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INGHILTERRA

Nozze gay, Chiesa inglese all'attacco

Mobilitazione dei cattolici dopo la presentazione del disegno di legge che mira a istituire in Gran Bretagna del “Marriage (same sex couples) Bill”, che già domani potrebbe essere approvato alla Camera dei Comuni.

Famiglia 04_02_2013
David Cameron

Venerdì scorso è stato presentato il testo del disegno di legge che mira a istituire in Inghilterra e Galles le “nozze” gay. Si tratta del “Marriage (same sex couples) Bill”. Il prossimo passo sarà l’approvazione da parte della Camera dei Comuni il 5 febbraio e infine alla Camera dei Lords.
Il Ministro della Cultura Maria Miller ha affermato con candore: “Crediamo che il matrimonio sia una buona cosa e vogliamo incoraggiare le coppie ad unirsi”.
Ci venga perdonata la trivialità ma non possiamo che condividere il parere di Giuliano Ferrara sul Il Foglio di lunedì scorso: “E’ una bella presa per il culo, no?”.

Il cuore della nuova legge è il seguente paragrafo: “Per le legislazioni di Inghilterra e Galles, il matrimonio tra coppie dello stesso sesso produce i medesimi effetti di quello tra coppie di sesso opposto”. La formula magica è stata pronunciata e la natura del matrimonio deve cambiare il suo corso.
La Conferenza Episcopale cattolica di Inghilterra e Galles in una nota di martedì scorso indirizzata ai parlamentari inglesi ha reso esplicito tutto il suo disappunto.
In primo luogo i vescovi affermano che “questa legge, per la prima volta nella storia britannica, cerca nel fondo di spezzare il legame giuridico esistente tra l'istituzione del matrimonio e l'esclusività sessuale”.

Ciò che rileva alla fine è solo il legame affettivo. In tal senso l’apertura alla vita e la procreazione non saranno più uno dei fondamenti del matrimonio, ciò a motivo del fatto che gli omosessuali non possono procreare. In terzo luogo i prelati inglesi mettono in guardia da un pericolo devastante: questa legge non riguarda solo gli omosessuali, ma tutta la collettività dal momento che sovverte in radice il significato intimo dell’istituto matrimoniale. Ne cambia il concetto, a danno di tutti.

Anche per questo motivo, sottolineano i vescovi, occorreva perlomeno un referendum sullo stesso, tanto più che in nessun programma politico prima delle elezioni figurava questa proposta in tali termini. Il matrimonio è fenomeno sociale così fondamentale per la collettività che questa doveva essere interpellata. E invece nulla di tutto questo è accaduto. Anzi, le 625mila firme raccolte contro questo disegno di legge non sono state nemmeno prese in considerazione e sono finite in un cassetto.

L’argomento poi che questa norma tutela il principio di uguaglianza giuridica fa acqua da tutte le parti. Infatti i vescovi tagliano corto, affermando che il principio di uguaglianza impone di trattare casi uguali in modo uguale e casi diversi in modo diverso. E gli omosessuali instaurano o no un rapporto diametralmente diverso da quello degli eterosessuali?
Inoltre, aggiunge la nota, sono le coppie eterosessuali a essere discriminate. Con una punta di amara ironia fanno notare infatti che ad oggi le coppie eterosessuali non possono accedere ai “civil partnerships” (i nostrani Pacs), riservati agli omosessuali, e inoltre sui coniugi etero grava una disciplina giuridica che non potrà applicarsi ai gay: vedi la presunzione legale che il bambino nato dalla donna sia figlio del marito; la mancata consumazione dell’atto sessuale come prova di nullità matrimoniale ed altre disposizioni di legge.

