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EDITORIALE

Non criticare l'islam è un suicidio

A ogni attentato politici, giornalisti, ecclesiastici fanno a gara per affermare che i terroristi non c'entrano con l'islam, nella convinzione che altrimenti tanti musulmani moderati potrebbero radicalizzarsi. Ma proprio questo dovrebbe indurci a capire che c'è qualcosa di problematico con l'islam.

Editoriali 05_01_2017
Jihadista

L'articolo che segue è stato pubblicato il 28 dicembre scorso sul sito The Catholic Thing

 

Tra i media e le elite politiche si è diffuso un luogo comune, secondo il quale le critiche all’islam, radicale e non, servono solo a portare i musulmani moderati nel gruppo dei radicali.

Questa tesi deve essere messa in discussione, perché potrebbe invece essere che proprio la mancanza di critica abbia portato alla rinascita dell’islamismo militante. Lungi dall’essere critici nei confronti dell’islam, i governi occidentali, i media, il mondo accademico e anche le Chiese si sono fatti in quattro per affermare che tutte le atrocità commesse in nome dell’islam non hanno niente a che fare con esso. Tanto è vero che i media occidentali hanno adottato un rigido sistema di autocensura che impedisce loro di ammettere che queste atrocità, di fatto, sono commesse in nome dell’islam.

L’esempio più recente è la notizia dell’omicidio di un ambasciatore russo da parte di un agente di polizia turco. Una delle prime dichiarazioni dell’assassino dopo la sparatoria è stata: “Noi siamo quelli che hanno giurato a Maometto di portare avanti la jihad”. Se non vi ricordate queste parole, è perché sono state omesse da quasi tutti i notiziari e i servizi televisivi. Evidentemente, chi controlla i media ha avuto paura che se fossimo venuti a conoscenza della devozione di quell’uomo per Maometto, avremmo detto qualcosa di provocatorio che avrebbe trasformato un numero incalcolabile di pacifici musulmani in jihadisti lancia-bombe. 

Forse, il primo esempio delle conseguenze di questo silenzio è l’attuale crisi europea. I terroristi islamici hanno dichiarato guerra all’Europa e il risultato di ciò è stato una serie di attacchi mortali ad aeroporti, metropolitane, locali, sale concerti e, più di recente, a mercatini natalizi. Tutto questo caos è il risultato indiretto dell’ignoranza riguardo all’islam; ignoranza che, a sua volta, è il risultato di un oscuramento quasi totale delle notizie non positive sull’islam.

Chiunque abbia un’accurata comprensione della cultura e della religione islamica avrebbe potuto prevedere che, anche senza l’ondata migratoria del biennio 2015-2016, il continuo flusso di immigrati musulmani nel corso degli anni, avrebbe portato a una situazione esplosiva. La cosa incredibile è che le conseguenze di questa migrazione di massa non sono mai state discusse – se non in termini entusiastici. Le uniche cose che si potevano dire sui migranti erano che avrebbero risolto il problema della scarsità di lavoro, rimpinguato le casse dello Stato e portato all’arricchimento culturale dell’Europa.

Questa era la linea ufficiale. Chiunque si discostava da essa poteva andare incontro alla censura, a una possibile perdita del lavoro o addirittura a un processo penale. Dì qualcosa di negativo sulla tua pagina Facebook sull’immigrazione musulmana, e ti ritrovi la polizia in casa. Dì la stessa cosa in pubblico e riceverai una citazione in giudizio. E non importa se a farli sono stati una scrittrice famosa (Oriana Fallaci), il presidente della Danish Free Press Society (Lars Hedegaard) o un famoso membro del parlamento olandese (Geert Wilders). Se non puoi dire niente di buono sull’islam, allora non devi dire proprio nulla.

Nel caso dell’Europa, l’idea che le critiche all’islam possano portare alla nascita di un esercito di radicali non regge. In molti paesi europei le critiche all’islam sono fondamentalmente un crimine e lo sono da diverso tempo. In Europa, a pochi importava di criticare l’islam, ma i radicali sono arrivati comunque. Più di ogni altra cosa, è stato il silenzio a permettere all’islamizzazione e alla radicalizzazione di diffondersi in Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Svezia.

Praticamente nessuno ha mai sollevato critiche su zone proibite, tribunali della sharia, poligamia e matrimoni forzati, rifiuto dell’integrazione, ondate criminali ed epidemia di stupri. Ora che, finalmente, molti stanno facendo sentire la propria voce, potrebbe essere troppo tardi per evitare la capitolazione (probabile sorte della Svezia) o i conflitti sanguinosi (più probabili in Francia).

Proprio la tesi per la quale le critiche all’islam porteranno i moderati nel gruppo dei radicali suggerisce che le critiche sono necessarie. Se l’Islam è una religione dal grilletto facile a tal punto che la minima offesa può radicalizzare i suoi membri, c’è qualcosa di radicalmente sbagliato nella religione stessa. Nessuno si preoccupa del fatto che le critiche al cattolicesimo possano far riversare orde di cattolici scatenati per le strade. Nessuno ha paura che una parola fuori luogo possa portare un giovane membro della Chiesa Battista del sud a farsi esplodere.

L’islam induce alle critiche. Alla luce del suo passato e del suo presente sanguinosi, sarebbe fortemente da irresponsabili non sottoporlo a un’analisi e a una critica profondi. Tale critica non avrebbe lo scopo di emarginare i musulmani (malgrado alcuni sarebbero inevitabilmente condannati a tale sorte), bensì di allertare le probabili vittime della jihad.

Una delle cose basilari che i non-musulmani devono sapere è che l’islam divide il mondo in due – da una parte, la Casa dell’Islam, dall’altra la Casa della Guerra (l’insieme di tutte le società non-islamiche). E ogni musulmano deve fare la sua parte per far sì che la Casa della Guerra si sottometta alla Casa dell’Islam. In questo momento gli europei sperimentano una sorta di disorientamento del tipo “Non so cosa mi abbia colpito”, ma solo perché non hanno mai imparato queste cose basilari sull’islam.

Una delle ragioni della nostra riluttanza ad analizzare e a criticare l’islam (un’idea) è che tale critica sembra equivalente a una critica ai musulmani in quanto popolo. Sfortunatamente, anche se l’intenzione non è questa, il risultato, spesso, è questo. Non si può separare completamente una persona dalle sue credenze e, di conseguenza, facciamo delle critiche alla nostra religione una questione personale. Questa è una buona ragione per fare le critiche col maggior tatto possibile. Ma non è una buona ragione per non fare alcuna critica. 

Se non si può criticare un sistema di credenze perché urterebbe la sensibilità delle persone che ne fanno parte, allora sbagliavamo anche a criticare il nazismo, il comunismo e l’imperialismo giapponese. Di solito ci tratteniamo dal criticare altre religioni. Questo approccio da “vivi e lascia vivere” di solito è ragionevole, ma quando l’altra religione comincia a dire che o ti converti, ti sottometti, o muori, allora il “vivi e lascia vivere” non è più un’opzione. Questa è la situazione in cui siamo nei confronti dell’islam. E far finta che le cose non stiano così è un suicidio.

Traduzione di Davide Polenghi