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PERSECUZIONE

Pakistan, i cristiani non perdono la fede

Pakistan: meno attentati contro la comunità cristiana. Ma uno stillicidio continuo di violenze e discriminazioni individuali contro i singoli cristiani. La NBQ ne parla con Shahid Mobeen (Pontificia Università Lateranense). Pur subendo minacce tutti i giorni, però, i cristiani “vivono nel quotidiano tutte le difficoltà senza perdere la fede. Resistono a pressioni quotidiane alla conversione all’islam".

Libertà religiosa 13_04_2017
Asia Bibi

Non bombe nelle chiese , ma uno stillicidio di violenze. La persecuzione dei cristiani nel Pakistan è strisciante. Una minoranza esigua in un paese quasi interamente musulmano sunnita, i cristiani sono colpiti dalla legge nera sulla blasfemia, per la quale una donna, Asia Bibi, divenuta il simbolo della persecuzione, è ancora in carcere in attesa di esecuzione della sentenza, in attesa di un processo di appello che continua ad essere rimandato. A gennaio, una bambina di 12 anni, Tania Mariyan è stata ritrovata senza vita nel canale di Chenab in circostanze ancora misteriose. La tesi ufficiale degli inquirenti è “suicidio” e il caso è stato archiviato. Il 1 aprile scorso, cristiani pakistani di Lahore, Multan e Sialkot hanno protestato per chiedere verità sulla ragazza, che potrebbe essere stata assassinata dopo aver subito violenza carnale. 

“C’è un precedente famoso e recente di suicidio che molto probabilmente maschera un omicidio, per questo la comunità cristiana è molto sensibile – spiega alla Nuova Bussola Quotidiana il professor Shahid Mobeen (Pontificia Università Lateranense) – Alcuni anni fa, proprio a Sialkot, c’è stato il caso di un ragazzo trovato morto in carcere. Si chiamava Robert, secondo la comunità cristiana era stato ucciso dalle guardie carcerarie. Questo ragazzo si era innamorato della figlia dell’imam locale. Lui e la sua famiglia erano stati accusati di blasfemia, la comunità cristiana del quartiere aveva subito pressioni sempre più forti. Il direttore della Commissione di giustizia e pace della Conferenza Episcopale del Pakistan, padre Emmanuel Yousuf Mani mi aveva fatto sapere che il ragazzo fosse stato arrestato per tenerlo al sicuro, per evitare il linciaggio della folla. In cella è stato trovato impiccato. I poliziotti, nelle caserme e nelle carceri, sono tutti musulmani. Il ragazzo non avrebbe potuto impiccarsi, lì dove è stato trovato, perché il sostegno non avrebbe retto il suo peso. Probabilmente è stato dunque strangolato e poi è stata diffusa la notizia del suicidio. Sul suo caso non è mai stata condotta un’indagine approfondita. Capisco, dunque, la protesta di Sialkot in questi mesi: l’abuso di potere contro le minoranze religiose è molto frequente”. 

L’anno scorso, proprio il giorno di Pasqua, la comunità cristiana di Lahore è stata colpita da un tremendo attentato: una bomba in un parco giochi con decine di morti. Quest’anno la frequenza di attentati è in calo. Spiega il professor Mobeen che questo è l’effetto delle ultime due campagne militari contro il terrorismo. “Quando Raheel Sharif era il comandante in capo delle forze armate pakistane, condusse un’offensiva anti-terrorismo soprattutto nelle aree tribali nel Nord. Alla fine del suo mandato gli fu chiaro che le operazioni andassero estese a tutto il territorio nazionale. Andato in pensione Sharif, il suo successore, Qamar Javed Bajwa ha effettivamente esteso la campagna contro gli jihadisti. Si è intensificata, soprattutto, dopo gli ultimi attacchi a Lahore. La campagna militare ha realmente indebolito il terrorismo e i gruppi di fanatici che lo fiancheggiano. Inoltre ha avuto l’effetto di ridurre i pogrom di massa. I fanatici sono più spinti a chiudersi sulla difensiva. I media hanno avuto un ruolo importante, hanno fatto in modo di creare maggior consapevolezza nell’opinione pubblica, raccontando sia l’abuso della legge sulla blasfemia, sia assolvendo i cristiani da presunte congiure contro l’islam e contro il Corano. I media, pubblici, privati e stranieri, hanno dunque contribuito a ridurre l’aggressività. Non vediamo più, negli ultimi mesi, quelle folle di migliaia di persone che vanno a bruciare le case dei cristiani”. 

