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IL PROCURATORE ANTI TERRORISMO

«No a super procura, ma mappare i cellulari»

Il passaggio in Italia di Abdeslam e El Bacraoui accende i riflettori sulla tenuta della nostra intelligence. Ma come lavorano gli inquirenti? La Bussola lo ha chiesto al procuratore anti terrorismo Giovannini. Che boccia l'ipotesi di un organismo sovranazionale e ammette: «Alcune comunità islamiche sono diffidenti a collaborare con noi»

Cronaca 30_03_2016
Il procuratore Valter GIovannini

Le tracce del transito ci sono: sms, segnalazioni di alberghi, carte di imbarco. Mancano però le reti dei contatti e il perché si trovassero in Italia. Una cosa è certa: molti dei protagonisti degli attentati di Bruxelles e Parigi sono passati dal nostro Paese. Un passaggio in Italia che non ha nulla ovviamente di turistico, ma che i nostri 007 non sono ancora riusciti a decrittare. 

Il kamikaze della Metro di Maelbeek, Khalid El Bacraoui il 23 luglio scorso ha dormito in un albergo di Venezia per poi imbarcarsi per la Grecia. Stessa destinazione, in questo caso il porto di Patrasso per l’ex primula jihadista Salah Abdeslam che il 1 agosto si è imbarcato a Bari. Tutta da chiarire poi la vicenda di Djamal Eddine Ouali, che ora si trova in carcere con l’accusa di aver falsificato i documenti per lo stesso Salah e uno dei kamikaze di Zaventen. Viveva a Salerno quasi indisturbato. 

Perché l’Italia? L’interrogativo è di quelli decisivi, ma la nostra intelligence, ovviamente finita nell’occhio del ciclone dopo l’emergere di questi link nel Bel Paese, non è ancora riuscita a fornire adeguate spiegazioni su transiti che potrebbero rappresentare molto più di un semplice passaggio: reti di amicizie, connivenze, appoggi, basi strategiche. Tutto è possibile, ma ancora in Italia si brancola nel buio di una incertezza di fondo: siamo davvero a rischio? E quanto i nostri inquirenti che si occupano di terrorismo stanno monitorando il rischio? La Nuova Bussola lo ha chiesto al procuratore Valter Giovannini, coordinatore del Gruppo Terrorismo della Procura di Bologna che ha competenza regionale sull’Emilia Romagna, regione che con il suo capoluogo Bologna è considerata dagli stessi jihadisti come uno snodo fondamentale. 

Procuratore Giovannini, la vostra attività antiterrorismo sta subendo delle variazioni in questi giorni dopo l'attentato di Bruxelles?

No, da tempo l'attenzione è molto alta per individuare e, se del caso, reprimere manifestazioni di radicalismo estremista.

Quali sono i principali strumenti di cui disponete per tracciare la cosiddetta mappa del terrore?

Non parlerei di mappa del terrore ma di indagini che, seppur di tipo nuovo e molto difficili da svolgere, devono obbedire alle regole investigative consuete. Fonti di informazioni, intercettazioni, pedinamenti e dopo sequestri e perquisizioni.

Recentemente il ministro Alfano ha annunciato una intensificazione nelle attività di controllo e di intelligence. La stretta riguarda anche il vostro lavoro? 

Noi coordiniamo l'attività investigativa delle forze dell'ordine, l'attività di intelligence spetta ai servizi di sicurezza che dipendono dalla Presidenza del Consiglio. Ovviamente tra loro e gli uffici specializzati delle forze dell'ordine tutti auspichiamo un continuo scambio di informazioni soprattutto sul piano della prevenzione.

Il caso di Bruxelles ha fatto emergere la complessa rete di rapporti e connivenze maturate all'interno del quartiere di Molenbeeck, dove praticamente vige la legge della Sharia. Anche in Italia o nella vostra sfera di indagini, l'Emilia, ci sono quartieri che stanno assumendo queste caratteristiche di ghetto. Se sì, quali?

Non abbiamo alcun segnale, per il momento, in tal senso.

Come vi comportate per mappare il cosiddetto reclutamento che può avvenire on line o attraverso i social?

Con il tradizionale monitoraggio di siti e del mondo di Facebook;

Con quali strumenti di repressione? 

Le norme del codice penale in materia di terrorismo sono state di recente modificate e ci consentono un maggiore spazio di manovra rispetto al passato nel senso che hanno assunto rilievo illecito condotte che prima andavano esenti da pena.

E' vero che l'ordinamento italiano necessiterebbe di leggi speciali perché attualmente anche voi inquirenti avete le mani legate?

Se utilizziamo la sintesi "leggi speciali" come fuori dal complesso normativo del codice penale, sicuramente qualcosa si potrebbe fare in tema di intercettazioni preventive e mappature di acquirenti di schede telefoniche e telefoni cellulari. Se per leggi speciali intendiamo norme eccezionali rispetto a quelle vigenti credo che, per il momento, non ce ne sia, bisogno perché, ripeto, i reati esistono, la difficoltà vera è attribuirli agli indiziati con una forza probatoria tale che resista al vaglio del giudice.

Che cosa pensa della proposta di una super procura europea che la politica sta avanzando in questi giorni? Non teme che ci sia il rischio di pestarsi i piedi?  

La super procura in veste antimafia, D.N.A, istituita nei primi anni novanta del secolo scorso in Italia ha dato buoni risultati. Trasferire una simile esperienza a livello europeo, nel senso di creare un ufficio antiterrorismo continentale credo che non sia una buona idea; non fosse altro perché per organizzarlo seriamente e renderlo realmente funzionale ed operativo servirebbero anni, mentre il fenomeno che ci troviamo ad affrontare muta nelle sue caratteristiche oggettive e soggettive con grande velocità. All'attualità basterebbe che si rendessero più fluidi gli scambi informativi tra le forze di polizia dei vari paesi e che fosse consentita la piena utilizzabilità processuale di tali informazioni che oggi, per essere veicolate nel processo, devono passare attraverso lunghe e farraginose rogatorie internazionali.

Chi sono i soggetti che state tenendo sotto controllo. Di chi si tratta? Immigrati di seconda generazione, profughi, foreign fighters?

Pur senza ovviamente fornire numeri si può dire che i soggetti "attenzionati" appartengono a un po’ tutte le categorie.

Crede che, come per le vicende di tipo mafioso, anche alcune comunità islamiche pecchino di omertà? 

Certi contesti sono talmenti difficili da penetrare che si può solo presumere una certa diffidenza a collaborare sul serio con le istituzioni del nostro paese.

Sono utili a contrastare il fenomeno le manifestazioni che vengono svolte dopo gli attentati?

Certamente sensibilizzano, come avvenne tanti anni fa quando il nostro paese era sconvolto dal terrorismo interno, ma questo deve essere solo il primo passo per affrontare, senza pregiudizi ideologici di sorta, il tema più generale e cioè se sia possibile coniugare il massimo delle libertà con il massimo della sicurezza.