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60° GIORNATA MONDIALE DELLA LEBBRA

Raoul Folleraeu, una vita spesa per gli altri

In occasione della 60° Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra, il ricordo di colui che la istituì e il punto della situazione su una malattia tutt'altro che sconfitta. "Essere felici è far felici" fu il motto ispiratore dell'opera del giornalista francese Follereau.

Cronaca 27_01_2013
Raoul Follereau

Nel mondo circa 700 persone si ammalano di lebbra ogni giorno e si stima che almeno altrettanti siano i casi non identificati. Questi sono i dati diffusi dall’AIFO, Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, in occasione della 60° giornata mondiale dei malati di lebbra, ricorrenza istituita nel 1954 proprio dal giornalista e scrittore francese e che si celebra ogni anno l’ultima domenica di gennaio.  Le cifre diffuse evidenziano come il morbo di Hansen, meglio noto come lebbra, sia un problema tutt’altro che risolto, nonostante dal 1980 sia disponibile una cura.

Come rileva l’Aifo è impossibile stabilire esattamente quanti siano i malati di lebbra al mondo, ma di fatto quando si avviano piani di ricerca dei casi di lebbra in aree poco raggiungibili si continuano a scoprire nuove persone affette, con un’alta percentuale di bambini. La lebbra, causata da un bacillo – il mycobacterium leprae – che distrugge i nervi periferici provocando insensibilità, seguita dal danneggiamento dei tessuti e da mutilazioni, è diffusa essenzialmente nelle aree più povere del mondo, dove nel 2011 sono stati registrati 219.075 nuovi casi. Alla fine dello stesso anno, solamente 181.941 malati avevano ricevuto le cure adatte. Raoul Follereau aveva individuato le cause del contagio e della diffusione del morbo nel sottosviluppo, nell’ingiustizia e nell’indifferenza e dedicò la sua esistenza alla sensibilizzazione verso questa malattia e all’aiuto a chi ne era affetto.

Nato a Nevers nel 1903, Follereau aveva soltanto 17 anni quando viene pubblicato il suo primo volume: “Il libro d’amore”, che si caratterizza per una frase che diventerà il motivo ispiratore di tutta la sua attività: "essere felici è far felici". Laureto in legge alla Sorbona, rinuncia alla carriera di avvocato per dedicarsi alla poesia e al teatro. A 22 anni sposa Madeleine Boudou, sua compagna per tutta la vita. Viene a conoscenza del dramma della lebbra quando, nel 1936, viene inviato da un quotidiano argentino in Africa, nel Sahara, sulle orme di Padre De Foucauld, di cui si stava per celebrare il ventesimo anniversario della morte. Nel 1940, dopo l’inizio dell’occupazione tedesca a Parigi, è costretto a nascondersi a causa di alcuni articoli intitolati "Hitler, l'anticristo", pubblicati sul suo giornale.  Inizialmente a casa di alcuni amici, dal 1942 si rifugia nel Convento di Venissieux, nei dintorni di Lione, presso le Suore di Nostra Signora degli Apostoli.  Qui viene a conoscenza del progetto per una città dei lebbrosi che le suore vorrebbero costruire nella foresta vergine, ad Adzopè, nella Costa d'Avorio. Negli anni seguenti percorre il mondo tenendo circa 1.200 conferenze, grazie alle quali raccoglie fondi per la costruzione di questo villaggio. Follereau si adopera per far uscire i malati di lebbra dalla segregazione cui sono condannati, li incontra e diventa loro amico. Muore nel 1977, solo tre anni prima della scoperta della cura. 

L’amore cristiano ha caratterizzato il pensiero e l’opera di Follereau, opera che è continuata anche grazie all’Aifo, che con centinaia di volontari in tutto il mondo promuove la dignità dei  malati di lebbra e cerca di creare le condizioni affinché possano vivere autonomamente. L’obiettivo principale dell’associazione è programmare e sostenere le attività di vigilanza epidemiologica e di controllo, considerando prioritarie le azioni di riabilitazione fisica e sociale delle persone che hanno sofferto a causa della malattia.

Al di là del giusto impegno per placare la diffusione di una malattia, causa non solo di morte ma anche di emarginazione sociale, l’intuizione di Follereau dà una preziosa indicazione per il progresso dell’umanità in generale: i mali si diffondono nelle condizioni di sottosviluppo e la chiave non è soltanto portare aiuto a chi è in difficoltà, ma metterlo nelle condizioni di compiere un percorso di sviluppo autonomo, che ponga delle basi di trasformazione sociale.