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EURO-CONFUSIONE

Perché l'Irlanda non vuole i soldi di Apple

Un altro grande paradosso dell’Unione Europea: sta imponendo all’Irlanda di riscuotere da Apple 13 miliardi di euro di tasse arretrate e il governo di Dublino protesta. Forse è la prima causa in cui uno Stato ricorre alla giustizia europea, non perché ha ricevuto meno soldi del dovuto, ma perché non ne vuole ricevere.

Economia 01_09_2016
Apple

Un altro grande paradosso dell’Unione Europea: sta imponendo all’Irlanda di riscuotere da Apple 13 miliardi di euro di tasse arretrate e il governo di Dublino protesta. Forse è la prima causa in cui uno Stato ricorre alla giustizia europea, non perché ha ricevuto meno soldi del dovuto, ma perché non ne vuole ricevere.

Andando con ordine, Apple è sbarcata in Irlanda, aprendo una sede a Cork, nel 1980, prima dell’euro, dei personal computer e un quarto di secolo prima degli smart phone. Crescendo nel corso dei decenni, ha dato lavoro a migliaia di irlandesi. Quando ha aperto i battenti a Cork impiegava 60 dipendenti, ora ne ha assunti 6000 in tutto il paese. E’ stata agevolata dal sistema fiscale irlandese. Dunque, secondo la commissaria Margrethe Vestager si tratta di una forma occulta di aiuto di Stato a un’impresa privata.

Apple, per bocca del Ceo Tim Cook (successore di Steve Jobs) annuncia battaglia, perché ritiene di aver semplicemente obbedito alla legge irlandese. Nella lettera diffusa ieri, Cook spiega: “Nel corso degli anni abbiamo ricevuto istruzioni dalle autorità fiscali irlandesi su come adeguarci alle leggi fiscali in Irlanda, le stesse istruzioni che valgono per tutte le società che vogliono fare affari nel paese. In Irlanda e in tutti i paesi in cui opera, Apple rispetta la legge e paga le tasse che deve”. Mentre… “La Commissione Europea si sta sforzando di riscrivere la storia di Apple in Europa, ignorando le leggi fiscali irlandesi e capovolgendo i sistemi contributivi internazionali. Le conclusioni diffuse il 30 agosto dicono che l’Irlanda ha fatto ad Apple degli sconti speciali sui contributi fiscali. Questa cosa non ha nessun fondamento nei fatti o nella legge. Non abbiamo mai chiesto uno sconto e non ne abbiamo mai ricevuto uno. Ora ci troviamo nella strana posizione di essere obbligati a pagare retroattivamente delle tasse a un governo che dice che non gli dobbiamo altri soldi rispetto a quelli che abbiamo già versato”.

Secondo la Commissione europea, Apple e il governo irlandese sovvertono le regole della concorrenza, perché si tratta di condizioni agevolate per una sola impresa, dunque è una forma occulta di aiuti di Stato. Ora, quindi, Apple deve pagare al governo irlandese 13 miliardi di euro, pari all’ammontare delle tasse dal 2003 al 2013 (anno dell’inizio dell’indagine). Più gli interessi. Il conteggio parte “solo” dal 2003, perché è il massimo della retroattività applicabile. Secondo il governo irlandese, però, non c’è alcun aiuto di Stato, ma solo patti chiari: “Il governo irlandese esprime il suo profondo disaccordo con l’analisi della Commissione – dichiarava ieri il ministro delle finanze Michael Noonan – l’Irlanda non ha garantito alcun trattamento fiscale di favore a Apple. L’Irlanda non tratta con i contribuenti”.

Sembra assurdo che il governo irlandese rifiuti categoricamente di incassare 13 miliardi di euro (pari al costo dell’intera sanità pubblica irlandese), ma è in gioco la sua reputazione. “Non è stata spiccata alcuna multa nei confronti dello Stato irlandese”, precisa Noonan, sapendo che il suo paese è trasformato nella “tigre celtica”, proprio grazie alle condizioni ottimali che ha garantito agli investitori stranieri. Qui, precisa, “non è contestata l’aliquota del 12,5%”. Non sarebbe nel mirino il sistema fiscale in sé, dunque, ma il metodo di riscossione. E’ nelle sue pieghe, infatti, che si celerebbe il “favore” all’azienda di Cupertino: tutti i profitti delle vendite in Europa sono stati incassati dalla Apple Sales International con sede in Irlanda. Gli utili di quest’ultimo, sono stati quasi tutti stornati a un “ufficio centrale” che secondo la Commissione Europea “esiste solo sulla carta” ed è esentasse, mentre una minima parte è stata tassata in Irlanda, come se l’aliquota realmente pagata fosse pari all’1% nel 2003 e ancora inferiore (fino allo 0,005%) negli anni successivi. 

Ma a questo punto entrano in gioco molte complicazioni. L’Ue non può chiedere a uno Stato membro di riscuotere un’aliquota di tasse decisa da Bruxelles. La politica fiscale è sovrana. Al tempo stesso, la Commissione non può sostituirsi agli esattori o ai magistrati irlandesi. Intervenire in queste materie è una delicata questione, che mette in discussione il principio di sovranità degli Stati. Però l’Ue è nata anche contro la concorrenza sleale, dunque contro gli aiuti di Stato a singole imprese. Ma anche qui sorgono dubbi: tutte le grandi aziende e le banche aiutate da Italia, Germania, Francia… sono state punite come Apple? O c’è disparità di trattamento anche nel punire la disparità di trattamento? C’è chi, fra gli opinion maker più euro-entusiasti, coglie la palla al balzo per proporre l’armonizzazione fiscale: un’unica tassazione europea, un unico fisco per tutti i membri dell’Ue. Proposta legittima, come tutte le altre in democrazia, ma non pertinente: varrà per il futuro, al massimo, non per il passato di Apple in Irlanda dal 2003 al 2013. Non si possono cambiare le regole del gioco, a gioco già concluso.

Tutti questi dubbi finiranno davanti a un giudice. A Lussemburgo l’ardua sentenza. In attesa del processo, però, la notizia ha già provocato diversi effetti e tutti negativi. Ha reso più tese le relazioni fra Usa (che difendono le loro aziende, anche quelle che non pagano le tasse a Washington) e Unione Europea alla vigilia del prossimo G20. Ha reso sicuramente più difficili gli interscambi commerciali fra le due sponde dell’Atlantico, proprio mentre il trattato di libero scambio, il Ttip, sembra essere giunto a un punto morto. Aggiunge un altro elemento di incertezza nei mercati europei, in un periodo non proprio tranquillo per l’Ue dopo la Brexit. “Oltre l’ovvio obbiettivo di colpire Apple, gli effetti più profondi e dannosi di questa decisione saranno sugli investimenti e la creazione di lavoro in Europa. Seguendo la teoria della Commissione, ogni società che lavora in Irlanda e in tutta Europa corre improvvisamente il rischio di dover pagare tasse secondo leggi che non sono mai esistite”, concludeva il suo messaggio Tim Cook. Altri amministratori delegati tacciono, ma iniziano a fare i loro conti.