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LO SCRITTORE GIORDANO UCCISO

Quelle vignette su Allah che si pagano con la vita

Un’evidente derisione di Allah e del paradiso tanto agognato e propagandato dall’estremismo islamico.  É stata questa vignetta a scatenare i mezzi di comunicazione, gli islamisti e la giustizia giordana contro il giornalista cristiano Nahed Hattar, ucciso per per «oltraggio alla divinità».

Esteri 27_09_2016
Proteste per l'uccisione dello scrittore  giordano Nahed Hattar

Una vignetta in arabo dal titolo “In Paradiso…”. Allah fa capolino in una tenda e dice: «Buona serata, Abu Saleh, hai bisogno di qualcosa?». Un barbuto a letto con due avvenenti signorine risponde: «Sì mio Signore, fammi portare un altro bicchiere di vino e di’ a Gabriele di portarmi delle noccioline. Dopodiché, mandami un servitore eterno per pulire il pavimento e si porti via i piatti vuoti». Infine, il barbuto aggiunge: «Non dimentichi di far mettere una porta alla tenda, così la prossima volta busserà prima di entrare, a Lei la lode».

Un’evidente derisione del paradiso tanto agognato e propagandato dall’estremismo islamico, un paradiso in cui tutti i peccati saranno perdonati e dove la ricompensa sarà una vita di agio e piacere. É stata la semplice condivisione su Facebook di questa vignetta a scatenare i mezzi di comunicazione, gli islamisti e la giustizia giordana contro il giornalista cristiano Nahed Hattar.  Arrestato il 13 agosto scorso, condannato per «oltraggio alla divinità» da un tribunale civile, Hattar era stato rilasciato su cauzione due settimane  fa e dal momento della sua liberazione era stato minacciato di morte. A nulla sono valse le denunce alle autorità del giornalista e della sua famiglia e il 25 settembre  scorso il giornalista è stato freddato innanzi alla porta principale del Palazzo di Giustizia di Amman. Autore dell’esecuzione Riadh Abdallah (49 anni), cittadino giordano da poco rientrato dal pellegrinaggio ai luoghi sacri dell’islam in Arabia Saudita ed ex imam di una moschea nella zona orientale della capitale giordana. 

A prescindere dal tragico epilogo, il caso di Hattar non è un unicum né nel mondo islamico né in Giordania. Otto anni fa, il caso del poeta Islam Samhan il cui incubo iniziò nel settembre 2008, quando il gran mufti di Giordania lo accusò di apostasia e di oltraggio all’islam, per aver scritto rime d’amore che ricordavano alcune sure del Corano. Incarcerato per quindici giorni, Islam fu processato in base all’articolo 37 della legge giordana sulla stampa che recita: «È proibita la pubblicazione in qualsiasi forma di (…) qualsiasi cosa che offenda od oltraggi una delle religioni e denominazioni la cui libertà è garantita dalla costituzione». Il 21 giugno 2008 il tribunale di Amman, con grande esultanza degli estremisti islamici, condannò Islam per avere «insultato il sentimento religioso». 

Pochi giorni dopo Samhan scrisse: «Quando mi sono recato in tribunale ero ottimista. Sono convinto della mia innocenza. Questo è il motivo per cui sono rimasto senza parole quando è stata pronunciata la sentenza che mi ha visto condannato. È una decisione politica che mira a compiacere gli estremisti islamici che sono pericolosi quanto i terroristi in Iraq o quelli che rapiscono i turisti nello Yemen. Gli estremisti minacciano di punirmi e di uccidermi». Nove anni prima il poeta giordano Musa Hawamdeh fu condannato per apostasia: la sua poesia Yusuf (Giuseppe) secondo gli islamisti contraddiceva l’omonima sura coranica. Il suo libro fu bandito e anche se poi il poeta venne assolto da tutti i capi d’accusa sia dai tribunali civili sia da quelli religiosi, nel 2003 Musa fu condannato a tre mesi di reclusione per avere violato la suddetta legge sulla stampa. Tre anni più tardi ai direttori di due riviste giordane sono stati inflitti due mesi di carcere per avere ripubblicato le famose vignette danesi che ritraevano Maometto.

Con Hattar la triste storia si è ripetuta. Minacce da parte dell’estremismo islamico sui mezzi di comunicazione e social networks, minacce che innescano il caso giudiziario e al contempo fungono da semaforo verde per gli estremisti “oltranzisti” e jihadisti che fanno giustizia non in nome dello Stato, ma di Allah. In questo caso l’accusa e la condanna in tribunale si basa sull’articolo 150 del codice penale giordano: «Qualsiasi scritto o discorso che intenda o provochi la lotta settaria o razziale, oppure inneschi il conflitto tra appartenenti alle diverse sette e i membri della nazione sarà punito con l’arresto per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni e con un’ammenda che non superi i 300 dinari». 

Hattar, come Samhan e Hawamdeh, era un acerrimo critico dell’islam politico dei Fratelli musulmani e dello Stato islamico. Hattar era però anche un cristiano, critico nei confronti delle scelte politiche del sovrano hascemita, contrario alla concessione della cittadinanza giordana ai palestinesi e favorevole al regime di Assad. Purtroppo Hattar, con molto coraggio, aveva abbracciato cause e battaglie impopolari e scomode partendo da una condizione sociale di appartenente a una minoranza in un contesto a maggioranza islamica. 

Islam Samhan è stato uno dei primi a reagire alla tragica morte del collega e amico e a evidenziare  la tragica continuità tra il suo caso e quello di Hattar. Samhan ha dichiarato che «il martirio di Nahed Hattar ha portato alla luce verità terribili sulla società giordana che necessita non solo la riforma dei programmi scolastici, ma soprattutto un drastico cambiamento in seno alla struttura sociale che nutre l’ideologia “di Daesh” e diffonde discorsi che fomentano l’odio. La morte di Nahed è un campanello d’allarme». Ancora una volta Samhan punta il dito contro la connivenza della monarchia con l’islamismo, connivenza che non potrà quindi mai arginare ed estirpare alla radice l’ideologia estremista e settaria diffusa dai pulpiti delle moschee, che non potrà mai accettare una riforma del codice penale da un lato e del discorso religioso dall’altro. 

D’altronde le recenti elezioni che hanno riportato al Parlamento giordano la Fratellanza musulmana non lasciano ben sperare in una vera e profonda riforma in direzione di quell’islam moderato che il monarca giordano vorrebbe rappresentare. Infine, il monarca giordano dovrebbe decidere, una volta per tutte, se stare dalla parte del proprio popolo, della libertà di espressione e dell’islam illuminato oppure se schierarsi con l’islam politico che giustifica il jihad, gli attentati suicidi all’occorrenza e tutti i divieti in nome di Allah a partire dalla semplice risata per una vignetta su Daesh. Se non prenderà una posizione chiara e onesta finirà per essere schiacciato e trascinare la Giordania nel novero dei non-Stati mediorientali pronti a essere ridisegnati in un futuro prossimo e finirà altresì per perdere l’occasione di rappresentare un’alternativa illuminata all’oscurantismo di matrice wahhabita.