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CURIOSITA' LETTERARIE

Quando Stalin «assunse» Sherlock Holmes

Tra la fine '800 e inizi '900, il genere poliziesco ebbe un grande successo in Europa e in Russia. Peccato che Sherlock Holmes e colleghi non fossero compatibili con il regime comunista. La soluzione? Arruolare Holmes nel partito.

Cultura 12_06_2013
fascicolo popolare russo

Si capisce molto di un Paese e di un’epoca – i sociologi lo sanno da qualche tempo – dalla sua letteratura popolare. Non da quella «alta», che concorre ai Premi Nobel, piace ai critici e si ferma a qualche migliaio di lettori, ma dalla letteratura «di strada» – i francesi la chiamano «de boulevard» – che è disprezzata dalla critica ma di lettori ne raggiunge milioni. Un esempio dell’attenzione accademica a questo tipo di letteratura è il libro di Boris Dralyuk «Western Crime Fiction Goes East: The Russian Pinkerton Craze 1907-1934» («La letteratura poliziesca occidentale va a Est. La mania russa per i Pinkerton, 1907-1934»), pubblicato dalla prestigiosa casa editrice olandese Brill (Leida-Boston 2012).

Dralyuk attira l’attenzione su un fenomeno che io stesso ho studiato in Italia, e che è quasi completamente dimenticato. Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento, prima della nascita e dell’esplosione del fumetto, la letteratura più diffusa nel mondo è costituita dai fascicoli popolari, opuscoli illustrati in genere di sedici pagine con una storia completa di avventura, di viaggio, western o poliziesca. Il personaggio più noto di questa letteratura, il detective privato americano Nick Carter – di cui nel 1972 il fumettista italiano Bonvi (1941-1995) presenterà una versione comica, ma che allora era preso tremendamente sul serio – vendeva con i suoi fascicoli, tradotti nelle principali lingue mondiali, settantacinque milioni di copie ogni settimana, una cifra mai più raggiunta in seguito da alcun fumetto o libro. Con Nick Carter rivaleggiavano altri detective: molte versioni «pirata», cioè non autorizzate dal creatore del personaggio sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), di Sherlock Holmes, avventure fantastiche del poliziotto italo-americano, realmente esistito, Joe Petrosino (1860-1909), e storie di un Nat Pinkerton ispirato allo scozzese naturalizzato americano Allan Pinkerton (1819-1884), il fondatore della più grande agenzia d’investigazioni private del mondo.

Dralyuk spiega che la Russia diede dagli inizi del Novecento un grande contributo ai numeri record del fascicolo popolare. Le sole storie poliziesche – esclusi gli altri generi – furono stampate a San Pietroburgo in dieci milioni di copie in un singolo anno, il 1908. Nel 1909 a Tbilisi, in Georgia, fu realizzata un’indagine singolarmente moderna, la quale accertò che il 33% degli allievi delle scuole di età fra gli otto e i sedici anni leggeva con regolarità i fascicoli polizieschi. Come negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale, i lettori non erano solo ragazzi: si trattava della lettura favorita, spesso dell’unica, per operai, contadini inurbati che avevano da poco imparato a leggere, prostitute. E Dralyuk ci mostra che non mancavano intellettuali i quali, vergognandosi un po’, si confessavano avidi lettori dei «Pinkerton». La stampa chiamava infatti questa straordinaria esplosione del fascicolo popolare «pinkertonovshchina», «mania per i Pinkerton», anche se Nat Pinkerton non era l’unico personaggio di cui si leggevano le avventure. Il vero o falso Sherlock Holmes non era meno popolare, e in ogni caso molti fascicoli erano produzioni autoctone russe, imitazioni delle imitazioni occidentali di Conan Doyle.

Un tema particolarmente approfondito nel libro di Dralyuk è come tra i lettori dei (cosiddetti) Pinkerton ci fossero molti intellettuali «progressisti», fra cui il regista Sergej Ejzenstejn (1898-1948), più tardi passato alla storia per il più noto film di propaganda sovietica, «La corazzata Potemkin». Altri intellettuali marxisti condannavano i fascicoli come tipici prodotti della propaganda capitalista, dove – dopo tutto – i detective e i poliziotti proteggevano la proprietà privata.
Il dibattito non si arresta – al contrario, prende nuovo vigore – dopo l’avvento al potere dei comunisti nel 1917. Le case editrici dell’epoca zarista sono chiuse, e anche la produzione di fascicoli cessa. Ma non vengono meno i lettori, che continuano a scambiarsi i vecchi fascicoli, se necessario clandestinamente, e a protestare quando le biblioteche popolari, ora in mani bolsceviche, li eliminano dai loro scaffali.

