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Risorgimento, il divorzio fra Stato e religione

Il divorzio tra il nuovo Stato unitario, centralista e clientelare, e la cultura popolare, profondamente cattolica, è all'origine del caso italiano. Galantini ne parla nel suo libro "I cattolici tra Risorgimento e antirisorgimento" 

Cultura 25_08_2013
Breccia di Porta Pia

Le esigenze di celebrazione del mito risorgimentale dell’unificazione italiana hanno a lungo impedito agli storici ed alla società civile di cogliere con serenità i coni d’ombra del nuovo assetto politico-istituzionale che la monarchia sabauda diede all’Italia a seguito della proclamazione del Regno nel 1861.

Solamente negli ultimi anni – anche a seguito della ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’unificazione d’Italia – non pochi studiosi, pur appartenenti a diverse correnti di pensiero, hanno iniziato a riconoscere le stridenti contraddizioni della stantia vulgata risorgimentale.

Con fredda sintesi il processo di unificazione nazionale non fu certamente cosciente fenomeno di democrazia popolare; le annessioni sabaude dei Regni preunitari furono la conseguenza – in punta di diritto internazionale – di guerre d’occupazione; le autonomie e le identità politico-legislative degli Stati preunitari non furono esaltate in modelli federali o confederali – come avvenne con eccellenti risultati nel coevo processo di unificazione della Germania imperiale di Bismarck – bensì furono affogate in un centralismo clientelare di cui ancor oggi l’Italia porta funeste conseguenze; ma soprattutto i presupposti etici valoriali religiosi dell’identità culturale italiana vennero volutamente scardinati ed ignorati da Casa Savoia e dall’entourage della nuova classe dirigente conquistate dalle sirene politiche del liberalismo massone, come argutamente osservò il celebre scrittore russo Dostoievskij.

Per comprendere rettamente il quadro descritto compiamo un passo indietro nella storia politica italiana. Il frazionamento politico-istituzionale dell’Italia viene sancito nel 1815 a seguito di un trattato internazionale – il Congresso di Vienna – che ribadisce l’equilibrio di potere tra le grandi nazioni, Austria, Prussia, Russia, Gran Bretagna e naturalmente la Francia, sotto il segno della convergenza fra Trono e Altare, allora i due elementi identitari su cui si reggeva ancora il tessuto della società civile europea, nonostante gli effetti politici della Rivoluzione francese.

L’identificazione dello Stato nella nazione e viceversa avviene dunque, nell’Ottocento, in tutti i Paesi europei, tramite il ruolo prevalente delle monarchie che sono consapevoli della necessità di coinvolgere nello spazio pubblico politico il fenomeno religioso, pur nelle differenti peculiarità territoriali, storiche e culturali. Una questione che tutte le case regnanti avevano comunque voluto o dovuto affrontare e risolvere, in cui va adeguatamente collocato il percorso difficoltoso di compiuta identificazione della nazione italiana.

Infatti le scelte strategiche operate dai Savoia – di carattere centralistico clientelare sotto il profilo giuridico-istituzionale, e ferocemente anticlericale sotto il profilo valoriale – hanno de facto ignorato il ricchissimo ed al contempo variegato sostrato culturale, giuridico e politico di matrice cattolica che ha sempre caratterizzato l’identità nazionale italiana.

In questo quadro storico politico va rettamente inquadrata la vicenda italiana. La contrapposizione tra l’arrogante debolezza di Casa Savoia e la Chiesa, di fatto creò un problema oggettivo, impedendo che nella figura del sovrano sabaudo si percepisse naturalmente l’identificazione corale del popolo italiano.

In realtà valutando il dibattito politico e giuridico-costituzionale che si è venuto sviluppando in questi ultimi anni su uno dei temi cruciali in questione, quello dell’identità nazionale italiana – ancorato al nodo gordiano di riforma del Titolo V della Costituzione repubblicana inerente il federalismo e le autonomie – si coglie in misura marcata il giudizio sbiadito, marginale e incidentale sull’effettivo ruolo svolto da Casa Savoia nella realizzazione dell’integrazione nazionale attraverso il modello del centralismo politico adottato all’indomani della dichiarazione dell’Unità del Paese.

Afferma lo storico e politologo Ernesto Galli della Loggia che nessun aspetto dell’immagine italiana e dell’identità italiana è stato oggetto in Occidente di un giudizio negativo come quello rappresentato dallo Stato, del’organizzazione pubblica dell’esistenza collettiva. E Galli della Loggia prosegue – con franchezza brutale – affermando che in tale campo, quello dell’organizzazione dello Stato, come in nessun altro campo, l’esperienza storica dell’unificazione dell’Italia non ha prodotto alcunché di significativo, non ha anticipato né portato a compimento alcun percorso ideologico, sociale, istituzionale.

Proprio riguardo a questa irrisolta cesura individuata da Galli della Loggia sono illuminanti le parole dello storico e giurista Cesare Mozzarelli dell’Università Cattolica di Milano. Dice dunque Mozzarelli che l’Italia culla della cultura classicista, del riferimento al modello di continuità con gli antichi, si trova spiazzata di fronte al sorgere nell’Ottocento di una diversa categoria, quella del progresso, e crede semplicisticamente di trovare le ragioni della propria difficoltà ad adeguarsi ad un modello politico d’importazione – fatto di ideologie individualiste e di sciovinismi nazionalisti – in tutto ciò che ha impedito il formarsi dello Stato-nazione nella penisola, cioè il dominio straniero e la Chiesa cattolica.
Si aprirà la caccia pervicace a tutto ciò che sembrerà estraneo al mondo del razionalismo ateo moderno come avrebbe scritto De Sanctis.

Annota con vena polemica il Cardinale Giacomo Biffi in un suo recente efficace libello, “L’Unità d’Italia”, che lo scrittore Riccardo Bacchelli riflettesse sul fatto che il sistema politico preunitario italiano fosse si caratterizzato da debolezza politica e militare, ma che tale prestigio non mancò mai all’Italia quale Nazione già esistente nei suoi caratteri fondanti prima ed indipendentemente dalla fusione con il nuovo concetto di Stato.

Dice lo storico Roberto de Mattei che tutto il processo unitario resta segnato dalla separatezza della questione religiosa nell’opinione comune: tutto il nostro essere italiani denunzia quell’antica frattura richiamata dallo stesso Galli Della Loggia.

Molti degli ingredienti costitutivi di quel “caso italiano” che non riesce a rimarginare armoniosamente il confronto tra guelfi e ghibellini, tra istanze laiciste e identità cristiana sembrano originare dalla emarginazione improvvida del pensiero cattolico e della Chiesa come istituzione nel moto di unificazione che fa dell’Italia uno Stato ancora in cerca della sua radici prepolitiche.

Luca Galantini, Professore di Storia del Diritto Moderno presso l’Università Europea di Roma e Docente di Regimi Internazionali presso l’Università Cattolica di Milano è l’autore del volume “I cattolici tra Risorgimento e antirisorgimento  - Centocinquantanni di unità politica italiana”, pubblicato da Le Lettere, Firenze, 2013, nella collana Nuova Storia Contemporanea diretta dal Prof.Francesco Perfetti.