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IL LIBRO SEROTONINA

Pornografia e nichilismo sgonfiano il fenomeno Houellebecq

Con un’ambigua pagina “religiosa” si conclude il celebrato romanzo Serotonina del francese Houellebecq. Un libro che contiene pagine di autentica pornografia, il più delle volte fastidiosa e gratuita e nichilismo. Si resta con la netta sensazione di vuoto di aver perso tempo.

Cultura 30_01_2019

Con un’ambigua pagina “religiosa” si conclude il celebrato romanzo Serotonina del francese Michel Houellebecq, un libro, diciamolo subito, che contiene pagine di autentica pornografia, il più delle volte fastidiosa e gratuita. Si riportano notizie di code alle librerie d’oltralpe per acquistarlo, pare per certe anticipazioni sulla stampa concernenti i temi della rivolta dei gilets jaunes contro Macron.

In realtà quel che poteva ingolosire i gilet gialli compare solo a tre quarti di libro, con il protagonista che sposa la causa degli allevatori francesi messi in ginocchio dall’abolizione delle quote latte decisa a un certo punto dalla Ue. Il protagonista (non si sa quanto l’autore ci abbia messo di sé) è un fumatore braccato dagli «imbecilli» (p. 311) salutisti. Il periodare è lunghissimo, prima di arrivare al punto passa mezza pagina. Non manca una scena (condannatissima) di pedofilia.

E, poiché alle manifestazioni degli agricoltori ci scappano i morti, ecco il collegamento, pur fantasioso ma plausibile, con quanto sta accadendo in Francia. Il farmaco che rimanda al titolo (è uno psicofarmaco, il protagonista è un depresso) compare solo dopo novanta pagine. La pagina finale a cui facevamo riferimento all’inizio deve essere contemperata con quest’altra, per una migliore comprensione della mens del protagonista (o dell’autore?):  «…la madre aveva reso l’anima a Dio – o più probabilmente al nulla…» (p. 93). Sul tutto, un velo di profondo nichilismo: «eccomi lì, uomo occidentale nella sua età di mezzo, al riparo dal bisogno per qualche anno, senza parenti né amici, privo sia di progetti personali sia di veri interessi, profondamente deluso dalla sua vita professionale precedente, avendo affrontato sul piano sentimentale esperienze diverse ma che avevano in comune il fatto di interrompersi, privo in fondo sia di motivi per vivere sia di motivi per morire» (p. 79).

Da quel che par di capire, il protagonista perde, causa gli psicofarmaci, il desiderio sessuale, unica cosa per cui vale la pena di vivere. E fin qui il ritratto dell’uomo contemporaneo è perfetto. Non mancano riferimenti che l’autore mette in bocca al protagonista: «quel cretino di Bush» (che blocca le importazioni di formaggi francesi, p. 127) «il bardo comunista» (il cantante Léo Ferré, p. 279), il «buffone austriaco» (Freud, p. 306), «quel vecchio imbecille di Goethe, (…) uno dei più patetici rimbambiti della letteratura mondiale» (p. 318). La traduzione ci mette del suo, con «salafista» (anziché salafita, p. 253) e Manche al posto di Manica.

Qualche scheggia di saggezza, tuttavia, qua e là affiora: «una civiltà muore semplicemente per stanchezza, per disgusto di sé» (p. 147); «le qualità intellettuali  non hanno alcuna importanza in una relazione amichevole, e ovviamente ne hanno ancor meno in una relazione amorosa, hanno pochissimo peso in rapporto alla bontà d’animo» (p. 89). Una nostalgia di Ancien Régime: «era morto con le armi in pugno per proteggere i contadini francesi, e questa era sempre stata la missione della nobiltà» (p. 254). Una botta agli ecologisti: «di solito la natura lasciata a se stessa produce solo un viluppo informe e caotico» (p. 265).

Un paio di considerazioni sul divorzio: «Al tempo stesso, mi dicevo, a quella stronza sarebbe bastato sposarsi qualcun altro» (il suo migliore amico cerca di spiegare le insoddisfazioni della moglie che l’ha lasciato, p. 191); «E’ ovviamente penoso vedere qualcuno che si sia amato, con il quale si siano condivise notti, risvegli, forse malattie, preoccupazioni per la salute dei figli, trasformarsi in pochi giorni in una specie di mostro, di arpia dotata di un’avidità finanziaria senza limiti» (p. 209). E un curioso rimando alla massoneria quando, nel descrivere l’atrio della stazione di Saint-Lazare, lo definisce sarcasticamente «sala dei passi perduti (p. 145). E’ chiamata così l’anticamera del tempio massonico. Anche l’anticamera dell’aula parlamentare viene detta «corridoio dei passi perduti» (o transatlantico). Chissà perché.

In ogni caso, alla fine della lettura del romanzo di Houellebecq si resta con la netta sensazione di vuoto, di niente, di aver perso tempo con un esercizio di scrittura contemporanea. A qualcuno questa cosa piace.