Gli anni di Lenin (1870-1924) vedono la lotta della dirigenza sovietica contro i fascicoli popolari. Ma con la «nuova politica economica» (NEP) del 1921, che cerca di attenuare il massimalismo del «comunismo di guerra» e le sue disastrose conseguenze per l’economia russa, e con l’ictus che colpisce Lenin nel maggio 1922 le cose cominciano a cambiare. Il controllo della cultura è saldamente nelle mani di Nikolai Bukarin (1888-1938), un grande sostenitore sia della NEP sia di Iosif Stalin (1878-1953) nella sua lotta per la successione a Lenin contro altri gerarchi. Fin dal 1921 Bukharin si pone il problema dei fascicoli popolari e della loro circolazione clandestina. Constata che, attraverso i fascicoli, molti russi si entusiasmano per lo stile di vita occidentale: le storie poliziesche di Sherlock Holmes e Nat Pinkerton fanno più presa della propaganda ufficiale.
Il 14 ottobre 1922, pochi mesi dopo l’ictus di Lenin, in un discorso al quinto congresso del Komsomol, l’organizzazione giovanile comunista sovietica, Bukharin ricorda che lo stesso Karl Marx (1818-1883) leggeva «con grande entusiasmo» la letteratura poliziesca, e che la mente dei lavoratori – «quella dei giovani, dieci volte più degli adulti» – richiede una «fabula», una trama con una storia ben congegnata e appassionante che i romanzi di propaganda sovietica di rado offrono. La soluzione? Non riprendere a tradurre le storie occidentali di Sherlock Holmes o Pinkerton – protettori dell’«ordine borghese» – ma crearne di nuove, arruolare Holmes nel partito, organizzare «la creazione di un Pinkerton comunista».

Accolta e avallata da Stalin, la politica del «Pinkerton rosso» diventa un imperativo culturale. Si ricominciano a produrre fascicoli e romanzi seriali, dove il lettore può riconoscere nei protagonisti variazioni sul tema infinito di Sherlock Holmes, impegnato però nella difesa del comunismo e del regime sovietico. La più entusiasta produttrice di questi fascicoli è Marietta Shaginian (1888-1982), una scrittrice dotata di qualche capacità e di un’inesauribile capacità di compiacere chi comanda. In epoca zarista, la Shaginian scrive di mistica ortodossa alla scuola di Pavel Florenskii (1882-1937), per poi abbracciare la moda del simbolismo affermandosi come poetessa. Poco prima della rivoluzione, si converte al bolscevismo e negli anni 1920 diventa un’autrice di propaganda. Accoglie con entusiasmo l’appello di Bukharin a produrre fascicoli popolari comunisti e si afferma con un personaggio che imita Sherlock Holmes, Mick Thingsmaster, impegnato a smascherare le trame di un criminale tedesco-americano, Jack Kressling – in cui i lettori possono riconoscere il professor Moriarty, l’arcinemico di Holmes – per sabotare le fabbriche sovietiche e rovesciare il regime. A differenza di altri prodotti più dozzinali, le storie della Shaginian, da cui sarà tratto anche un film, hanno un certo successo.
Ma la loro ortodossia politica è messa in dubbio dalla sinistra del partito, che attacca in genere la NEP e Bukharin. Stalin si allinea con questi critici delle «deviazioni capitaliste» nel 1928 ed espelle Bukharin dal Politburo. Bukharin sarà riabilitato nel 1934, ma cadrà di nuovo in disgrazia: arrestato nel 1937, sarà fucilato per ordine di Stalin nel 1938. Anche le imitazioni di Sherlock Holmes e i «Pinkerton rossi» seguiranno la sorte di Bukharin e saranno vietati. La Shaginian, sempre pronta ad allinearsi, passerà a scrivere romanzi alla gloria delle centrali idroelettriche, sopravvivrà a tutti i cambi di regime e morirà nel 1982 all’età di 94 anni.

Il tentativo stalinista di arruolare Sherlock Holmes dura meno di dieci anni. Ma la sua storia paradossale ha una morale. Dimostra che, al di là della propaganda di regime, i russi non avevano mai smesso di sognare – almeno tramite la letteratura di consumo – un mondo diverso da quello comunista. Quale letteratura popolare è preferita dai lettori indica sempre i loro veri sentimenti. Che non erano di entusiasmo per il regime e la sua propaganda.