“Ma, anche se gli attentati contro i cristiani stanno diminuendo nell’ultimo anno – avverte Shahid Mobeen – ciò non vuol dire che la legge sulla blasfemia sia cambiata, non vuol dire che l’abuso di questa legge abbia perso peso, non vuol dire che le ragazze cristiane pakistane siano maggiormente protette. Negli ultimi tempi, anzi, si riscontra un aumento dei rapimenti, delle conversioni forzate, dei matrimoni forzati di ragazze cristiane con uomini musulmani”. In questo periodo, l’abuso di potere continua a tradursi in discriminazione religiosa: “Un cristiano, ad esempio, non può aprire un’attività di ristorazione, perché è considerato impuro. Non avrebbe clienti. Va ricordato che, proprio per questo motivo, per aver offerto un po’ d’acqua ritenuta impura, Asia Bibi è stata insultata e poi accusata di blasfemia dalle sue compagne di lavoro. E’ una mentalità radicata nel sistema delle caste indiane: la maggior parte degli intoccabili si è convertita al cristianesimo. La maggior parte dei cristiani che vivono in Pakistan, appartengono, secondo il sistema castale indiano, alla casta dei dalit o degli intoccabili. Anche in un paese islamico (e non induista) quale è il Pakistan, vivono lo stesso tipo di discriminazione perché la mentalità tradizionale, al di là delle differenze religiose, resta la stessa: non possono toccare nulla di ciò che appartiene ad altre caste”.

Inoltre: “Un cristiano non ha la possibilità di accedere a impieghi prestigiosi, non fa carriera nello Stato, nonostante il tentativo di riforma del defunto ministro Shabhaz Bhatti. Egli ottenne una quota del 5% per l’assunzione di membri delle minoranze religiose, ma l’attuale governo non riesce a rispettare questa quota. I datori di lavoro, anche statali, affermano di non trovare un 5% di cristiani adatti a ricoprire quei posti di lavoro, dunque li assegnano ad altri candidati musulmani”.

In vista della Pasqua, i cristiani “temono che si ripetano attentati come quello della Pasqua del 2016. La Chiesa, anche grazie al sostegno delle istituzioni, stanno incoraggiando i fedeli ad andare a messa. Le chiese, anche nel 2016, erano ben protette, ma tutti i luoghi pubblici sono esposti. I terroristi cercano di colpire in luoghi e in momenti in cui possono attrarre l’attenzione mediatica internazionale. Il loro scopo è quello di terrorizzare il popolo, ottenendo la massima visibilità. E ci sono molti gruppi di fanatici che si ispirano sia all’ideologia dell’Isis, sia a quella dei Talebani”.

I cristiani “vivono nel quotidiano tutte le difficoltà senza perdere la fede. Resistono a pressioni quotidiane alla conversione all’islam. Ci sono prigionieri che ottengono la promessa di libertà in cambio della conversione. Anche ad Asia Bibi è stata posta questa scelta. E ha rifiutato l’offerta, pur essendo condannata a morte: ‘preferisco morire da cristiana che vivere da musulmana’ aveva detto in quell’occasione. Anche in questa Pasqua, i cristiani andranno in chiesa in gran numero, consapevoli del rischio che corrono. Ogni famiglia, ogni cristiano cerca di vivere il momento più bello, la resurrezione di Cristo”.