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L'EDITORIALE

Pakistan, difendere i cristiani dalla vendetta fondamentalista

Al di là delle considerazioni sull'operazione bin Laden, è ora forte la preoccupazione per la sicurezza dei cristiani in Pakistan, già additati dai siti jihadisti come l'obiettivo della vendetta. I governi si mobilitino urgentemente a loro difesa.

Editoriali 03_05_2011
Cristiani in Pakistan
L’esultanza del popolo americano per l’uccisione di Osama bin Laden è comprensibile: per dieci anni ha rappresentato il simbolo del male, colui che aveva inferto agli Stati Uniti una ferita inguaribile con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2011. Per catturarlo e per fargli terra bruciata intorno è stata lanciata una guerra contro l’Afghanistan e poi un’altra contro l’Iraq, due guerre che si trascinano ancora con pesanti conseguenze nella società americana e grave imbarazzo del governo di Washington che non ha ancora chiaro in che modo uscirne.

La morte di bin Laden è arrivata in un momento in cui si faceva sempre più insistente la sensazione di non riuscire a vincere questa guerra. Comprensibile dunque il senso di sollievo e addirittura i festeggiamenti della popolazione che si è riversata in strada. Eppure, come ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, "di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai, ma riflette sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini". L’uccisione di un uomo, fosse anche il più efferato dei criminali, non può mai essere occasione di gioia: anche Osama bin Laden, prima di essere un simbolo, era una persona. Anche per lui, per la sua salvezza, Gesù Cristo è morto e risorto, anche se – con il metro della giustizia umana – questo pensiero ci stride dentro.

Più che la gioia dovrebbe dunque prevalere il dolore per una persona che fino alla fine si è assunto “la gravissima responsabilità – ha detto ancora padre Lombardi - di diffondere divisione e odio fra i popoli, causando la morte di innumerevoli persone, e di strumentalizzare le religioni a questo fine".

Comprendiamo dunque, ma non condividiamo il senso di festa e di soddisfazione che molti, non solo negli Stati Uniti, ostentano in queste ore.

A questo si aggiunge poi una forte preoccupazione: per la struttura che ha al-Qa’ida, la morte di bin Laden – come ieri Massimo Introvigne ha spiegato magistralmente su La Bussola Quotidiana – se ha un grosso valore simbolico, è però poco rilevante dal punto di vista operativo. Non è vero che con la sua eliminazione “il mondo è ora più sicuro”, come ha affermato trionfante il presidente americano Barack Obama. Anzi, nel breve termine c’è da aspettarsi attentati di piccole e medie dimensioni in diverse parti del mondo, laddove ci sono cellule di al-Qa’ida e obiettivi occidentali. Non per niente in Europa, negli Stati Uniti, intorno alle rappresentanze diplomatiche in Medio Oriente si è subito alzato il livello di allarme.

Ma non possiamo dimenticare che probabilmente le ripercussioni più serie ci saranno proprio in Pakistan: anzitutto per i rapporti ambivalenti che i servizi segreti di questo paese hanno sia con i gruppi terroristici sia con gli Stati Uniti (come spiegato Marco Respinti nell'articolo in Primo Piano), ma anche per la sua estrema vulnerabilità dovuta all’infiltrazione fondamentalista in tutti i settori della società.

E chi ha seguito le vicende degli ultimi mesi in Pakistan sa benissimo che le vittime predestinate di un’eventuale reazione terroristica saranno anzitutto i cristiani, che già sono una minoranza fortemente perseguitata. Poche ore dopo la notizia della morte di bin Laden già c’erano diversi siti jihadisti che chiamavano ad assaltare le chiese e uccidere i cristiani. Ed è facilmente prevedibile che nei prossimi giorni la pressione si farà ancora più forte.

E’ urgente dunque che i governi occidentali smettano gli inutili festeggiamenti e facciano da subito pressione sul governo del Pakistan e offrano collaborazione per difendere i cristiani in pericolo. E’ su questo terreno che si misurerà la capacità politica di volgere al bene l’operazione bin Laden.