la fede e la teologia. Se ho ben capito, tale opportunità consisterebbe nell’abbandono definitivo di una «ontologia dell’essenza» per approdare ad una «ontologia della persona» e proprio qui il postumanesimo si incontrerebbe con la fede cristiana. Non mi è chiaro come sia possibile un personalismo «postumano» e soprattutto come sia possibile un cristianesimo «postumano». Mi sembra che l’idea di mons. Galantino sia che il postumanesimo ci aiuta a prendere le distanze dall’essenza, che sarebbe astratta e immobile, per approdare alla persona che, invece, sarebbe dinamica e sempre tesa a superarsi: «L’uomo è un essere in cammino che agisce in continuità e al tempo stesso in discontinuità con quanto apprende di volta in volta di sé».

Certo che, mi viene da dire, le discontinuità di cui l’uomo è capace non possono essere in contrasto con la sua natura, altrimenti sarebbero disumane. Senza il riferimento all’essenza si perde la bussola di quello che è umano e di quello che non lo è. Né posso definire chi sono, senza anche definire cosa sono. L’essenza, del resto, non è qualcosa di astratto, ma è la cosa più intima che un uomo può avere perché ne determina l’identità di uomo, lo colloca nell’essere secondo la sua misura. Certo è qualcosa di “fisso”, ma non “fissista”, perché è l’essenza di un uomo ragionevole e libero, il che significa capace di crescere nell’essere in fedeltà e coerenza con la propria essenza. È quantomeno strano che il vescovo Galantino adoperi una citazione della Fides et Ratio di Giovanni Paolo II per appoggiare tali sue affermazioni, un’enciclica che, come è noto, va in tutt’altra direzione. 

Al giorno d’oggi il progetto di una postumanità è molto avanzato. Il postumanesimo non è una tesi filosofica, una teoria presentata ad un convegno per essere occasione di confronto e riflessione. Il postumanesimo è oggi una prassi spietata, che impiega risorse enormi e che viene portata avanti da molti centri di potere. Lo scopo è di cambiare la natura umana su due direttrici complementari. La prima è quella della manipolazione completa del corpo umano: rigenerazione di organi, protesi artificiali, trapianto della testa, nanotecnologie e chips, fecondazione artificiale, eugenetica. La seconda è quella, più culturale, portata avanti dall’ideologia del gender con la ri-creazione della natura su nuove basi alternative completamente artificiali. Di fronte a questi tentativi postumani anche gli spiriti più laici, come per esempio Jürgen Habermas, sono seriamente preoccupati. Postumanesimo significa congedo dall’umano. Ora, che un vescovo segretario della CEI dica che la Chiesa deve diventare esperta in postumanesimo e considerarlo una occasione per rivedere la propria antropologia, stona non poco.

Il progetto postumanista non è una tesi accademica da discutere, è invece una riorganizzazione dell’umano che produce violenza e sofferenza. Mons. Galantino ci invita a non «denigrare il nostro tempo» ma si potrebbe anche invitare lui a non esaltarlo troppo.

Si accennava sopra a quanto scriveva Giovanni Paolo II in “Memoria e identità”. Nel bellissimo capitolo 24, che dà il titolo al libro, San Giovanni Paolo II rifletteva su Maria che conservava queste cose nel suo cuore. «La memoria materna di Maria – egli scriveva -  è anche la memoria materna della Chiesa, la Tradizione, da cui nasce la sua essenziale identità, questa memoria è anche memoria dell'uomo»…: «La Chiesa cattolica custodisce in sé la memoria della storia dell’uomo fin dall’inizio… la Chiesa è madre che, a somiglianza di Maria, serba nel suo cuore la storia di tutti i suoi figli, facendo propri tutti i problemi ad essi connaturali». Ecco il modo con cui la Chiesa è «esperta in umanità», ma non di «postumanesimo».