Poi il documento della Conferenza episcopale arriva al punto nevralgico: le chiese, non solo quella cattolica, avranno l’obbligo di celebrare i “matrimoni” gay? Alla clausola 2 del disegno di legge si stabilisce esplicitamente che nessuna organizzazione religiosa sarà costretta a celebrare nozze tra omosessuali. A questa disposizione fanno eco le parole della già citata Maria Miller, Ministro della Cultura, la quale ha tenuto a precisare che le istituzioni religiose saranno “tutelate e non costrette a celebrare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. La Chiesa Anglicana essendo la Chiesa di Stato, è un caso a parte. Attualmente ha l’obbligo di sposare chiunque lo richieda nella sua congregazione. La nuova legislazione farà in modo di prevenire che quest’obbligo venga applicato anche alle coppie gay”. Queste assicurazioni assomigliano tanto, a noi pare, a quelle che fece il premier Cameron quando garantì che le agenzie cattoliche per l’adozione non sarebbero state costrette a collaborare nell’adozione di bambini su richiesta di coppie gay. Ma non fu così e oggi tutte hanno chiuso. Anche i vescovi non sono tranquilli in merito alla tutela della libertà religiosa e offrono queste osservazioni critiche.

Primo: il rifiuto del singolo sacerdote di accogliere in chiesa una coppia gay potrebbe essere intesa come atteggiamento discriminatorio e omofobico con ricadute in ambito penale. Secondo: dato che le più importanti organizzazioni religiose sono riconosciute legalmente, qualcuno le potrebbe considerare come enti pubblici. Ciò è assolutamente giustificabile proprio in relazione all’istituto matrimoniale che infatti produce effetti non solo di natura religiosa ma anche civilistica.

In questo senso un ente pubblico (leggi chiesa) che non fornirà un servizio pubblico (leggi matrimonio) potrebbe finire nei guai, tanto più – appuntano i vescovi – che il diritto di coniugio è un diritto fondamentale riconosciuto da molti trattati internazionali. Quindi si profilano battaglie giuridiche soprattutto a livello europeo e internazionale, in primis davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Ciò a maggior ragione se pensiamo che la giurisprudenza della CEDU è ferrea nel tutelare il diritto a non essere discriminati per il proprio orientamento sessuale. Diritto che praticamente non può essere bilanciato da quasi nessun altro diritto, tantomeno dalla libertà religiosa.

Terzo: vero è che formalmente le chiese le quali si rifiuteranno di aprire le porte dei propri luoghi di culto alle “nozze” gay non verranno obbligate a farlo, ma di certo entreranno in un cono d’ombra pregiudizievole. I vescovi si spingono a dire che ad esempio in un appalto pubblico un’organizzazione religiosa meno liberal sul “matrimonio” omosex correrà il rischio di essere svantaggiata nella gara da parte dell’ente pubblico appaltante.
Quarto: per legge un membro di un’organizzazione religiosa la quale ha accettato di celebrare “matrimoni” gay potrà sollevare obiezione di coscienza. Provvedimento sicuramente positivo, ma che configura un’anacronistica intromissione nelle faccende private di una chiesa privata. Sembra un revival del cesaro-papismo di Costantino. I vescovi definiscono “inquietante” poi che questo tipo di obiezione di coscienza sia praticabile solo da parte di chi appartiene a un’organizzazione religiosa. E tutti gli altri? Zitti e mosca?

Quinto: molte organizzazioni religiose di piccola entità spesso si mettono insieme per gestire spazi comuni. Che fare quando questi spazi comuni saranno adibiti da alcuni ai “matrimoni” omosex e gli altri si opporranno? Il pericolo è quello di generare conflitti tra diverse fedi. Sesto: la legge sull’istruzione del 1996 impone nei programmi scolastici di illustrare “la natura del matrimonio e la sua importanza per la vita familiare e l'educazione dei figli”. Va da sé che d’ora in poi occorrerà spiegare ai piccoli sudditi di Sua Maestà che anche due maschietti possono “sposarsi” tra loro.
A tale diktat si dovranno sottomettere pure gli istituti scolatici di ispirazione religiosa. Infatti l’obiezione di coscienza al massimo varrà per la celebrazione delle “nozze”, ma non in merito ai programmi statali che anche le scuole private devono seguire. E così possiamo dire addio alla libertà religiosa.
Insomma Cameron vuole istituire le “nozze” gay e la Chiesa Cattolica intende invece chiedere il divorzio dal suo governo.