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STORIE

Rischiano la vita per salvare i figli: la legge del cuore materno

Sono decine le donne malate apparse sui giornali per aver scelto di sacrificare la propria salute, a rischio della vita, al fine di proteggere e far nascere i loro figli in grembo. Mentre il mondo propone come unica soluzione l'aborto, loro mostrano che l’amore materno è portato ad amare fino a sacrificare se stessi per il bene del figlio. E non c’entra la fede: che questa sia la vera natura di una mamma, che porta inscritta dentro di sé la verità, lo dimostrano loro. 

Vita e bioetica 01_09_2017
Carrie Dekleyn

Cinesi, europee, cristiane. Non sono delle sante come Gianna Beretta Molla, ma sono decine di donne normali apparse sui giornali negli ultimi anni per aver scelto di sacrificare la propria salute, a rischio della vita, al fine di proteggere e far nascere i loro figli. Per lo più malate di cancro hanno rifiutato la chemioterapia. Alcune sono morte poco dopo la nascita dei loro bambini, altre sono sopravvissute grazie alle cure successive al parto. In ogni caso, tutte hanno mostrato, inconsapevolmente o meno, che l’amore materno è portato ad amare fino a sacrificare se stessi per il bene del figlio. Qui non c’entra la fede cristiana (che se mai illumina e sostiene l'uomo in ciò che è vero), perché che questa sia la vera natura della donna e l’altezza di ogni essere umano, che porta inscritta dentro di sé la verità, lo dimostrano loro. 

L’ultima ad aver sacrificato la propria vita è Tasha Trafford, mamma inglese affetta dal 2012 da un raro cancro alle ossa da cui era guarita. Il tumore però era tornato nel 2015, quando Tasha era incinta. I medici le dissero di abortire immediatamente alla sedicesima settimana, ma la donna di 33 anni ha rifiutato e 11 mesi dopo il parto è morta. La famiglia di Tasha ha dichiarato che il piccolo sta benissimo grazie alla rinuncia di sua madre, la quale spiegò che “vivere una vita senza nemmeno sapere cosa significa la gioia di essere madre non lo rende (l’aborto, ndr) un’opzione possibile”. Che è come dire che la vita è fatta per essere data e che per raggiungere questo suo scopo vale la pena persino morire. “E - continuò la donna - anche se so che rifiutare la chemioterapia fino al parto è un grosso rischio, fare qualsiasi cosa che possa nuocere al mio bambino per me è impensabile”. Ma come non curarsi del dramma di un bambino che crescerà senza mamma? “So che non potrebbe essere più amato di così”. In effetti, il piccolo diventerà grande sapendo di aver avuto una madre che per farlo vivere e crescere sano è stata disposta a morire. A morire per lui. così, aveva ricordato Tasha, “anche se non ci sarò più, una parte di Jon (il marito, ndr) e di me vivrà in nostro figlio”.

Prima di Tasha, un’altra donna inglese, Jo Powel, scoprì nel 2010 di avere un cancro mentre era incinta. Due anni dopo raccontò la sua prima reazione così: “Quando sentii la parola cancro, il mio primo pensiero fu: perderò mio figlio”. La donna che desiderava da tempo di avere un bambino spiegò che “non c’era possibilità per me di sacrificare la sua vita per salvare me stessa. E sapevo che se anche fossi morta lo avrei fatto per generare un’altra vita”. Fortunatamente dopo il parto le cure salvarono la vita di Jo. 

Carrie DeKleyn, invece, non ha mai avuto paura di morire quanto ne aveva di perdere suo figlio. Perciò nel 2011 ha rifiutato le cure contro un tumore, il glioblastoma, molto aggressivo che colpisce il cervello. La donna, residente in Michigan e madre di 5 figli, dopo aver partorito è finita in “stato di veglia responsive” (erroneamente chiamato “stato vegetativo”). Ovviamente, appena scoperto il tumore, i medici, anziché aiutarla, le proposero l’omicidio del figlio, che lei rifiutò. Non solo, perché poco dopo decise anche di non sottoporsi a chemioterapia. Il marito, Nick DeKlyen, ha raccontato che i medici le dissero: “Se non abortisci il bambino, Carrie, tu morirai”. Ma lei disse: “Andiamo avanti”. Il marito, credente, si era detto triste ma pieno di speranza perché “lei sa che questa vita è così breve e che ci rivedremo in paradiso”. Carrie, mamma amorevole, ora viene accudita dalla sua famiglia: “Le dico sempre che sono al suo fianco e che non la lascerò mai”, spiegò il marito aggiungendo che era “fiero di lei” e mostrando che cosa significa amare davvero.

Nel 2014 Qui Yuanya, stella dello spettacolo cinese, dopo aver scoperto di avere un tumore, rifiutò di curarsi per non rischiare di compromettere la vita e persino la salute del figlio in grembo. Una volta partorito cominciò le cure che però non riuscirono a salvarla. A 100 giorni dal parto Yuanyan morì. I suoi fan parlarono di un esempio “contrario al narcisismo” moderno e di “vero spirito di sacrificio”.

