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USA

Primarie repubblicane, mai sottovalutare Sarah Palin

Alla vigilia delle elezioni primarie, emergono i più estremisti di entrambi i partiti, Bernie Sanders a sinistra e Donald Trump a destra. Ma quella di Sanders è una corsa in salita e la sua bolla di consensi è probabilmente destinata a scoppiare. Trump... non si sa. E l'appoggio che gli dà Sarah Palin non è affatto da sottovalutare. L'animatrice del conservatorismo non è "rozza".

Esteri 24_01_2016
Sarah Palin

Alla vigilia dall’inizio delle primarie (Iowa, 1° febbraio) il Partito Democratico e il Partito Repubblicano si specchiano. I duri fanno sembrare molli quelli che non li sono. A confronto del socialista Bernie Sanders e dell’esagerato Donald Trump, la radicale Hillary Clinton e il conservatore Ted Cruz sembrano mainstream. Sorprende che proprio Sanders e Trump siano in ascesa? Fino a un certo punto.

La storia insegna che certi exploit ottenuti nelle prime consultazioni da candidati “estremi” o “diversi” sono solo fuochi di paglia. Fu così nel 2012 per Rick Santorum e Newt Gingrich. Fu così nel 2008 per Mike Huckabee (e alla vigilia sembrava fortissimo anche Rudolph Giuliani). E nel 1996 fu così anche per il rombante inizio di Patrick Buchanan, poi altrettanto deragliato. Questi i Repubblicani, ma non diversamente i Democratici. Pochi ricordano i colpi di Jerry Brown, Paul Tsongas e Tom Harkin che all’inizio fecero seriamente impensierire il poi vittorioso Bill Clinton nel 1992. L’unica vera eccezione è stato Barack Obama, l’outsider che nel 2008 partì alla grande e che invece di afflosciarsi per strada riuscì a battere la ben più “istituzionale” Hillary Clinton.

Perché accade? Per tantissimi motivi, ma tra questi anche il fatto che negli Stati Uniti le primarie sono vere e che quindi le loro prime fasi vengono usate come test di logoramento, soprattutto quando gli apparati dei partiti non hanno ancora le idee chiare o hanno politicamente da guadagnare qualcosa prolungando la graticola dei contendenti. Esaurito lo spazio dei tiri di aggiustamento, la differenza la fanno poi proprio quegli apparati. I Repubblicani lo hanno dimostrato quattro anni fa perdendo con un candidato di apparato come Mitt Romney che andava stretto a un movimento conservatore pur a quel punto più gagliardo che mai. E i Democratici, anche, quando nel 2008 vinsero risolvendo a favore del primo quell’impasse tra Obama e la Clinton che si era protratto più del previsto.

C’è però dell’altro. È poi fino in fondo vero che l’“estremismo” di Sanders a sinistra e di Trump a destra aiuterà gli altri Democratici e gli altri Repubblicani a travolgerli? In teoria sì, ma la pratica è più articolata, almeno nel caso di Trump. Entro diciamo il mese di marzo Sanders avrà fatto il pieno di tutti i voti cui può aspirare; farsi eleggere presidente socialista degli Stati Uniti è come andare a piedi sulla Luna (senza escludere che sui suoi successi relativi nelle prime primarie peserà paradossalmente una politica “di destra” come il suo no alla limitazione del porto d’armi, nervo sensibilissimo negli Stati Uniti e oggi, vista la sfacciataggine della Casa Bianca, più anti-Obama che mai).

Quanto invece a Trump, la differenza la sta già facendo il concorso esterno; cose, cioè, come l’endorsement di Sarah Palin (Sanders non potrà mai sperare nell’endorsement di un Al Gore o di un Robert Redford). Da noi è una nota a piè di pagina, ma negli Stati Uniti l’appoggio a Trump dato dall’ex governatrice dell’Alaska ed ex candidata alla vicepresidenza federale è una bomba. Qualcuno dice che appoggiando un candidato stupido come Trump la Palin non fa che confermare la propria stupidità, ma è vero esattamente il contrario. La Palin è una macchina politica perfetta, uno schiacciasassi. Sa cosa dire, come dirlo e quando farlo. Appare perennemente estemporanea e parvenu, ma è pura strategia. Ha invece le idee più chiare lei di mille altri consumati professionisti della politica. Nel 2008 limitò vistosamente i numeri della sconfitta presidenziale dei Repubblicani (e forse fu scelta proprio per questo). Poi ha saputo trasformare la sconfitta presidenziale di John McCain in quell’anno nella vittoria Repubblicana alle elezioni di “medio termine” del 2010. Dei conservatori ha saputo diventare la beniamina, guidandone le scelte. Nato il movimento dei “Tea Party”, ci si è tuffata riuscendo a orientarne una fetta amplissima. Da otto anni i suoi endorsement sono ricercati come benedizioni preziose e lei li ha concessi sapientemente per un solo unico scopo. Battere i Democratici costi quel che costi; per questo invece di correre la Palin allena. E con successo, vista la gragnola d’insulti e di contumelie con cui media e avversari hanno coperto lei, i suoi affetti personali e la sua privacy (scomodando persino il rapper Eminem, la pornoattrice Lisa Ann che l’ha messa in scena come “Sarah Pay-Linn” e il regista Jay Roach che nel 2012 ha licenziato il film per la Tv Game Change).

Quattro anni fa, adeguandosi alle scelte dell’elettorato ma anche a quelle dei maggiorenti del partito, “Barracuda Palin” ‒ la chiamano così, oppure “Mama Grizzly” ‒ attese il verdetto delle primarie e poi sposò senza riserve l’uomo che le stava vincendo chiunque quell’uomo fosse. Ma quell’uomo, Mitt Romney, non seppe conquistare la Casa Bianca. Così oggi la Palin gioca d’anticipo: appoggia subito Trump per condizionare le primarie senza farsene condizionare. Nel 2012 arrivò tardi per fare di Romney il generale dei conservatori; oggi che l’ala movimentista e barricadera, la sua, pare controllare il Partito Repubblicano spera di riuscire. Ma per molti conservatori, e non senza argomenti, Trump non è affatto un conservatore. La conservatrice Palin se ne occuperà dopo. Per ora Trump è in testa ai sondaggi e per ora questo basta alla Palin convinta che qualsiasi Repubblicano sia meglio di qualsiasi Democratico tranne quelli che perdono la Casa Bianca. Viste le promesse di voto non è l’unica.