Kathy Taylor

I dottori rivelarono a Kathy che aveva un cancro dopo che era rimasta incinta del suo sesto figlio. Anche lei ha rifiutato le cure prima del parto, nonostante il tumore mettesse in pericolo anche il piccolo che infatti morì due settimane dopo essere nato prematuro. La donna aveva cercato di portare la gravidanza fino alla fine, nonostante i rischi crescessero con il passare del tempo, ma quando il fegato cominciò a cedere fu costretta a sottoporsi al cesareo. Dopo il parto, avvenuto nel 2015, il piccolo morì a causa di un’infezione. Commuovono le immagini della madre, una bellissima donna di 34 anni, con il figlio in grembo e le parole sul blog del marito (“Kathy’s Miracle”) che spiegano che è morta come ha vissuto “dando se stessa” e “amando senza egoismo: …la sua estrema devozione nei miei confronti e la sua gioia infinita per i figli era per me un paradiso in terra”. 

Holley Tierney, maestra di danza 25enne, nel 2015 era incinta di due gemelli da quasi sei mesi quando scoprì di avere un tumore. Anche in questo caso la proposta dei medici fu quella di abortire, ma anche in questo caso la donna decise di correre il rischio di morire pur di proteggere i suoi bambini: “Non c’era possibilità per me di abortire…il mio istinto materno era già lì presente”. Eppure, quando i medici capirono che Holley non voleva abortire, cercarono di convincerla a farli nascere prematuramente. Ma Holley si oppose anche a questo, chiedendo di arrivare almeno alla trentesima settimana. E mentre la sua salute peggiorava i piccoli crescevano forti. Al parto, Tierney era gioia: “E’ stato il giorno più felice della mia vita.. è stato un rischio valso sopra tutto, perché l’unica cosa di cui mi devo interessare è la loro salute”. Nonostante gli scenari spaventosi dei medici che volevano convincerla a partorire prima, Holley quando vide i suoi figli pensò che sebbene fosse “dura, sapevo che dovevo essere forte per i mie bambini”. I cinque cicli di chemio furono fisicamente sfiancanti.

Nell’aprile del 2016 una donna di New York, Kim Vaillancourt, ha dato alla luce una bambino dopo aver rifiutato la chemioterapia durante la gravidanza. Affetta da Glioblastoma, Kim ha cominciato le terapie dopo il parto. Tutto ciò nonostante avesse già due figli naturali e tre adottati. Secondo la donna il bambino era lì per aiutarla: “Il piccolo mi ha dato una possibilità e io devo darla a lui”, nonostante i medici avessero definito la sua scelta “una corsa contro il tempo”. La donna dopo un anno è ancora in cura ma le sue condizioni sono stabili.

Ventisette anni e un cancro alle ovaie scoperto mentre era alla 16esima settimana di gravidanza. Ma la tedesca Gemma Nuttall non ha avuto dubbi: la terapia sarebbe cominciata solo dopo il parto. Dopo due anni e nove mesi il tumore era ricomparso nel 2016 ma Gemma ha detto: “Non volevo abortire. Questa è mia figlia e volevo salvarle la vita”. Inoltre, “lei ha salvato la mia perché altrimenti non avrei mai fatto un’ecografia”. La donna e il suo fidanzato stavano pensando di sposarsi prima di riscoprire la malattia e cominciare le cure. Un anno fa, anche se la sua vita era ancora a rischio, ha chiarito che non “mi pento della mia scelta. Mia figlia è tutto per me e lo è stata dal momento in cui sono rimasta incinta”.

Carrie Dekleyn

“E’ stato un sollievo enorme sapere che non si era diffuso (il tumore, ndr), ma appena digerita la notizia la mia preoccupazione è stata subito per i miei gemelli”. Così nel maggio di quest’anno Beky Andersen, di Portsmouth, ha raccontato la sua storia di madre incinta e malata di cancro. I medici le diedero l’ultimatum: abortisci e comincia la chemio ma lei ha spiegato: “Non era contemplato non avrei mai avuto un aborto…non ho mai pensato nemmeno un secondo a questa opzione, non c’era possibilità diversa: non mi sarei mai sbarazzata dei miei preziosi bambini””. Dopo il parto Bekey era esausta e agonizzante ma “quando me li misero sul petto…piangevo di un amore misto a pena e stupore, finalmente li potevo cullare”. I bambini oggi hanno sei mesi e Bekey è ancora in cura, ma “non cambierei la mia decisione per nulla al mondo. Sono una gioia assoluta e li amo molto”. 

Queste sono solo alcune di molte storie simili. Eppure la maggioranza dei medici e del mondo si ostina a proporre l’eliminazione dell’altro come unica possibilità alla propria sopravvivenza e al proprio benessere, mettendo la vita del più forte al di sopra di quella del bambino e soprattutto violando la legge inscritta nel cuore di ogni madre. Legge che dice l’opposto: che la donna è naturalmente fatta per dare la vita, per fare spazio ad un altro, per prendersene cura e pensare ai figli piuttosto che a se stessa. E’ qui che trova la sua vera soddisfazione. E’ così, infatti, che si sente davvero compiuta, quando sa di aver contribuito alla salvezza di suo figlio. Il mondo spinge individualisticamente e narcrisiticamente al contrario, snaturando la donna che vive pensando di essere libera ma essendo eternamente insoddisfatta. Nonostante ciò, la verità continua ad emergere con chiarezza da innumerevoli esempi. Perché, come disse la serva di Dio Chiara Corbella (morta a causa di un tumore che non curò durante la sua terza gravidanza) dopo aver rifiutato l’aborto della primogenita malata, poi nata al cielo a poche ore dal parto, “il Signore mette la verità in ognuno di noi; non c’è possibilità di fraintendere”.